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Cronarmerina - Dicembre 2015

I due pionieri restauratori

I sigg. Filippo Di Seri e Giovanni Anzaldi
A sx il Sig. Di Seri, a dx il Sig. Anzaldi
Eccovi nelle due foto i due pionieri del restauro della Villa Romana del Casale ricordati ieri con una targa. Sono Filippo Di Seri (1925-2008) e Giovanni Anzaldi (1925-2010) che con le proprie capacità professionali, ma soprattutto con l'amore che era dentro di loro, si sono dedicati allo scavo e al restauro dei famosi Mosaici. All'inizio degli anni '50 la Villa Romana apparteneva alla Sovrintendenza di Siracusa, guidata dall'archeologo Vinicio Gentile e dall'assistente principale cav. Vittorio Veneziano. Questi ultimi incaricarono, per le loro doti di restauratori, i due piazzesi al restauro del mosaico (strappo dei pavimenti, incorporamento su cemento armato, etc.). Qualche anno dopo, grazie alla loro esperienza diventarono Assistenti Archeologici, soprattutto durante gli scavi a Montagna di Marzo, dove riuscirono ad individuare molte tombe, dentro le quali trovarono preziosi pezzi che hanno poi arricchito le sovrintendenze di Siracusa, Agrigento ed Enna. Durante questi scavi, in particolare il sig. Di Seri, con grandi capacità lavorative, ha eseguito questi lavori, mettendo a rischio la propria vita, per tutelare e custodire i beni ritrovati dai tombaroli. Il suo tempo libero lo dedicava alla Villa, mantenendo viali fioriti, angoli pieni di verde e decori con delle scritte floreali. Altri uomini di cultura umanistica e scientifica, come il preside Vito Romano e il prof. Ignazio Nigrelli, riconobbero le capacità professionali e umane di questi PIONIERI. In seguito il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, nel 1986, conferì loro il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana del Lavoro.
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
 
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Targa ricordo

Ieri pomeriggio alla Villa Romana del Casale, alla presenza del Sindaco uscente prof. Carmelo Nigrelli, del direttore del Parco Archeologico della Villa Romana del Casale arch. Guido Meli, dei parenti (tra i quali il prof. Pippo Di Giorgio che si è prodigato a sollecitare la targa) e di un folto pubblico, è stata scoperta una targa in ricordo di due piazzesi, che sin dagli inizi degli anni '50 si dedicarono allo scavo e al restauro dei mosaici. I restauratori erano i sigg. Giovanni Anzaldi e Filippo Di Seri che negli anni sessanta furono nominati Operarori Tecnici del Ministero dei Beni Culturali, così competenti da essere chiamati come restauratori di mosaici in tante città come Ancona, Pompei, Tindari, Siracusa, Morgantina e Gela. Nei brevi discorsi di presentazione, è stato messo in risalto la figura di questo tipo di artigiani-amatori-cultori senza i quali gli studiosi, i professori e gli scopritori di opere così importanti, non potrebbero conseguire tali traguardi importanti per la cultura e la conoscenza, ezzenziali per tutta l'umanità. Infatti, non bastano gli studi, le competenze e le genialità se non ci sono questi operai responsabili e onesti che oltre ad aiutare a restaurarli non li tutelano, rispettandoli quasi come beni dei propri diretti avi, per "traghettarli" (è il termine usato dall'arch. Meli) nei migliori dei modi alle future generazioni. Gaetano Masuzzo/cronarmerina 
 
*Nel prossimo post le foto dei due restauratori a lavoro.
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I due fotografi e altri

