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Cronarmerina - Dicembre 2015

Fontane n. 1, 2 e 3

La Fontana Sottopontegalleria/n. 1
La Fontana Sottopontegalleria/n. 2
 
Fontana-Abbeveratoio/n. 3

Dopo La Fontana Sottopontegalleria n. 1 e La Fontana Sottopontegalleria n. 2, eccovi La Fontana-Abbeveratoio/n. 3. E' quella che, dopo aver ricevuto le vostre segnalazioni, sono andato a visitare in contrada Liano (o Eliano, Aliano, Leano). Si trova sul bordo stradale di sx a ca. 1 km dall'eremo di Santa Maria della Concezione, e prima non si notava perché era completamente coperta da arbusti e sterpaglie. La ricerca di altre fontane continua.

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I babalùcci

Oltre e chiàpp'ri in questi giorni è facile trovare ai bordi delle nostre strade un altro "passatempo" culinario dei Piazzesi, I BABALÙCCI (termine derivante dall'arabo babùsch=lumaca). Sì, a Piazza appena inizia l'estate iniziano i concerti musicali, non come prima ntê curt'cchi, ma nei condomini. Oggi, un po' meno di qualche decennio fa, la musica è sempre quella che si fa succhiando gli "strumenti" che altro non sono che gli invetebrati con la roulotte. Questo è il periodo dei babalùceddi (lumachine), poi quello dei babalùcci (lumache più grosse e rigate). Successivamente, alle prime piogge, oltre i babalùcci si raccolgono i crastöi nëri (lumaconi) e l'aìri, cioè chiocciole verdognole e callose da arrostire sul fuoco, ma difficili da digerire se non accompagnate da un buon vinello. Oltre al sistema "musicale", che presuppone il dente (di solito quello incisivo) allenato a fare il buchetto nella parte centrale degli invertebrati, per consentire così il passaggio dell'aria permettendo il famoso risucchio, c'è il sistema "meccanico" con l'uso di un attrezzo acuminato, n'aùgghia, na spìngula o un moderno stuzzicadenti, col quale tirare fuori dalla conchiglia il prelibato invertebrato. Il gusto è fenomenale e, specie col sughetto unna è obl'gatòri 'nzuppè u pangh, anche la melodia ne trae vantaggio. Ma chi li cucina non è tanto d'accordo, perché occorre pulirli bene, perciò ci vuole tempo e pazienza, e come si dice, va a finire sempre ch' ungh spënz a prëa e l'autr s' fött u babalùcc! (che uno alza la pietra e l'altro si fotte il babaluccio!)

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A bumma d Catania/2

Catania, anni '30
  
La bomba di mezzogiorno 2^ e ultima parte

(dalla 1^ Parte) Ma vediamola da vicino, questa bomba di mezzogiorno. Poiché una delle maggiori preoccupazioni degli amministratori comunali sembra sia stata quella di fornire l'ora agli amministrati (prima con le meridiane solari, poi con i grandi orologi pubblici), il Comune di Catania, per non esser di meno, pensò alla bomba di mezzogiorno come la più idonea messaggera dell'ora esatta e, nel 1918, affidò l'incarico di realizzarla a Francesco Viola, mago dei mascolari¹ nostrani, il quale assieme a Giamora, ai Recupero, ai Lombardo, teneva alto il vessillo della pirotecnia isolana, in quei tempi ormai lontani. Stipulato il contratto col Comune, don Francesco si mise all'opera, obbligandosi di sparare la bomba alle ore dodici di tutti i giorni, escluso le domeniche e le feste comandate, dietro compenso annuo di lire quattromila. Così, piovesse o si bruciasse per il caldo, in maniche di camicia o incapottato, alle ore 11,30 di tutti i giorni il nostro uomo lasciava il suo lavoro o qualunque altra incombenza avesse per le mani, e si avviava di buon passo verso le sciare Curia (area del nuovo San Berillo) ov'era allogato il suo campo operativo. Ivi giunto, tirava fuori dall'apposita casedda la bomba di polvere nera, già confezionata, si accostava al grosso mortaio (15 mm. di diametro) interrato in quei paraggi, lo scoperchiava, vi calava dentro il petardo e, miccia alla mano, attendeva con lo sguardo rivolto a San Nicola (il monastero dei Benedettini era nel punto più alto della città). Quando, azionata dai tecnici dell'Osservatorio astrofisico, un minuto prima delle 12, la grossa palla di giunco scuro s'innalzava lungo il suo sostegno (un palo alto 3 metri) e appariva allo sguardo attento di don Francesco Viola, questi dava fuoco all'innesco, e la bomba detonava fragorosamente, mentre, a San Nicola, la palla segnaletica tornava di colpo alla base di partenza: era mezzogiorno in punto. Poi, don Francesco tornava alle sue polveri, ai suoi cartocci, alle sue girandole, e alla bomba di mezzogiorno non pensava più, fino all'indomani. (tratto da Catania romantica di Lucio Sciacca, L.I.S. S.r.l., Palermo 1979)

