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Cronarmerina - Luglio 2016

Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/7

P. Carmelo Capizzi ad una conferenza

Ricordi e fatti inediti/7

Padre Carmelo Capizzi detto anche il “Barone”

Fra i vari titoli che il nostro Carmelo possedeva, c'era anche quello di BARONE. La motivazione di tale onorificenza non sono sicuro di saperla, so soltanto che un giorno andando a Bari, ebbi l'idea di passare per Roma e fare una visita a mio fratello. Qui ebbi l’occasione di parlare con un Padre Gesuita il quale mi disse che Padre Carmelo era il “Barone”. Lì per lì ho pensato che tale titolo era uno dei tanti meriti. Infatti egli in quegli anni, oltre ad essere professore all'università e titolare della stessa cattedra, che aveva fatto istituire il primo in assoluto nella storia dell'Università Italiana presso la Facoltà di Magistero dell'Università di Roma, era anche il Padre della Casa dei Gesuiti che portava più risorse economiche al suo Istituto. Inoltre, con il suo saper fare, si relazionava con tutti, ricchi e poveri, aveva tanti amici nobili, politici e militari, quindi era facile che gli venisse riconosciuto anche questo titolo. Come si sa, i religiosi come i gesuiti, i francescani ed altri ordini, qualche tempo prima di esseri ordinati sacerdoti devono fare promessa e giuramento su tre argomenti molto importanti: OBBEDIENZA – CASTITA' – POVERTA'. Egli era orgoglioso di aver fatto queste promesse e di mantenere la sua onestà di fronte a Dio e agli uomini con tutta la sua forza. Quando egli andava in giro per lavoro, per ferie e per studio, aveva occasioni di ricevere del denaro per le sue opere di beneficenza e di studioso. Al suo rientro all'Istituto a Roma rendeva conto al Padre Ministro delle sue entrate ed eventuali uscite; era molto preciso al centesimo, era uno che non pensava né per lui e né tanto meno per i suoi parenti.

Padre Carmelo, vero uomo e vero sacerdote
Parafrasando alcuni versetti del vangelo in cui si afferma <<Gesù vero Dio e vero uomo>>, io posso affermare che il Gesuita Carmelo Capizzi era un vero uomo e un vero prete. Era un sacerdote vero, perché tutto quello che faceva e tutto il suo tempo era dedicato alla Gloria di Dio e al bene del prossimo. Celebrava la Santa Messa tutti giorni e poi leggeva il breviario, studiava anche l'Imitazione di Cristo e la Vita dei Santi. Per lui essere fedele a Dio e alla sua Congregazione dei Gesuiti era un obbligo primario, non aveva altro scopo nella sua vita che quello di amare Dio e il prossimo. Era vero uomo, perché, oltre avere tanti pregi, aveva anch'egli qualche difettuccio, come del resto tutti noi. Se gli uomini fossero tutti perfetti, cioè senza difetti, non si chiamerebbero tali, bensì si dovrebbero chiamare Angeli. Anche i Santi non sono stati immuni a qualche difetto e quando si accorgevano di aver sbagliato ricorrevano al proprio confessore. Mio fratello era anche uomo di compagnia, nel senso che teneva allegria con le sue storie e anche barzellette. Uno dei limiti che io conosco era quello di non saper guidare un’automobile, intanto non l'aveva mai posseduta e se poi pensiamo che la sua vita era dedicata allo studio, possiamo dedurre che non aveva mai pensato di acquistarne una. Quindi, non avendo avuto una macchina propria a disposizione per fare pratica di guida, anche se aveva ottenuto la patente, egli un'automobile non l’ha guidata mai. Era in effetti un teorico e filosofo e, quindi, pensava a tutt'altro invece di concentrarsi nella guida e nei comandi della macchina. Tutto sommato, forse è stato bene così.

continua in Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/8

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Edicola n. 39

Prima

Dopo

Questa è l'Edicola Votiva n. 39 e si trova in via Ortalizio, la via in ripida discesa che dallo Stradonello porta alla strada provinciale n. 15 che collega i Canali all'Indirizzo, a Piazza Vecchia, alla Villa Romana e a Barrafranca. Come tutte le cose che abbiamo sotto gli occhi anche quest'opera è in continua evoluzione. La foto in alto è stata scattata nel 2013, quella in basso due anni dopo. Dedicata alla nostra Patrona, Maria SS. delle Vittorie, dopo qualche anno l'immagine non c'è più, sparita, eppure salta subito agli occhi che c'è voluto un bel po' di lavoro e dedizione per realizzarla in pietra, legno e ciaramìe o ciaramìtte (tegole). Speriamo che la prossima foto sia nuovamente con l'immagine della Madonna.

