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Cronarmerina - Dicembre 2015

Traduzione "Cu Marcu Tr'gona"

Eccovi la traduzione della poesia in galloitalico del prof. Aldo Libertino

A tu per tu con Marco Trigona

O Marco, amico mio, Marcuccio bello, lo so che per parlare a te dovrei farti tanto di cappello! Ma è finita la baronia! Viva la democrazia! Anche se il sangue è blu, il voscenza non si usa più! Ma guarda come sei impettito! Ora che non hai più terre, né palazzi è inutile che ti incazzi se ti dò del tu! Lo vedi come sei ridotto? Baroni, marchesi e compagnia bella... sono spariti tutti!... Dove sono finiti? E tu sei solo, abbandonato... come me! E lascialo questo monumento! Scendi! Fammi compagnia! Ho da farti sentire il mio tormento!... Devo parlarti del mio dolore! La vedi questa bottiglia? E' la mia famiglia! Con lei la vita è meno amara e starà con me fin dentro la bara! Chi mi conforta se qualche cosa mi va storta? Quando in gola scorre il vino... scordo e vinco il mio destino. M'innamorai di una ragazza bella... dolce e affettuosa... di tutti i fiori belli nei giardini, il più bello toccò a me!... Regina fra le regine, era, per me una rosa senza spine. Ma quando la volli stringere al cuore, gridai di rabbia e di dolore! Ora quella rosa non è più mia... smaniava per un'altra compagnia! Aperta del mio cuor lasciai la porta, ma nessuno è entrato ancor che mi conforta!... Dorme Piazza, distesa sotto la luna. E' una ciambella bianca, l'amica degli amanti! E le stelle, stasera più brillanti, si possono contare ad una ad una. Russano i lupi coricati nelle tane... due gufi malinconici e lontani, piangono disperati per chi non torna più! Li senti!?... Chiù... chiù... chiù!... Ferma è l'aria, senza vento. Stanca di ripetere il suo frinire, la cicala ha deposto il suo strumento: è andata anch'essa a dormire! Ma tu non mi ascolti, amico mio, stai piangendo... ed io ne so il motivo: Plutia, vanto e gloria dei Normanni, arrancando va tra grandi affanni! Senza preavviso portarono via le basole che facevano più bella la chiesa e la cupola. Ora la piazza è nera... come il fumo della lucerna. Nel tuo palazzo, i lupi entrarono sicuri e sei fortunato dato che ti hanno lasciato i muri! E pure tu devi stare attento: ché sotto i piedi ti può sparire il monumento! La città dei Normanni e dei baroni, pare morta ormai senza più scopi!... Vale quanto il due di coppe... quando il gioco è a bastoni! Piazza d'armi, dei Saraceni nemica, non lotta più: si è arresa! Ma per prenderla il cavallo non è servito, come per la famosa guerra antica! Figli bastardi, avidi e ladri, sono stati la rovina di questa nostra madre! Lupi famelici, dopo il latte delle mammelle, le hanno divorato pure il cuore, il fegato, le budella! E' grande la penitenza per colpa dei figli. Semina, Piazza... ma poi, quando raccoglie, il diavolo tra le spighe, le fa trovare il loglio! Ma c'è un vaglio in cielo... che sempre cerne! Vuole il frumento senza impurità, né imbrogli. L'avena, il rosolaccio e il cerfoglio, li scarta e li butta diritti all'inferno. Però, per la sentenza eterna, bisogna aspettare! Invece un diluvio, come ai tempi di Noè, farebbe in un minuto 'Piazza Pulita' di questa razza maledetta! Ma non è giusto, a causa dei malvagi, fare patire gli innocenti. Parla alla Madre del Signore, come sai! Dille di Piazza e dei suoi guai! Con le tue preghiere Lei ci aiuta: Sono sicuro che Lei ti ascolta! Non dimentica che per gli occhi suoi belli hai costruito la Chiesa più vicina alle stelle! L'alba dipinge di rosa il cielo... più non risplende lassù la luna. Lo so, per te che sei qua impalato, se è giorno o notte, che importa? Ma per le mie ossa, questa brina non è certo la miglior cura! Perciò, carissimo barone, ti lascio e chiudo la discussione! Ora sai quel che devi fare. Mi raccomando! Non te lo scordare! E speriamo che per Piazza giri la ruota, e torni ad essere la Plutia di una volta!
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1832 Turista Auguste von Platen