¹ Artificieri, pirotecnici.

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Al Carmine

 
Ieri nella mia visita al Carmine, all'interno a sx, ho fotografato la statua della Madonna in marmo della foto in alto. La statua è opera dell'artista palermitano Antonello Gagini (1478-1536) e si trovava, sino a qualche decennio fa, nella nicchia sopra il portale della facciata, come indico con la freccia in una vecchia foto. Inoltre, la Madonna tiene tra le mani il Bambino Gesù ma senza più il capo e una gamba. All'esterno sopra la nicchia si trova una piccola lapide con iscrizione che ricorda l'anno di costruzione dell'attuale chiesa (1652) e i cognomi dei Priori Carmelitani di allora che si adoperarono a tale scopo. Sopra la grande finestra c'è uno stemma inclinato, retto da due bambini, emblema del convento piazzese. I Carmelitani ebbero la loro prima sede al Monte nell'antica chiesa di S. Lucia, nel complesso che fu occupato in seguito dai Francescani dove innalzarono in seguito la chiesa di S. Francesco. Dal 1332 si trasferirono sul colle dell'Altacura per dar vita al nuovo convento dedicato alla SS. Annunciata, in quello che era stata una Commenda dell'Ordine Militare Crociato Teutonico. Il Convento fu la sede di ben 6 Capitoli Provinciali e conservò, fino alla soppressione degli Ordini religiosi nel 1866, una creduta sacra spina della corona di Cristo, portatavi dal Padre teologo piazzese Maestro Prospero Giambertone nei primi anni del Seicento.
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A bumma d Catania/1

Catania, Piazza Duomo, anni '30

 A Catania dal 1918 al 1939 si sparava una bomba per indicare le ore 12:00

1^ Parte

Una bomba gradita, nel periodo a cavallo fra le due guerre, fu quella cosiddetta di mezzogiorno, innocua e utile al tempo stesso. Nata nel marzo del 1918, sfiorò appena la maggiore età, essendo stata soppressa nel settembre del '39, allorché a Catania si fecero i primi esperimenti di oscuramento e si provarono le prime sirene d'allarme. Ma prima di essere collocata a riposo d'ufficio, prima di lasciare il posto alla stridula (e sgradevole) sirena delle ore 10 (dal sett. 1939 al giu. 1940, tranne le domeniche), e poi ad altro tipo di bombe che sparavano anche di notte, la bomba di mezzogiorno, approfittando della quiete nella quale era immersa la città, giungeva puntuale all'orecchio dei meno distratti, per avvisarli che mezza giornata era volata. Nelle case, dentro ai locali pubblici, per la strada, ovunque fosse in grado di giungere, la gente ne prendeva atto, con maggiore o minore interesse, a seconda che gli impegni di ciascuno fossero più o meno pressanti. Chi non riusciva a percepirla, fattasi l'ora, assumeva informazioni: - Sparau 'a bumma? - No, n'a sparatu! si rispondeva. Oppure: - Comu! n'a sintisti?! I fortunati possessori di un orologio, lo tiravano allora dal taschino del gilè, esibendone l'ora esatta; chi invece, disponeva di una cipolla ed era costretto a regolar le lancette, avanti o indietro, a seconda del caso, lo faceva con vivo disappunto o con malcelata indifferenza o, addirittura, aspettava d'esser solo per farlo. (tratto da Catania romantica di Lucio Sciacca, L.I.S. S.r.l., Palermo 1979) (continua)

