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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Perché si chiama Madonna della Catena

La Madonna della Catena nella chiesa del Crocifisso, Piazza Armerina

«Il culto della Madonna della Catena, depurato dagli elementi miracolistici, trae origine dalla devozione alla Madonna come protettrice degli schiavi e dei prigionieri. Nasce alla fine del Trecento ma ha davvero sviluppo dopo la prima metà del Cinquecento, quando le incursioni barbaresche ridussero in schiavitù molti cittadini dell'Italia Meridionale, e la Congregazione dei padri mercedari si adoperò per il loro riscatto. La denominazione di Madonna della Catena si apparenta quindi a quella di Madonna della Mercede, della Madonna del Soccorso e a quella degli Schiavi. Il culto della Madonna della catena nasce nel 1392 a Palermo, quando regnava in Sicilia Martino I il Giovane (1374-1409)¹. Tre uomini furono ingiustamente condannati e il 18 agosto furono condotti a Piazza Marina, dove avrebbero dovuto essere impiccati. Proprio mentre stavano preparando le forche, si scatenò un gran temporale che costrinse i carnefici a rifugiarsi nella Chiesa della Madonna del Porto e il popolo a fuggire. In attesa che si potesse riprendere l'esecuzione, i tre condannati furono legati con doppie catene all'altare della Vergine, ma il temporale continuò per l'intera giornata, e le guardie dovettero passare la notte nella chiesetta per sorvegliarli. I tre si portarono lacrimando ai piedi della Madonna invocandola col titolo di Vergine delle Grazie e cominciarono a pregarla insistentemente, e a un tratto, mentre i soldati cadevano in un profondo sonno, le catene che trattenevano i tre si spezzarono e la voce della Madonna li rassicurò "Andate pure in libertà e non temete cosa alcuna: il divino Infante che tengo tra le braccia ha già accolto le vostre preghiere e vi ha concesso la vita!". Le catene caddero senza far rumore e la porta si spalancò, i tre innocenti uscirono dal tempio e le guardie si svegliarono solo all'alba. Subito i soldati riuscirono a riprendere i fuggitivi ma furono fermati dal popolo che ricorse al re Martino I. Quando questi andò nella chiesetta, coi propri occhi constatò il miracolo: le catene si erano infrante. Subito l'eco del miracolo si diffuse ovunque, e frotte di pellegrini giunsero alla chiesa che ormai era chiamata "della Catena". I miracoli si moltiplicarono e la Madonna della Catena divenne patrona di molti comuni dell'isola e venerata in tantissimi altri, e il suo culto arrivò in tutto il Sud Italia. Ancora oggi la chiesa² è meta di pellegrinaggi e conserva il simulacro di Nostra Signora della Catena. Nel 1500 alla chiesa venne attaccata una delle catene che chiudevano il porto e prese ufficialmente il nome con cui già l'aveva battezzata il popolo un secolo prima». (fonte Wikipedia)

Cronarmerina desidera ricordare che in passato, quando il parto delle gestanti si presentava particolarmente difficile, nei casi disperati si arrivava ad adagiare la catena, che si trova nella mano destra della Madonna, sul ventre della partoriente per facilitarne il parto. Inoltre la statua è stata sempre esposta nell'ex chiesa di San Nicola al Monte, dal 1651 chiamata anche chiesa della Madonna della Catena.

¹ Si tratta del re che costruì, proprio nel 1392, il nostro Castello Aragonese.

² Nella chiesa di Palermo sono sepolti i coniugi Trigona Antonino junior barone di S. Cosmano morto nel 1642 e la moglie Starrabba Solomea figlia di Pietro barone del feudo Gatta nel 1591. I due nobili piazzesi si erano sposati nel 1621.