Auguste von Platen (1796-1835)
La tomba di von Platen a Siracusa

Il poeta e drammaturgo tedesco conte August von Platen-Hallermunde, nel 1826, affascinato dall'ideale classico, lasciò la Germania per l'Italia meridionale. Nel 1832 passando dalla nostra Città, ebbe questa impressione: La cittadina è costruita bene... ho visitato una bellissima villa che appartiene a un marchese del luogo ed aperta a tutti. Volentieri avrei voluto godere per alcuni giorni della bella solitudine di Piazza, ma la locanda era pessima ed il letto troppo sporco per potervi resistere due notti, pur godendo una bella vista dalla finestra.
La bellissima villa visitata era quella di Benedetto Trigona marchese di Mandrascate, situata nella contrada Costantino. La villa settecentesca è diventata poi Villa Arena. Il poeta tedesco risiedeva a Napoli e al suo secondo viaggio in Sicilia, dopo appena 25 giorni dall'arrivo a Siracusa, nel dicembre del 1835, morì in una locanda dell'isola di Ortigia a Siracusa, forse per colera. In questa città esistono una via dedicata al conte Platen e la sua tomba, completamente restaurata nel 2012, nel cimitero protestante di Villa Landolina, dove si trova il Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi".  
Ancora oggi si sta cercando di individuare il B&B di allora che costrinse il poeta, disgustato, a partire in fretta e furia da Piazza! Ma non sarà difficile rintracciarlo! Gaetano Masuzzo/cronarmerina

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1628 Miracolo della pioggia

La formella in oro del pettorale della Madonna delle Vittorie
Il 24 febbraio del 1628, quindi 385 anni fa, a Platia si assiste al Miracolo della Pioggia, che inizia a cadere copiosamente mentre si sta scendendo, dall'altare maggiore della Chiesa Madre, per prepararla alla processione per le vie cittadine, la sacra immagine del Vessillo della Madonna delle Vittorie. Il corteo religioso è stato richiesto da grandi masse di popolo, per l'arsura persistente, che sicuramente avrebbe causato una forte carestia, ma l'abbondante pioggia di questo giorno porta in estate un copioso raccolto. In ricordo del miracolo viene realizzata dall'orafo sacerdote palermitano don Camillo Barbavara una formella in oro (nella foto), che rappresenta il popolo e il clero in ginocchio, per ringraziare l'immagine sacra, all'interno della Chiesa Madre. La formella, insieme ad altre due, quella con la veduta della Città e l'altra del Conte Ruggero, fa parte del pettorale della Santa Patrona, consegnato nel 1632. In questi anni inizio secolo XVII, si sono registrate già quattro pesanti e disastrose siccità, contro le complessive 6 del secolo scorso. E come se non bastasse, nel 1600, 1608, 1620 e 1624, la siccità si è unita sempre alle epidemie di peste, riducendo gli abitanti da 16.000 a quasi 10.000, che risultano anche stremati dalla fame. Nonostante questo orrendo periodo, in Città si costruiscono diversi palazzi nobiliari e chiese. E' proprio in questo anno che vengono demolite le absidi (le parti dove si trovano gli altari) e realizzato il corpo del presbiterio (la parte dell'abside che circonda l'altare riservata al clero) della nuova Chiesa Madre. Inoltre, i tre capomastri, uno milanese, uno messinese e un altro catanese, sotto la direzione dell'architetto di Bracciano (Roma), Orazio Torriani, incorporano nella nuova parete sia il portico a Sud della vecchia chiesa, murandone gli archi, e sia il campanile della chiesa preesitente. Alcuni sostengono che le colonne che hanno sorretto il portico, verranno utilizzati per il cortile interno del vicino Palazzo Trigona della Floresta, la costruzione del quale inizierà nella prima metà del secolo successivo, intorno al 1730.
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Uso del "graffietto"