 
Queste sono due foto della stessa manifestazione: l'inaugurazione alla stazione dell'arrivo della ferrovia a Piazza il 7 Settembre del 1920. Mentre la foto in alto con la visuale più ravvicinata, è anonima, quella in basso porta chiaramente la firma dell'autore Foto Caponetti, per la precisione Angelo Salvatore Caponetti, conosciuto anche come "u mutu", in quanto sordo e muto. Quella in alto è dell'altro fotografo più famoso, ma sempre piazzese, Antonio Balbo, nato il 24 Febbraio 1888 e morto il 2 Settembre 1957. Del primo sappiamo che era nato a Piazza il 30 Giugno 1893 da Francesco Caponetti e Fortunata Allegra. Sposatosi nel 1916 con Ermenegilda Caponetti (forse una cugina) emigrò per breve tempo nel 1936 a Tripoli, per poi trasferirsi definitivamente nel 1950 a Torino, dove morì il 4 Gennaio 1963. La sua abitazione, dove c'era anche l'attrezzatissimo laboratorio fotografico all'ultimo piano, era in via Commenda 6 (oggi via Pietro Cagni), l'ultima traversa a sx della via Garibaldi. I due eccellenti fotografi erano quasi coetanei ma a noi sono rimaste soltanto tantissime foto di Balbo, tante da poterne fare alcune mostre. Antonio Balbo era sposato con Elvira Amoroso e il suo studio prima era in via Marconi 40 (oggi gioielleria Barbera) poi si trasferì in via Umberto 68 (dentro il cortile). Nel 1938 si adoperò con le sue foto per far conoscere i mosaici ritrovati alla Villa Romana e incentivare così ulteriori campagne di scavi, opera iniziata nel 1929 dal prevosto della Cattedrale Egidio Franchino e dal sacerdote prof. Filippo Piazza, e continuata dall'avvocato Antonino Arena nel 1945. Grazie alle foto di questi due fotografi, di cui ora sappiamo qualcosa in più, possiamo a distanza di un secolo conoscere com'era la nostra Piazza e i vizi e le virtù dei nostri avi, che poi sarebbero anche i nostri di oggi. Col passare degli anni, tra i fotografi che immortalarono generazioni di piazzesi, ricordiamo il sig. Commendatore e suo fratello con lo studio in via Roma, Totò Macrì a Sètt Cantunèri, Scucchia in via Garibaldi 70, Giuseppe Arena di Aidone in via Garibaldi 72/74, ma che aveva iniziato lavorando come ritoccatore di lastre da Caponetti, Malfa in via Garibaldi che aveva preso il posto di Arena che si era trasferito nella stessa via più in alto, Cascino Carmelo ambulante² e poi in via Garibaldi 110, Cascino Filippo allievo di Commendatore, Cascino Gaetano fratello di Filippo, Gioacchino Minuto (1894-1970) con lo studio, dove scattava foto con lampo al magnesio, in via Mazzini e l'abitazione in via Santangelo e Bruno Battacchi, prima di fronte la villa Garibaldi e poi in piazza Gen.le Cascino. Il Commendatore il più delle volte come studio usava la piazzetta accanto alla cancellata, quasi di fronte l'edicola della Madonna di via Roma. Le foto, specie quelle in primo piano per i documenti, quasi sempre si effettuavano o in mezzo alla via o in cortile per avere più luce, e dietro ai soggetti u carùsu aiutante-fotografo di turno stendeva come sfondo una tela nera, mentre u màstr armeggiava dietro al treppiede.
¹ Padre dello Scucchia commerciante di merceria nello stesso locale.
² Per richiamare l'attenzione suonava una campanella.
* I nominativi sottolineati sono stati aggiunti successivamente.
** Nel luglio del 2015 sono venuto a conoscenza di altri due importanti fotografi operanti a Piazza nei primi anni del Novecento. 
 
cronarmerina.it
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Benefattore poco conosciuto

Foto del ritratto del canonico Antonino di Piazza in mostra nella sagrestia della Cattedrale

 
Lastra di pietra in ricordo del canonico Antonino di Piazza, Campanile della Cattedrale, Piazza Armerina, foto Marta Furnari 2020
 