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Capperi!

In questi giorni non è difficile trovare per le nostre vie venditori di CHIÁPP'RI (nella foto quelli di via Mazzini), pianta tipicamente mediterranea che ama il caldo e il sole. Addirittura vive persino nel deserto del Sahara. Il nome deriva dal greco Kàpparis che a sua volta deriva dall'arabo al-qàbar. Ottimo nelle insalate e nelle salse contiene anche proprietà digestive e toniche.Se non ricordo male c'è un detto per dire di non prendersela tantu è brodu di chiàpp'ri!

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Muliano come Fiuggi

Piazzesi alla "Fonte oligometallica" di contrada Muliano
Dal libro La valanga primogenita con il quale il canonico Filippo Piazza nel 1941 propone, stimola e auspica la bonifica ruro-biologica del territorio piazzese, rivolgendosi alle autorità più alte del regime fascista, si viene a  sapere della bontà delle oltre 800 sorgenti presenti sui nostri monti. Tra queste una viene addirittura segnalata a p. 64 per le qualità tanto particolari da essere indicata per la crenoterapia (tecnica che fa uso dei mezzi termali): <<In contrada Muliano scorre un'acqua minerale oligometallica, differente, a 20 gradi, da quella distillata appena un decimo di millesimo. A lume della scienza e all'esperimento clinico s'è già affermata d'un alto valore teraperutico>>. Segue la lettera dell'autore: <<A S. E. On. Benito Mussolini... Il Piazzese è un popolo intelligente, amante del lavoro, ma non ricco. Eppure potrebbe trovare lavoro e pane, se si proseguissero gli scavi al vicino Casale dei Saraceni e specialmente s'istituisse una stazione idroclimatica, la più bella d'Italia, in contrada Muliano (a 3 Km. dalla Città), dove esiste una nuova sorgente di acqua oligometallica, ipotonica, leggera quasi come distillata, di cui essendo un decimo di millesimo più densa a 20 gradi, riesce radioattiva, diuretica, e perciò molto utile nella prevenzione e nella cura di numerose malattie. Non può essere diversamente di quest'acqua, che lava il sangue e toglie in radice i morbi... Le mie sono idealità belle, utili al popolo, all'Italia tutta, ma non possono certamente riuscire efficaci se non saranno discipilnate dall'Eccellenza Vostra. Milano 2 novembre 1936-XV, Dev.mo Filippo Piazza>>. Nei capitoli successivi si trovano l'intervento, il ritardo e la delusione: <<La mia duplice petizione fu benevolmente accolta. Dopo la visita d'accertamento d'un ingegnere al Casale, d'ordine del Duce furono concesse Lire 30.000 per il proseguimento degli scavi (n.d.r alla Villa Romana del Casale). Frattanto si ordinò alla R. Prefettura di Enna di procedere all'esame dell'acqua di Muliano... l'esatta relazione venne trasmessa al Duce con la proposta favorevole al suo uso terapeutico. In conseguenza S. E. il Prefetto venne incaricato d'invitare il proprietario a fornirsi della concessione della sorgente e nello stesso tempo a presentare regolare domanda documentata... per ottenere l'uso idropinico di tale acqua minerale... Dall'agosto 1939 (n.d.r. data della lettera della Prefettura) ad oggi (n.d.r. 1941) nulla si è fatto per ottenere il decreto>>. Da allora non se ne seppe più nulla. Altra occasione persa per Piazza e i Piazzesi!
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Famiglia Moac o Modica