Il graffietto degli anni '30 ancora al lavoro
Avevo promesso che vi avrei mostrato come si usa il graffietto. Ecco nella foto come viene appoggiato, da mani esperte (di mio padre, classe 1921), al bordo di un tavolo per segnare sempre la stessa distanza, utilizzando la punta affilata del chiodo. Ieri sera mio padre Gino mi ha raccontato alcuni aneddoti legati a questo attrezzo. Intanto, lui per la prima volta, lo aveva visto e usato quando era dal suo primo mastru, Valentino Fiumicello, nella falegnameria di fronte al magistrale in via Umberto, all'età di 7/8 anni. Ovviamente all'inzio fece la solita gavetta dei falegnami: passare carta vetrata, pomiciare, accendere il fuoco nella furnacella per sciogliere la colla per impiallacciare, raccogliere segatura e trucioli. A metà degli anni '30, non essendo più carusu, iniziò a lavorare come giuv'n al banco e si fece un graffietto in faggio tutto suo. La consacrazione di questo attrezzo avvenne quando agl'inizi del 1941, dopo aver superato la fase provinciale, svoltasi all'Istituto Industriale di Piazza, mio padre dovette partire per la fase nazionale dei Prelittoriali del Lavoro a Torino. Questi erano selezioni a cui partecipavano giovani lavoratori di pari età, allo scopo di mettere in luce capacità e attitudini con l'obiettivo, dal 1936, di avvicinare e cementare tra loro le differenti classi sociali giovanili al tempo del fascismo. Dopo aver ricevuto a tanburo battente dal segretario politico, zzù Cocò Velardita, la tessera fascista perché sfornito, poté partire, portandosi alcuni attrezzi, tra i quali una sega ad arco smontata e il graffietto nella foto. Quando la giuria del concorso nazionale di Torino glielo vide usare disinvoltamente, fece fermare la prova e, richiamando l'attenzione degli altri circa 100 partecipanti (uno per provincia), prima chiese se qualcuno conoscesse quell'attrezzo, poi, non arrivando risposte, chiese a mio padre di spiegare ai presenti a cosa gli servisse. Subito dopo ripresero la prova (un comodino in legno) e mio padre fu il primo a finire, confermando lo stesso tempo di Piazza, 1 ora e 35 minuti, facendo rimanere a bocca aperta sia prima i giudici di Piazza, il prof. di ginnastica Sottosanti e l'aiutante tecnico Nitto Marino, sia dopo quelli di Torino. Come premio ricevette il diploma rilasciato dal Segretario Nazionale Guido Orsoni, che ancora mostra orgogliosamente, e la somma di 500 Lire (a quei tempi una bella sommetta) con la quale, per prima cosa, acquistò un bel cappotto a sua madre Giuseppina. L'anno successivo, pur avendo moltissime possibilità di ripetere la bella figura dell'anno prima, rifiutò di partecipare per non lasciare solo il nuovo mastru, il futuro suocero Tatano Marino Albanese detto Ciucciuledda, con tanto lavoro da fare nella falegnameria di via Roma.
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Cu Marcu Tr'gona/4

4^ e ultima parte de

A tu p'rtu cu Marcu Tr'gona

Ma ggh'è 'ncriv 'n celu ch' semp zérn!
Ieu vo u frumént senza m'schigghi e 'mbrogghi:
l'aièna, a paparina e u centufogghi:
î scarta e î gecca dritti ô 'nfern!
 
Pâ s'ntenza eterna però, ggh'è d' sp'ttè!
'Nveci, 'n d'lùvi, com ê témpi d' Nuè,
fasgéss, 'nt'mmnù, Ciazza pulita
d' cössa razza mal'dëtta!
 
Ma nan è giust, pî gent tënti,
fè patì l'armi 'nnucenti.
Parra â Matri dû S'gnör, com tu sai!
Diggh d' Ciazza e dî so guai!
 
Cu i to prieri Iedda n' iuta:
sign s'cur ch' a tì t' scuta!
Nan sû scorda ch' p' l'öggi so beddi,
fasgësti a cresgia ciù v'sgìna ê stëddi!
 