In questi giorni un amico mi ha fatto pervenire il libro del canonico Filippo Piazza (1884-1959), La Valanga primogenita e la bonifica ruro-biologica, del 1941. Quasi alla fine del suo libro, a pag. 140, il professore di latino e greco ricorda, oltre al famoso gesuita Prospero Intorcetta, anche un grande benefattore suo antenato, Antonino di Piazza: «Ritorna sempre cara l'ombra di Antonino di Piazza che dettò a beneficio della Cattedrale le celebri parole: Vendete e fabbricate. Nel suo testamento del 1628 lascia erede universale di tutti i suoi beni la Chiesa Cattedrale, che allora s'incominciava a fabbricare. Dispose che vi si costruisse una cappella dedicata a S. Antonino, in cui si sarebbe seppellito il suo cadavere [...]. Morì nel 1638 ed ebbe sepoltura provvisoria nella chiesa di S. Antonio, dove un marmo lo ricorda moderator, cioè superiore della Confraternita dei Nobili. Dal 1746 (anno in cui fu terminata la fabbrica della Cattedrale) ad oggi i Sigg. Fidecommissari non hanno provveduto all'osservanza di tale disposizione. Si ricordino che ingenti son le sue ricchezze [...]. Secondo l'Ufficio Araldico di Palermo, egli proviene da quel Piazza tedesco, che nel sec. IX faceva servizio diplomatico da Berlino a Torino. Le sue propaggini sono diffuse dall'Alta Italia alla Sicilia per mezzo delle colonie lombarde. Nicolò Piazza nel 1739 è il primo ad avere il cognome "Piazza" e non "di Piazza", come risulta chiamarsi suo padre Domenico nell'atto di battesimo del 1709 [...] appare certo che l'indice nobilesco del "di" scomparse tra il 1729 e il 1739». Lo stesso Filippo Piazza, ma in un suo scritto del 1931, così scrive sotto la figura 13, come quella nella foto in alto, che ritrae il nostro Antonino di Piazza: «molto devoto a Maria SS. delle Vittorie, lasciò un ingente patrimonio per la fabbrica della cattedrale. Morì nel 1638 ed ebbe sepoltura provvisoria nella chiesa S. Antonio, in cui, purtroppo, giace ancora: aspetta d'essere seppellito, come dispose nel testamento del 23 agosto 1638, nella cappella S. Antonino della cattedrale, in cui istituì due cappellanie di messe quotidiane» (Filippo Piazza, Il Vessillo del conte Ruggero e la Madonna dei fascisti, Editoriale Tipografica Siciliana, Catania 1931, p. 20).
 
cronarmerina.it
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Al Duomo

 

Sottostanti e indifferenti

 
Grande e maestoso sovrasti 
da sopra il Monte l'intero paese.
 
Al tramonto le tue pietre s'arrossano
di un caldo colore e ti illumini 
come il sole, caldo e immenso. 
 
Per la tua esistenza 
tanta gente t'ha voluto,
per la tua longevità
tanta gente t'ha curato e venerato.
 
Ogni forestiero ti ammira
e chiunque sia passato t'ha reso onore.
 
Dalla tua alta sommità 
la croce sembra toccare il cielo,
così lontana da noi
che le stiamo sottostanti e indifferenti
come mai nessun altro che ci ha preceduto.
 
4 marzo 1987                      Sergio Piazza

 

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Nel busto di Dante

 
Per noi che siamo stati studenti all'Istituto Magistrale "F. Crispi" di Piazza, quello nella foto è un ricordo che difficilmente potremo dimenticare, insieme al nostro prof. Carlo Bondì grande studioso che ostinatamente ce lo voleva far conoscere nei minimi particolari. Ma noi eravamo pronti persino a tesserarci alla Società Dante Alighieri pur di rimandare le interrogazioni, c'è chi ha investito nella Società fior di quattrini in quegli anni. Il busto in marmo del grandissimo poeta Dante Alighieri lo incontravamo ogni mattina al suono della campana a sinistra della grande entrata del prestigioso Istituto, col bidello sig. Di Dio accanto. Dopo la maturità lo abbiamo perso di vista, sino a quando lo abbiamo ritrovato alla Biblioteca Comunale e, ancora dopo dal Dicembre 2011, nel vestibolo della Pinacoteca Comunale, con tutto il basamento. Ma non tutti, anzi nessuno, avevamo letto cosa ci fosse scritto su questo enorme blocco di marmo, scolpito dall'artista Francesco Messina (Palermo ? - Palermo 1914) conosciuto per alcuni monumenti funerari a Palermo e Agrigento. A distanza di 43 anni c'è voluta una enorme dose di curiosità per leggere da vicino tutte le parole che, anche se scolpite, si confondevano col bianco del marmo. 
Eccovi la scritta completa indicata nella foto dalla freccia gialla:
al centro, sul libro scolpito in rilievo, Divina Commedia, poi in basso
 