D'azzurro col capo d'oro caricato da un elmo di verde con lambrequini volanti del medesimo.
I primi componenti della famiglia Moac o Modica, originari della Francia settentrionale, vengono in Sicilia con il conte Ruggero il Normanno, ottenendo l'investitura della contea di Modica, dalla quale traggono il nome. Nel 1161 Aquino di Moac (alias de Modica) è al comando del corpo di spedizione per combattere gli insorti contro re Guglielmo I in Terra di Lavoro (Campania). 1190 ca. Gualtiero, figlio di Aquino, è ammiraglio sotto Guglielmo II e, parteggiando per Tancredi di Altavilla contro Enrico VI di Svevia, è spogliato di tutti i suoi beni. In questo periodo i Moac divengono piccoli feudatari in tutta la val di Noto. 1270 ca. Guido è perseguitato dagli Angioini e ottiene da re Giacomo la restituzione del feudo Favarotta (presso Licata). Federico di Moac ottiene il vicino casale di Riesi e il feudo Cipolla, pertanto nel 1296 tra i feudatari di Plasia troviamo lui e il fratello Federico che possiede i feudi di Riesi e Cipolla. 1348 ca. i de Moac si attribuiscono le funzioni di giustiziere della Città. 1356 Gerlando de Moac è inviato come capitano di guerra a Caltagirone. 1380 ca. Caterina possiede la Terra di Sortino. 1398 Petruccio Lancia de Moac ottiene l'investitura della Terra di Sortino che apparteneva alla madre Caterina. 1408 Rainiero senior de Modica possiede il feudo Xilinde (oggi Friddini) e nel 1421 possiede anche i feudi Bugidrano (limitrofo a Ursitto) e Consorto. Sempre nel 1408 Giacomo de Modica possiede il feudo di Raddusa. 1437 Manfredo senior de Modica de Villardita è barone dei Salti dei Mulini. 1479 Rainiero junior de Modica vende il feudo di Bugidrano riservandosi il diritto di riscatto. 1504 Agatuccia de Modica vende il feudo Friddini a Cesare Bonanno e nel 1515 lascia in eredità al figlio, Antonio Gravina, il feudo di Consorto. 1520 Giovanni Antonio De Modica-Villardita è barone di Bessima e del Mulino di Donna Guerrera e il fratello Pietro è barone dei Salti dei Mulini. La figlia di Pietro barone dei Salti, Laura, si sposa con Bernardino Barbarino. 1556 Guidone de Modica risulta proprietario del feudo di Bugidrano avuto dal padre Pietro e che questi ha avuto da suo padre Giacomo avendolo riscattato nel 1519. 1630 Gerolamo Modica è padre gesuita docente nel Collegio di Piazza. Esiste un altro stemma di questa famiglia indicato dal Villari: d'azzurro alla campagna mareggiata d'argento, sormontata da una stella d'oro.  Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Ricerca sull'Epigrafe in Biblioteca

 
 