D' rosa l'auba u celu p'nz'ddia...
Ddà 'ncav a dduna ciù nan sp'cchialìa.
U söi, p'tì ch' sì 'mplalà zzà,
s'è giörn o nöit, chi ggh' fa?
 
Ma pî me ossi, sta muddura
nan è cert a meggh cura!
Perciò, cariss'm baröngh,
t' ddasc e 'nciöd a d'scussiöngh!
 
Ora u sai cö ch' haia fè.
M' raccumann! Nan tû scurdè!
E sp'röra ch' p' Ciazza zira a rota
e d'vènta arrera a Plutia d' na vota!
 
                                                                                          Aldo Libertino
 
 
*Per l'introduzione, la nota biografica e quella letteraria: vedi 1^ parte;
**Prossimi giorni un altro post sarà dedicato alla traduzione.
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2^ Veduta della Città

Quadro di S. Andrea Avellino con Maria SS. delle Vittorie
Particolare del quadro 1626-1641
Questa è la seconda veduta che abbiamo della nostra Città. Il periodo è quello all'inizio del '600 e non si distacca molto dalla prima che vi ho fatto già vedere, anche perché la visuale è sempre dal borgo Casalotto. Questa veduta la troviamo nel dipinto che il pittore Antonino Cinniardi effettuò in onore di Sant'Andrea Avellino tra il 1626 e il 1641. Sono passati quasi quindici anni da quando sono giunti da Napoli due Padri Teatini con una reliquia del Beato Padre Andrea Avellino (1521-1608), consistente in un ciuffo di barba, che hanno donato al sacerdote piazzese Andrea Trigona dei baroni di S. Cono Superiore. Questo ciuffo è diventato mezzo di molte guarigioni e addirittura, nel 1624, preserva in parte la Città dalla peste che sta facendo stragi in tutta l'Isola. Tutto il popolo di Platea è grato al Beato Teatino tanto che nel 1626 è dichiarato 2° Compatrono della Città dopo S. Vincenzo Ferreri. E' in questa occasione che viene commissionato il quadro che oggi possiamo ammirare, dopo il restauro ultimato nel novembre del 2011, alla Pinacoteca Comunale di via Monte. Il restauro del quadro, che misura 185 x 256 cm, ci ha consegnato in maniera ancora più netta una "foto" di Platea o Chiàzza, come veniva chiamata allora, dove si riconoscono in primo piano la porta di S. Giovanni Battista con a dx la Commenda. Al centro la chiesa di S. Stefano costruita da pochi anni e ancora mancante della facciata col campanile (come la vediamo oggi verrà completata nel 1742). Per quanto riguarda tutta l'altra parte, possiamo dire che è perfettamente uguale alla prima veduta, tranne che per due particolari. Il primo è la presenza della guglia sul campanile, proprio al centro del disegno, della chiesa e monastero di S. Giovanni Evangelista oggi mancante. Il secondo particolare è l'esistenza di una processione ecclesiastica, la testa della quale già si trova in quella che oggi chiamiamo via Garibaldi. Mentre la parte seguente è ancora dietro un simbolo sacro con i raggi dorati (forse il Corpus Domini), sul Piano Patrisanto o Piano Teatini, oggi piazza Martiri d'Ungheria, dove al centro si nota una grande croce con la base rialzata.
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Ospedale di Piazza/3^ Sede - 2° Nome

Via Mazzini

Nel 1444 Graziana, figlia della nobile Giacoma Villardita, fa trasferire l'Ospedale per gli infermi di S. Calogero e di S. Maria degli Angeli, fondato dalla madre nel 1420, sul piano di S. Giuseppe. Questo trasferimento è dovuto all'esigenza di un ospedale più grande e con una chiesa accanto capiente e funzionale. A tali requisiti risponde l'edificio della strata di la carrera che è in comunicazione con la chiesa vicina dei SS. Filippo e Giacomo. Qui l'ospedale continua a chiamarsi Ospedale di S. Calogero e di S. Maria degli Angeli, gestito dai frati Ospedalieri dell'Ordine di S. Giacomo d'Altopascio. In questo periodo si ha l'esigenza di un più capiente ospedale perché la popolazione è vicina ai 10.000 abitanti. Circa dieci anni dopo, nel 1454, e poi nuovamente nel 1460, le ennesime epidemie di peste e le immancabili carestie, ridurranno gli abitanti a quasi 8.000. Nell'edificio dove è ospitato l'ospedale, nel 1583, vi si trasferiranno i Padri Agostiniani della Provincia di Sicilia provenienti dalla sede di via Madonna della Facciranna al Monte (poi via Madonna della Stella) e trasformeranno la chiesa dei SS. Filippo e Giacomo in quella di S. Agostino. Eccovi spiegato il nome di via S. Agostino, strada accanto a sx dell'edificio nella foto, dove io ho vissuto per tanti anni.  