IL CULTO DI DANTE
GUIDO BACCELLI¹
RIDESTAVA IN ITALIA
 
LA R. SCUOLA NORMALE DI PIAZZA ARMERINA
DIRETTRICE MARIA ROMANO
 
LA GENIALE IDEA SECONDANDO
AD OMAGGIO DEL DIVINO POETA
 POSE
 
XXIX GIUGNO MDCCCC 

¹ Guido Baccelli (1830-1916), medico e politico italiano, umanista e appassionato di antichità classica che, tra le tante iniziative, promosse i restauri del Pantheon e diede impulso determinante agli scavi di Pompei. Inoltre, fu tra i protagonisti principali nella lotta alla malaria e tra i primi a usare sistematicamente lo stetoscopio. Tra gli uomini di Stato più influenti in Italia, ricoprì la carica di ministro della pubblica istruzione per 6 volte tra il 1881 e il 1900.

N.B. Nell'aprile del 2016 il prof. Marco Incalcaterra ci ha fatto conoscere l'esistenza della pubblicazione di 10 pagine di Maria STELLINI MARESCALCHI, DISCORSO in occasione dell'inaugurazione del monumento a DANTE ALIGHIERI nella R. Scuola Normale di Piazza Armerina, Tipografia G. Bologna La Bella, PIAZZA ARMERINA 1900. La Signora Maria Stellini fu la moglie del commendatore Lorenzo Marescalchi, fratello del deputato e senatore Luigi (1857-1936).
In questo sito anche Ah, sommo padre Dante!
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Compagno indimenticabile del 1937

Prof. Giuseppe Secondo
Quando ho letto che tra i compagni di classe nell'anno scol. 1937-38 del prof. Giuseppe Peritore c'era un certo Secondo, ho provato a chiedere al mio vicino di casa prof. Giuseppe Secondo se quel cognome gli ricordasse qualcuno, sapendo della sua frequenza del magistrale cittadino e della sua ottima memoria. Prontamente e senza alcuna titubanza il prof. Secondo ha risposto che era il suo compagno di classe d L'càta (di Licata - CL). Dopo avermi elencato, confermandomeli, altri nominativi, tra i quali anche quello della preside di allora, ha aggiunto anche un particolare degno di nota. In segreteria in quel periodo anteguerra prestava servizio niente di meno che una nipote del poeta e scrittore Giosuè Carducci (1935-1907). Infatti, la signora Clelia Carducci, moglie del dottore piazzese Salvatore Marino abitante in via Mazzini al n. 95, era la figlia di Valfredo, fratello del premio Nobel per la letteratura. Valfredo visse a Piazza, presso l'altra figlia Ildegonda, sino alla sua morte avvenuta nel 1919. Inoltre, il prof. Secondo ha ricordato, senza che io gliene avessi parlato, di quella volta che andarono per una scampagnata a "Zàzza vèccia", come dice il Peritore nella sua autobiografia, nel terreno del compagno di classe Di Stefano e, lasciandoci, mi ha manifestato il grande desiderio di voler rivedere il suo indimenticabile compagno della provincia di Caltanissetta. Se ci pensiamo, si sta parlando di un signore di 91 anni che, dopo 76, si ricorda benissimo di un suo compagno, col quale è stato in classe solo per un anno e di una scampagnata trascorsa insieme! Altre generazioni! 
Il prof. Secondo Giuseppe (per gli amici Peppino) classe 1922, compagno alle elementari di mio padre Gino, dopo il diploma magistrale partì per la guerra, al rientro dopo qualche anno iniziò a insegnare in alta Italia. Nel 1951 ottenne il trasferimento a Piazza, al I Circolo Elementare della Trinità. Successivamente divenne Segretario del Patronato Scolastico, però tutti lo conosciamo come proprietario-gestore dell'altro grande cimena della nostra Città, l'EXCELSIOR. 
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
 