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La bicicletta

A b'c'clétta

Nt' st'ep'ca d' prescia e d' rumori,
cu l'ariu 'ntuss'cos a tutti l'ori,
tanti vana f'rriann chi macch'noi
p'rchì vonu passè p' s'gnuroi.
 
Ntè strati vidi nsepr confusiongh
e ancora nan s' trova a soluziongh.
P'aver a patent, u giovu nan spetta
e ddascià perd d'annè ntà b'c'cletta.
 
'Na vota, ntè d'sìì di carusetti,
ggh'ernu au prim post i b'c'cletti.
E' 'ncavadd ch' nan sfarda spesa,
tu poi ment 'ncodd, p'rchì poc pesa;
 
t' ggh' menti 'ncav e siì ntò vent:
vol'nu i p' nzeri e cò ch'hai d' tent.
Ntà calada, par ch' t' porta a spass,
lib'r com n'asgeu ch' vola bass.
 
Ntà cianada, pigghi a cauzi i pedali,
t' vaia nacann e nan t' 'npali.
E s' nesci c'a giusta cumpagnia ,
poi annè dduntangh cu menu valia.
 
Quann t' rrcogghi, t' senti ciù ddegg
e cunvint ch'u dumangh sarà meggh.
Pitt a b'c'cletta 'npuru tu
e t' pigghi 'na v'ntada d' gioventù.

Francesco Manteo


TRADUZIONE

La bicicletta

In quest'epoca di fretta e di rumori,
con l'aria inquinata a tutte le ore,
tanti vanno girando coi macchinoni
perché vogliono passare per signoroni.

Nelle strade vedi sempre confusione
e ancora non si trova la soluzione.
Per avere la patente, il giovane non aspetta,
e lasciò perdere di andare in bicicletta.

Una volta, nei desideri dei ragazzetti,
c'erano al primo posto le biciclette.
E' un cavallo che non consuma spesa,
lo puoi mettere sulle spalle perché poco pesa.

Ti ci metti sopra e sei nel vento:
volano i pensieri e ciò che hai di cattivo.
Nella discesa, pare che ti porta a spasso,
libero come un uccello che vola basso.

Nella salita, prendi a calci i pedali,
vai oscillando e non t'impali.
E se esci con la giusta compagnia,
puoi andare lontano con meno energia.

Quando rientri, ti senti più leggero
e convinto che il domani sarà migliore.
Prendi la bicicletta anche tu
e ti prendi una ventata di gioventù.

Francesco Manteo

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Fontana Aidone/n. 47

Questa è la Fontana/Abbeveratoio di Aidone n. 47. Si trova lungo i 14 Km della SS. 288 che collegano Aidone a Raddusa. Questo percorso era molto frequentato da noi Piazzesi sino a qualche decennio fa per andare a Catania, prima che facessero la più comoda autostrada (senza contare però che sino all'autostrada la situazione è continuata ad essere poco agevole, per questo basta seguire la storia infinita della SP4). Il percorso che noi facciamo adesso verso Valguarnera, veniva fatto esclusivamente per andare alla stazione feroviaria di Dittaino o per proseguire verso Leonforte e il Nord della Provincia. Lasciata Aidone dopo 2,5 Km troviamo questo abbeveratoio sulla sinistra in ottimo stato pur essendo, come ci dice la data scolpita sulla vecchia targa in pietra arenaria, del 1895. Su quest'ultima ne esiste un'altra in marmo dove c'è la scritta: <<CONSORZIO DI BONIFICA DI CALTAGIRONE - Caltagirone - RESTAURATA NEL 1988>>. 1.200 metri più avanti c'è il bivio che ci porta all'importante zona archeologica di Morgantina.