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Turismo di sessant'anni fa

Emigranti italiani alla stazione di Wolfsburg (Germania) anni '60

Attraverso lo sfogo di un mio coetaneo, appreso su Facebook, racconto come si faceva “turismo” negli anni ’60, e come venivano gestiti in maniera spicciativa e concreta i “turisti” provenienti dall’Italia del boom economico. Io e altri più fortunati, grazie ai sacrifici dei genitori, non abbiamo potuto godere di questi “felici” soggiorni. Mentre io potevo frequentare l'I.S.E.F. a Palermo, per contare su un futuro lavorativo sicuro, altri della mia stessa età tentavano la fortuna nei paesi del Nord Europa, tra tanti sacrifici e privazioni. Adesso, dopo tanti decenni si ripresentano gli stessi problemi per tanti nostri giovani, come se, nel frattempo, fossimo stati governati da extraterrestri, piombati sulla Terra per caso e che si sono disinteressati delle generazioni future. Io non avrò la possibilità di conoscere l’Italia tra 20, 30 o 40 anni, ma mi sa tanto che sarà un continuo “tirare a campare”, come abbiamo fatto per secoli e secoli. Ho volutamente saltato l’ultima parte dello sfogo dell’emigrato italiano, perché contiene argomenti che tutti rimproveriamo giornalmente ai nostri cari amministratori, ma senza alcun risultato, come se vivessero su un altro pianeta, come se fossero qui di passaggio e trascurando persino la gestione dei nuovi immigrati, anche loro in cerca di miglior sorte, lontani dalla loro nazione. Tutti i popoli sono stati e saranno migranti ma, per la loro integrazione e convivenza, occorrono poche idee ma chiare, da far rispettare agli italiani e agli ospiti, senza ipocriti buonismi, altrimenti ci attenderanno tempi poco felici, a noi e a loro.
 
Da Facebook, Vinicio Patruno,1 settembre 2018, ore 10:52.
<<Sono un EMIGRANTE, da 43 Anni a Zurigo, Svizzera, dall'eta' di 18 anni e nel 2019 avrò 65 anni, ma ricordo molto bene quell’anno: settembre 1972. Avevo da poco compiuto 18 anni. Arrivati a Zurigo, dopo un viaggio di 20 ore, di treno diretto Lecce-Zurigo, il treno pieno di emigranti, giovani come me, non trovammo il Comitato di Accoglienza di cittadini svizzeri con caffè caldo e biscotti… e borse di indumenti e regali per i “Gastabeiter” tradotto “ospiti-lavoratori”, ma la "Fremdpolizei" (polizia per gli stranieri) che gentilmente ai nuovi arrivati domandavano, in perfetto italiano: 1 Biglietto da dove è partito; 2 Contratto di lavoro; 3 Indirizzo dove risiedere fino al 18 dicembre che era il giorno della scadenza del contratto; 4 Ci pregavano di presentarci a “Kloten Aeroporto di Zurigo” per la “Gesundheiten Kontroll” (controllo dello stato di salute) dove una volta passato il controllo, se eri in salute ottimale veniva messo il visto sul contratto di lavoro “Gesund Bestedigt: STATO DI SALUTE OTTIMALE può lavorare”; se non lo superavi veniva messo il visto “Nicht Bestedigt: STATO DI SALUTE NON OTTIMALE” e il venerdì successivo venivi accompagnato sullo stesso treno e partivi con un biglietto di ritorno per l’Italia. Ha notato la differenza? […] Eravamo e siamo una ricchezza economica e finanziaria da oltre 75 anni e non un onere per l’Italia come i vostri “migranti”, per un accordo bilaterale tra i paesi Svizzera e Italia, con richiesta di manodopera per lavorare con contratto di lavoro legale, permesso legale, noi siamo stati il 35% del Pil italiano per 30 anni! A tanto corrispondevano le entrate in Italia! 890.000 emigranti ogni FOTTUTISSIMO MESE mandavamo il denaro in Italia, una marea di denaro, solo a Zurigo e Kantone eravamo 150.000 italiani. Vada nei registri a Berna e domandi quanti emigranti italiani in 75 anni si sono macchiati di crimini verso le cittadine e cittadini svizzeri, verso il paese elvetico, con stupri, assassinii, rapine, borseggi e forme varie di accattonaggio, piuttosto morivamo di fame, ma sempre con la dignità di italiani anche noi, caro On.le Civati. Abbiamo avuto i nostri morti e tanti non ce l’hanno fatta, sono morti giovani, avrebbero la mia stessa età, tanti purtroppo non riposano nel paese natio, in Italia, ma qui in Svizzera, ma senza tante polemiche, senza notizie sui media e giornali italiani o dibattiti idioti in Tv (vedi La7 – 8 – 9) ma solo una anonima tomba con una croce, nome e cognome, data della morte e la scritta “Gestorben Wegen Arbeiten Unfall”, MORTO SUL POSTO DI LAVORO. Il prossimo anno avrò 65 anni ed avrò la pensione svizzera, ma sempre italiano, orgogliosamente italiano, ma deluso di avere come rappresentanti dei politici che non si preoccupano degli italiani […]. Delfino Donato>>.