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Famiglia Miccichè

Di rosso al braccio destro armato al naturale tenente una palma d'oro; il tutto sormontato da tre stelle d'oro a sei punte in fascia nel capo.
Famiglia originaria della Germania di cui un ramo è portato a Messina dal cavaliere Guidone Miccicherio nel 1355. 1578 Girolamo Miccichè oriundo di Pietraperzia acquista il feudo Consorto (nei pressi di San Michele di Ganzaria). 1580 Melchiorra Miccichè si sposa con Giovanni Paolo Trigona barone di S. Cono Superiore. 1598 Andrea è barone del feudo Consorto avuto in eredità dal padre Girolamo. 1609 Andrea barone del Consorto consegna 48 scudi al preposito della Casa teatina per messe di suffragio nella chiesa dei Teatini e l'anno seguente, 1610, lascia in eredità due vigne che rendono annualmente 50 scudi alla loro chiesa intitolata a di S. Lorenzo Martire. 1621 Francesco è barone di Consorto e nel 1645 giurato della Città. 1634 i Miccichè del Consorto acquistano il feudo Mastra e diventano tra le più cospicue famiglie di Platia. 1642 Girolamo junior, barone del Consorto e giurato, lascia un'ingente somma per una messa perpetua presso la chiesa di S. Lorenzo dei Teatini. 1666 Anna Maria Miccichè, figlia di Vincenzo, è baronessa dei feudi Consorto, Gatta e Mastra, inoltre è sposa di Scipione Di Giovanni barone di Pedara dei principi di Trecastagni. Alla baronessa viene applicata sul petto un'immagine metallica raffigurante il Beato Gaetano da Thiene e subito guarisce dai continui disturbi cardiaci di cui soffre. Alla sua morte è sepolta nella cappella gentilizia (la IV a dx) della chiesa di S. Pietro. Sempre nel 1666 Pietro è barone di Grottacalda. 1669 le sorelle Chiara e Antonia dei baroni di Grottacalda si fanno monache nel monastero di S. Agata e nel contempo lo ingrandiscono con la loro casa attigua. Nell'occasione, sulla porta laterale della chiesa, viene murato il blasone dei Miccichè (sicuramente è quello i cui resti si trovano nel chiostro dei Gesuiti). 1694 Marco Antonio, barone di Grottacalda, è cavaliere dell'Ordine degli Ospedalieri. 1713 Caterina Miccichè in Romeo è baronessa di Grottacalda. 1714 il sacredote Michele ha confiscati tutti i suoi beni per essere fuggito da Piazza per osservare l'interdetto. 1746 Pietro è Padre Agostiniano Centuripino presso il convento della "Neve". 1751 Michele è Padre Gesuita docente nel Collegio di Piazza. Di questa famiglia, oltre allo stemma nel chiostro dei Gesuiti, abbiamo due stemmi nella chiesa di S. Pietro, Pantheon della Città, nell'ultima cappella a dx.
cronarmerina.it
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Gonfalone restaurato

Il Gonfalone emblema della Città di Piazza Armerina risalente alla seconda metà dell'Ottocento, non quello che di solito viene usato nelle processioni o negli eventi speciali, nei giorni scorsi è stato consegnato al Comune dopo il restauro effettuato dal Centro Regionale per il Restauro dei Tessuti di Palermo. Il gonfalone, costituito da un drappo di tessuto rettangolare di colore bordeaux contiene lo stemma araldico e l'iscrizione "CITTA' di PIAZZA ARMERINA", inoltre è sospeso mediante un bilico mobile ad un'asta ricoperta di velluto dello stesso colore che termina con una freccia sulla quale è riprodotto lo stemma della Città. Lo stemma araldico della città di Piazza Armerina, presente nella parte centrale del gonfalone, è costituito da uno scudo e da una corona a sette punte con fascia di base gemmata. Lo scudo su campo argentato è interrotto nella parte centrale da una fascia di colore rosso e nella parte esterna mostra le seguenti decorazioni dall'alto a dx in senso orario: 5 aste lanciate, 1 cornucopia con fiori e frutti, 2 aste lanciate con drappo celeste, 1 tamburo, 2 cannoni, 1 alabarda, 1 tromba e 1 elmo metallico. Il Sindaco uscente, Carmelo Nigrelli, ha voluto ricordare che questo restauro del gonfalone ormai in pessime condizioni, era una delle cose programmate per l'850° Anniversario della fondazione della Città e che il Gonfalone, tra i simboli dell'identità della nostra Comunità, una volta riportato alla bellezza originaria, sarà esposto in una teca nella sala del Consiglio Comunale. cronarmerina.it       

 

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