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1807 L'arcivescovo Filippo Maria Trigona/2

Stemma episcopale mons. Filippo Maria Trigona: Partito 1° d'azzurro un triangolo d'oro in punta col sole d'oro al capo (Trigona); 2° fusato d'argento e di rosso (Bellotti-Grimaldi); corona di nobile sormontata da galero arcivescovile munito di cordoni.

2
Il 18 settembre 1807 Filippo Maria Trigona Bellotti fu creato vescovo di Siracusa e consacrato da un altro lontano parente, Antonino Maria Trigona Grimaldi di Misterbianco vescovo ausiliare di Catania nel 1806¹. A Piazza mons. Filippo Maria è ricordato da una targa posta nel 1809 sotto l'Edicola Votiva n.17 in piazza Gen.le Cascino, dove c'è scritto che concede gg. 40 d'indulgenza a chiunque e quante volte reciterà una Ave a l'immagine di Maria Santissima. A Siracusa è ricordato per essere stato un grande appassionato di antiquaria e per questo favorevole nel mettere a disposizione alcuni ambienti del Seminario, ubicato nella zona centrale della città, favorendo così l'ambizioso progetto culturale dell'archeologo siracusano Saverio Landolina Nava (1743-1814) che potè inaugurare il primo museo cittadino nel 1811². Nel 1818, anno in cui consacrò solennemente il Duomo di Noto a S. Nicola di Bari,  l'Arcivescovo di origini piazzesi fu nominato Delegato e Vicario Apostolico per la nostra neonata Diocesi (luglio 1817) in attesa della nomina nel 1819 del primo Vescovo (mons. Girolamo Aprile Benso). Morì il 2 gennaio 1824 per essere sepolto nella Cattedrale di Siracusa all'ingresso della Cappella del Sacramento.

¹ Antonino Trigona Grimaldi fu anche Arcivescovo di Messina dal 1817 al 1819, Giudice della Regia Monarchia ed Apostolica Legazia dal 1819 al 1823, titolare dell'Arcidiocesi di Cesarea di Cappadoccia nel 1823. Morì nel 1835(?).
² All'ingresso del Museo Civico fu posta la seguente iscrizione, che ora si trova nel vestibolo del Museo Archeologico Nazionale di Siracusa: Prisca Patriae Monumenta/ Ut Sarcta Tecta/ In Vetustatem Serventur/ Philippus Maria Trigona Ep. Syr./ Et Eques Xaverius Landolina Nava/ Fac. Curav./ Anno MDCCCIX. L'anno si riferisce alla comunicazione di ringraziamento che il Vescovo fa al Real Custode delle Antichità di Valdemone e Valdinoto Saverio Landolina Nava, per l'approvazione sovrana del progetto per la formazione di un Museo presso il Seminario Vescovile di Siracusa. Questa decisione tempestiva non permise il trasferimento a Palermo, voluto dal Re, di pregevoli opere tra le quali la Venere appena scoperta nel 1804 nel giardino Buonavia (O. Garana, I Vescovi di Siracusa, 1994, p. 211).     

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1807 L'arcivescovo Filippo Maria Trigona/1