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Cu Marcu Tr'gona/3

1906 - Monumento bronzeo a Marco Trigona dell'artista Antonio Ugo

3^ parte

A tu p'rtu cu Marcu Tr'gona

P' cöss, cu cör stanch e marturià,
ciangi com a 'n cangh bastunià!
Ddasciasti sta c'ttà ch'era na musia:
öra è stracangiada, na vera f't'nzìa!
 
Senza talè talè s' sc'ppanu i balatèddi
ch' fasgev'nu a cresgia e a cubula ciù beddi.
Öra a ciancada è nëra,
com ô fum dâ ddumèra!
 
'Nto tô palazz i lupi 'ntrasìnu s'curi
 e sì fertunà ch' t' ddascianu i muri!
E 'mpuru tu t'haia guardè:
ch' st' marmént t' po sp'rì s' sötta i pè!
 
A C'ttà di Normanni e dî baröi
par morta ormai, senza ciù scopi.
Cönta quant u döi d' coppi
quann u giö è a bastöi.
 
Ciazza d'armi, dî Saracì n'mica,
nan cumatt ciù: s' r'nnì.
Ma p' p'gghiela, u cavadd nan s'rvì,
com p'dda famösa guerra antica.
 
F'gghiazzi granfunazzi e latri
funu a ruina d' cössa nostra matri!
Lupi famel'chi, dopo u ddait dî m'nneddi,
s' ggh' mangianu 'mpuru u cör, u fich't e i bueddi!
 
E' ranna a p'n'tenza
p' cöpa dâ s'menza!
Ciazza s'mina, ma poi quann r'cöggh,
u diavu, menz ê spì, ggh' fa truvèr u gioggh!
 
                                                                                           Aldo Libertino
*Per l'introduzione, la nota biografica e quella letteraria: vedi 1^ parte;
**Prossimi giorni la 4^ e ultima parte. Per concludere un altro post sarà dedicato alla traduzione.
 
 
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Famiglia Camerata

Campo rosso con leone coronato d'oro rampante sostenente colonna d'argento
Di questa famiglia di Piazza abbiamo soltanto notizie relative al XIX secolo. 1848 Rocco Camerata-Scovazzo è barone di Casal Gismondo (territorio a Sud-Est di Aidone), sindaco di Aidone e comandante delle Guardie Nazionali rivoluzionarie del Distretto; nel 1860 viene arrestato a Palermo dalle truppe borboniche. 1861 Lorenzo Camerata-Scovazzo, fratello del barone, e il barone stesso, sono deputati al I Parlamento del Regno d'Italia. 1882 e 1889 Francesco Camerata, grosso feudatario di Butera è consigliere comunale, nel 1890/93 1898/1901 diventa sindaco di Piazza, nel 1898 risulta sposato con Girolama Sceberras di Montagna di Marzo. Nel 1921 Salvatore Camerata da Butera ma abitante a Piazza Armerina è eletto deputato per Alleanza Democratica Sociale. I baroni Camerata erano proprietari del palazzo Starrabba di via Garibaldi 80. Esiste anche una via Barone Camerata, parallela alla via Garibaldi, accanto alla chiesa di S. Giovanni Evangelista e un altro stemma, venutone a conoscenza nell'ottobre 2016, dipinto su un soffitto del Palazzo di via Garibaldi dove è riportata soltanto la torre rappresentante il castello nel blasone del comune di Butera di cui era originario Francesco Camerata.
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