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Edicola n. 60

L'Edicola Votiva n. 60 è quella rappresentata dalla statua di Padre Pio posta su una colonna di grosse pietre. Si trova in contrada Santa Croce, subito dopo la rotonda per Mirabella Imbaccari, nell'angolo a sx formato dalle vie Ammiraglio Conti, Caduti di Nassirya e Leonardo da Vinci, che poi continua con la SP16 verso Mirabella Imbaccari. È molto semplice e recentemente ho constatato che è tenuta molto bene dagli abitanti vicini. Approfitto dell'occasione per ricordare ai miei concittadini che la zona, la contrada e, quindi, la rotonda, prendono il nome da un'antica chiesa che si chiamava appunto Santa Croce¹. La chiesa era vicina alla croce in pietra ancora esistente, alla cui base c'è scolpito l'anno 1714. Ultimamente, facendo altre ricerche, ho letto che la chiesa e poi la croce, erano state edificate, perché era consuetudine dei fedeli piazzesi percorrere, diverse volte l'anno, una Via Crucis che partiva dalla croce, anch'essa in pietra, di San Pietro, quindi attraversava le Botteghelle, scendeva la discesa di Altacura, saliva per l'odierna via Libertà, allora una trazzera che costeggiava il convento dei Cappuccini sovrastante, per poi dirigersi verso Santa Croce, dove poi fu eretta l'omonima chiesa. Lungo il percorso esistevano diverse edicole votive, davanti alle quali i fedeli si fermavano in preghiera, per poi riprendere il cammino. La chiesa di Santa Croce all'inizio del Novecento fu abbattuta, per realizzare la rotabile per Mirabella Imbaccari, rimanendo in suo ricordo soltanto la vicina e robusta Edicola Votiva.

¹ Con questo nome esiste anche un monte tra Piazza Armerina e Mirabella Imbaccari, a un paio di Km ca. a Nord-Est di quest'ultima. Il monte Santa Croce, che sulle cartine risulta alto 570 m, è menzionato in un diploma in latino del 1148 del conte Simone Aleramico, quando questi concede all'Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme la chiesa di Sant'Andrea e alcuni feudi e casali, tra i quali quelli di Gallinica delimitato dal torrente Fucello proveniente, appunto, dal monte Santa Croce.

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L'antenato del Palio

Il Palio dei Bèrberi a Piazza Armerina, periodo imprecisato

In questi ultimi mesi, durante alcune ricerche, mi sono imbattuto in quello che, secondo me, è l'antenato della Cavalcata degli anni 40/50 e del Palio dei Normanni moderno che si svolge ogni agosto lungo le strade, in piazza Teatro, in piazza Duomo/Cattedrale e al campo sportivo Sant'Ippolito nella nostra Città. Uno dei più importanti storici della nostra Città, l'avvocato Alceste Roccella (1827-1908), in uno dei 7 volumi della sua Storia di Piazza, e precisamente nel Volume Terzo Chiese e conventi ed istituti di Filantropia in Piazza Per Alceste Roccella, ci ricorda che ai suoi tempi, nella seconda metà dell'Ottocento, in estate veniva svolta una corsa di cavalli bèrberi. Questi cavalli erano originari della Barbéria, nome dato anticamente al Nord Africa perché abitato dal popolo dei Bàrberi, ed erano noti sin dall'antichità per la loro robustezza e velocità. Il Roccella non precisa né il giorno in cui si svolgeva la corsa, che assunse il nome di Palio dei Bèrberi o Bàrberi, né l'arrivo (forse a Costantino o allo Scarante), ma ci dice che la partenza avveniva dalla Commenda di San Giacomo d'Altopascio, davanti l'odierno ingresso principale del Cimitero Comunale della Bellia. Per questo devo ritenere che il Palio si svolgesse il 25 luglio, festa di San Giacomo il Maggiore apostolo. Le caratteristiche principali di queste corse erano tre. La corsa era prettamente rettilinea, pertanto si raggiungevano alte velocità; veniva attraversato pericolosamente il centro abitato da nord a sud senza barriere di contenimento ai lati del percorso; inizialmente i cavalli correvano "scossi", ovvero senza fantini, in seguito si decise di montarli, ma senza l'ausilio di selle, "a pelo" (come nella foto). Questo genere di corse rappresentavano la parte principale delle feste popolari in tantissime località italiane, la più famosa è quella che si svolge due volte l'anno a Siena, ma una si volge anche nella vicina Calascibetta e l'anno scorso si è svolta il 3 settembre per la festa a Maria Santissima di Buonriposo. Un'altra vicino a noi era quella di Caltagirone, che partiva dallo spiazzo antistante il convento di San Francesco di Paola e aveva la simpatica caratteristica che prima della stessa venivano distribuiti confetti a gentildonne e gentiluomini cittadini e forestieri.

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