 L'arcivescovo di Siracusa Filippo Maria Trigona Bellotti (1735-1824)
1
La 2^ personalità di alto rilievo (dopo l'Arcivescovo di Siracusa Matteo Trigona Palermo) che troviamo tra gli ecclesiastici vescovi e cardinali della famiglia piazzese dei Trigona, è mons. Filippo Maria Trigona Bellotti. Nato il 1° novembre del 1735 fu il secondo dei nove figli di Trigona Luigi (1705-1773) IV barone di Imbaccari-Terra di Mirabella e S. Cono Superiore¹ e di Bellotti Grimaldi Maria baronessa di Scitibillini nativa di Castrogiovanni. Nipote di Matteo Trigona (fratello del nonno Ottavio) arcivescovo di Siracusa nel 1732, Filippo dopo tre quarti di secolo andò a ricoprire la stessa carica del prozio dal 1807 sino al 1824, anno della sua morte. Era stato proprio il parente Arcivescovo a incoraggiarlo a intraprendere la carriera ecclesiastica, così da laurearsi in Teologia presso l'Università piazzese dei Gesuiti nel 1757 e, tre anni più tardi, diventare sacerdote. Esercitando il suo ministero pastorale nella nostra Città divenne Prevosto del Duomo e nel 1778 fece parte della Commissione Comunale che doveva recuperare la somma richiesta dal Parlamento Generale del Regno per risolvere il problema della pessima viabilità stradale nel centro dell'Isola. Nel 1785 come membro del Capitolo del Duomo, partecipò alla compilazione del verbale relativo ai dati economici delle chiese della nostra Città da inviare al Viceré, che voleva abolire i diritti funerari divenuti esagerati per il popolo. Nel 1798, sempre a Piazza, che in quel periodo risentiva degli effetti della Rivoluzione Francese, dopo essere stato avvertito dell'intenzione da parte di faziosi antigiacobini di compiere una strage degli affiliati all'Associazione Rivoluzionaria Giacobina, organizzò in un'ora nei pressi delle abitazioni dei capi della congiura e lungo le strade cittadine nuclei di penitenti, diretti da un predicatore, col compito di pregare e di incitare tutti alla pace. L'effetto fu sbalorditivo e grande: i Consoli e le loro maestranze, pentiti si portarono in duomo, ove nella nottata venne cantato un solenne Te Deum di ringraziamento in un'atmosfera di sentita commozione... in seguito l'opera mediatrice dei Trigona portò al proscioglimento delle accuse ed alla serenità cittadina. (continua)

¹ In alcuni testi viene aggiunto anche il titolo della Floresta che il fratello minore Ottavio Maria ottenne quando si sposò nel 1763 con Girolama Ardoino Celestre dei marchesi della Floresta.

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Edicola n. 38

Questa è l'Edicola Votiva n. 38 di via Dante Alighieri. Si trova al primo piano di un'abitazione rivolta verso la piazza Gen.le Carlo Alberto Dalla Chiesa, la piazza retrostante il Commissariato di P.S. per intenderci. Essendo un po' appartata per chi proviene dalla discesa, appena girato l'angolo poco distante dalla Farmacia Giusto¹, occorre girarsi verso destra per individuarla e, devo dire, ne vale la pena. E' di recente costruzione, infatti se si va a guardare su google maps ancora nel dicembre 2009 non appare. E' veramente semplice, fatta bene per accogliere egregiamente una grande immagine della nostra Patrona, Maria SS. delle Vittorie. E' tenuta in ottimo stato e non rimane che fare i complimenti alla famiglia che ha pensato e realizzato questa moderna e simpatica opera votiva.  

¹ Una delle più antiche di Piazza che sino a qualche anno fa si trovava in via Garibaldi 1.

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Traduzione In mezzo a tanta candida neve

TRADUZIONE

IN MEZZO A TANTA CANDIDA NEVE

Quando penso a una cosa bella penso a mia madre
Si chiamava Angelina ed era una donna alta
Robusta al punto giusto
Con la pelle bianca e liscia
Che assomigliava a quella
Di una bimba appena nata.

La sua bella faccia non aveva
Neanche l’ombra di un trucco
Aveva un portamento autoritario
Che le veniva confermato
Dallo chignon che portava in testa.

Ma non era uno chignon fatto
Coi suoi propri veri capelli
Perché lei di capelli ne aveva pochi
E questa eredità la diede a me
Perciò era uno chignon finto.

Ci ho messo un po’ di anni per capirlo
Me la ricordo verso sera seduta in camera da letto
Sopra lo sgabello davanti alla pettiniera
Che si levava lo chignon
Per conservarlo dentro una scatola rosa
Pronto per metterselo il mattino dopo.

Lei era più giovane di mio padre di quattordici anni
E per questo mio padre le aveva dato
La libertà di amministrare la casa e la famiglia
Non per niente moglie di un carabiniere
la chiamavano LA CAPITANA.