 
Era proprio la sera di un anno fa quando io, incoraggiato dal compianto parroco don Enzo Cipriano, dopo un'approfondita ricerca e l'aiuto indispensabile nella traduzione di due amici, prof.ssa Carmela La Bruna e prof. Antonello Capodicasa, ho avuto modo di parlare dell'epigrafe posta sul portone d'ingresso della Biblioteca Comunale. L'epigrafe in latino, murata sulla porta di quella che era stata in passato la Sala del Coro del Collegio dei Gesuiti nonché Oratorio della Confraternita dei Nobili, per tantissimi anni è rimasta lì considerata dai più solamente una comune lastra di marmo a ornamento dell'antico e prestigioso chiostro. Invece, dopo la traduzione, l'Epigrafe si è rivelata una Bolla Pontificia del 1618 di enorme importanza che io considero un vero e proprio BALUARDO DELLA CULTURA. Infatti, era l'ammonizione di Scomunica e Privazione della Voce in Capitolo che arrivava direttamente dalla Santa Sede, verso tutti coloro i quali avessero preso in prestito o sottratto i libri presenti nelle fornitissime biblioteche dei due Conventi di Francescani Riformati allora presenti a Platia, San Pietro e Santa Maria di Gesù. La Bolla era il giusto risultato delle lamentele presentate a Roma personalmente dal frate francescano Bernardino de Randazzo che, salendo dalla Sicilia, aveva fatto presente (forse più volte) dei continui saccheggi di volumi che si perpetravano presso quelle biblioteche. Per chi volesse approfondire la traduzione e scoprire ulteriori curiosità vi rimando in fondo alla pagina del blog nello spazio "Le mie ricerche già pubblicate", basta cliccare sull'immagine dell'epigrafe. Per chi non ha voglia ripropongo qui le ultime righe lette un anno fa a San Pietro: Questa indagine accurata su un "pezzo di marmo bianco" scolpito quattro secoli fa, trascurato da tante generazioni di Piazzesi e collocato da un secolo e mezzo in uno degli edifici più importanti della Città, ci deve far riflettere su quanto siamo consapevoli di quello che ci hanno lasciato nei secoli i nostri antenati e di quanti di questi "pezzi di marmo", distribuiti per il paese, conosciamo i motivi per i quali sono stati incisi e che hanno visto come incisori i nostri trisavoli. Checché se ne dica, dobbiamo renderci conto che noi siamo il risultato di quello che erano i nostri progenitori, e che i nostri discendenti saranno il risultato di quello che siamo noi. Per questo non dobbiamo trascurare la nostra storia, perché senza memoria non avremo futuro. Che è poi quello che sto cercando di attuare attraverso questo blog. 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it 

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I cartelli

 
 
Altro gioco della nostra infanzia era quello che chiamavamo I CARTELLI. Intanto occorreva procurarsele e il mezzo più comune era quello di acquistarle confezionate in bustine nell'edicola in Piazza Garibaldi o nei vari tabacchini, al costo di 10 o 20 Lire, quando c'erano! L'altro mezzo, meno comune e, al dire il vero, un po' pericoloso era quello di fare BÙRG. Questo metodo illegale era usato dai ragazzi "discoli" un po' più grandi che, assistendo giocare i più piccoli, decidevano di impossessarsi delle cartelle in gioco senza chiedere permesso, al solo grido "A bùrg", arraffando il più possibile. Il termine bùrg nella nostra lingua gallo-italica vuol dire mucchio, quindi chi gridava quel termine dava l'assalto al mucchio di cartelle che si erano accumulate. L'acquisto delle cartelle consentiva di fare le raccolte, ovvero di incollarle negli album per completarli il più possibile, per poi ottenere qualche premio come quello indetto dalla FERRERO (i premi in genere erano matite a colori, astucci, penne, righe). Per questo motivo occorreva scambiare i propri doppioni con quelli degli altri, sperando di trovarli, ma era raro che qualcuno completasse la serie. Quando si mostravano le cartelle il compagno che le visionava indicava "ce l'ho, ce l'ho" oppure "non ce l'ho" quindi poteva essere scambiata. Oltre allo scambio si provava a vincerle in vari modi. Il più semplice era quello di appoggiare la figurina al muro e lasciarla andare cercando di farla cadere su una di quelle già sul terreno. Se ciò accadeva si vincevano tutte le figurine che a poco a poco si erano già posate. Un altro, più complicato, era quello di far capovolgere il mazzetto in palio con lo spostamento d'aria procurato o dalla battuta del palmo della mano o dal soffio con la bocca. Il grado di "ricchezza", di "bravura" o di "spregiudicatezza" era indicato dal mazzo di figurine che si mostrava ai compagni ogniqualvolta ci si riuniva, dopo i compiti, pa stràta o no curt'cchiu. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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