E veramente come una capitana
Crebbe me e mia sorella
Facendoci rigare dritto
Con le regole della buona creanza
Per la verità troppo rigorose
Che diede lei
Col tacito consenso di mio padre.

Mia madre aveva una camminata dritta e veloce
E andava per la sua strada
Senza guardare a nessuno
Non si accorgeva delle occhiate
Che le davano certe persone
Tanto era bella
Ma io che le camminavo a fianco
Mano nella mano invece sì
E mi sentivo pure tantino gelosa.

Lei era figlia di sarta,
Mia nonna Fifì della poesia
“Ancora mi risuona nelle orecchie”,
Che le aveva passato nelle mani
L’abilità di cucire vestiti
O diciamo meglio di aggiustarli
A questo proposito un ricordo
Che non mi posso scordare
Sono le grida che succedevano in casa mia
Al momento di uscire per la passeggiata
Della domenica dopopranzo.

Ora vi racconto.
Vista la scarsità di soldi
Il lavoratore era solo mio padre
E gli toccava mantenere sei persone
Mia madre mi vestiva con i vestiti
Che non stavano più a mia sorella Maria Vittoria
Dopo che le aveva aggiustati.

Raramente io potevo avere un vestito
Mio da principio
Per questo in casa mia ad ogni uscita
C’erano litigi
Ma inutili perché tanto vinceva sempre
La bella capitana di mia madre!

Però era pure sempre lei
Che mi rincorreva per casa
A me, grande di ormai quattordici anni
Alta e secca
Visto che ero difficile nel mangiare
Nelle mani la tazza di pane e latte
E mi imboccava al volo
Mentre io mi preparavo per andare a scuola.

Ho un altro ricordo che più degli altri sottolinea
Il carattere di capitana di mia madre
Lei ormai grande di sessant’anni e passa
E rimasta vedova
Veniva a stare per anni
A casa mia a Torino.

Ogni mattina che io uscivo di casa
Per andare a fare la maestra di scuola elementare
Lei si affacciava alla finestra
Per accompagnarmi con gli occhi
Intanto la sua bocca
Diceva sempre le stesse parole
<<Mi raccomando Rosalba, ritirati presto!>>.

Però mia madre molto più giovane
E più bella di quanto me la ricordi io
Ancora con tanti capelli in testa
Sapeva essere pure romantica
Guardate quanta tenerezza c’è in queste parole
Che lei dedicava a mio padre
Scritte dietro una sua foto:
<<In mezzo a tanta candida neve, il mio pensiero va’...
felicemente al mio lontano amore Filippo>>.

Rosalba Termini, Luglio 2016

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In mezzo a tanta candida neve

'Ngiulìna Palermo, Giardino Garibaldi, P. Armerina, Feb. 1938

Il retro della foto in alto, Feb. 1938

Ognuno di noi è convinto di sapere ogni cosa sui propri genitori che ci sono stati accanto per anni e anni. Invece, basta leggere una dedica dietro una vecchia foto, per rivelarci una sfumatura del carattere che non ci aspettavamo minimamente che possedessero, sbalordendoci: una mamma dal carattere tanto forte da essere chiamata a cap'tàna, capace di scrivere parole tenere e romantiche al suo lontano amore.
     
IN  MEZZO A TANTA CANDIDA NEVE

Quànn pens a na còsa bedda pens a me màtri
S’ ciamàva ‘Ngiulìna ed era na föm’na àuta
‘Mpustà o pönt giùst
Ca pedd biànca e lìscia
Ch’ s’m’gghiàva a cödda
D na p’c’rìdda appèna nascìua.

A so bédda fàcci non ggh’avéa
Mànch l’ömbra d ’n trùcch
Avèa ‘n portamènt autòr’tàri
Ch’ ggh v’néa cunf’rmà
Du tùpp ch’ purtàva ‘n tèsta.

Ma non era ‘n tùpp fàit
Ch’i sò pròpi vèri cavégghi
P’rchì jédda d cavégghi n’avéa poch
E cössa ered’tà a dess a mi
Pr’vèra era ‘n tùpp fint.

Ggh’ mìsgi ‘n po’ d’annètti p’ capi’rlu
Ma r’gòrd a scurùa s’tàita ‘nta càm’ra du ddétt
Sövra u sgabèllu danànzi a p’tt’niéra
Ch’ s’ l’vàva u tùpp
P’ sauvèrlu dìntra na scàtula ròsa
Prònt p’ mènt’slu u mattìngh dòp.

Jédda era ciù giöv’na d’ me pàtri d’ quartòd’sg anni
E p’ cöss me pà ggh’avèa dàit
A l’bertà d’amn’strè a càsa e a famìgghia
Non p’ nènt mugghièr d’ ‘n carrub’nèr
A ciamàv’nu A CAP’TÀNA.

E padàveru com na’ cap’tàna
Cr’scì a mi e a me söra
Fasgèn’n r’ghè drìtt
Cu i règuli da bòna criànza
Pa v’rtà tröpp r’gurös
Ch’ dèss jédda
Cu tàc’t cunsént d me pà.

Me matri avèa na cam’naùra drìtta e velòc
E annàva pa so stràta
Senza guardè a nùdd
Nan s‘ntunàva d’ l’uggiàdi
Ch’ ggh dàvnu certi cr’stiài
Tantu era bedda
Ma jé ch’ ggh cam’nàva o sciànch
Màngh p’ màngh invèci sci
E m’ s’ntèva ‘mpùru tantìcchia g’lösa.
 
Jédda era figghia d sàrta,
Me nànna Fifì da puisìa
“Ancöra m’ r’söna ‘n l’aréggi”,
Ch’ ggh’avèa passà ntê mangh
L’ab’l’tà d cusg robi
O d’sgìöma méggh d giustèli
A st propòs’t ‘n r’gòrd
Ch’ non m’ pòzz scurdé
Sunu i griàdi ch’ succèdiv’nu nâ mi casa
A l’otta d nèsc pa passiàda
Da druménia a dommangè.

Öra vu cönt.
Vìsta a scarsiàda di grài
U travagghiaör era sö me pà
E ggh tuccàva mantèngh sei persòni
Me màtri m’ v’stìva cu î robi
Ch’ non stav’nu ciù a me söra Marìa V'ttòria
Dòp ch’ l’avéa giustàit.

Raramènt jé putéva avér na v’stìna
Mia d’ pr’ncìpi
P’ cöss ‘n casa mi ad ogn n’sciùa
Ggh’er’nu scérri
Ma inùtu p’rchì tantu vénzeva sèmpr
A bedda cap’tàna d me mà!

Però era 'mpùru sempr jèdda
Ch’ m’ r’ncurrèva casa casa
A mi, rànna d’oramài quartòd’sg anni
Àuta e séccha
V’dùit ch’era mala mangiànda
Cu ntê màngh a cupìna du pangh e ddàit
E m’ ‘mbuccàva o vòlu
‘Ntènt ch’ jé m’ pr’paràva p’annèr a scòla.

Ggh’hòi n’àutr r’gòrd ch’ ciù d l’àutri r’màrca
U caràtt’r d cap’tàna d me màtri
Jèdda oramài rannùzza d s’ssant’ànni e passa
E r ‘stàit vìdula
V’nèa a stè còp d’annàdi
‘N càsa mi a Torino.

Ogn mattìngh ch’ jé n’scèva d ‘n càsa
P’annè a fè a maìstra d scòla elemèntari
Jèdda s’ facciàva a f’nèstra
P’ cumpagnèm cu l’öggi
Intànt a so böcca
Dis’gèa sèmpr i stìssi paròddi
<<M’ raccumann’ Rosà, r’cöggh’t  ‘ncurrénn!>>.

Però me màtri assài ciù giöva
E ciù bedda d quànt ma r’gord jé
Ancöra cu tanti cavégghi ‘n tèsta
Savèa èss ‘mpùru romànt’cha
Talià quànta t’nn’rézza ggh’è ‘n sti paròddi
Ch’ jédda ded’càva a me pà
Scr’vùit darrèra ‘n so r’tràtt:
<<In mezzo a tanta candida neve, il mio pensiero va’…
felicemente al mio lontano amore Filippo>>.

Rosalba Termini, Luglio 2016

La traduzione nel prossimo post.

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