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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Edicola n. 42

Questa è l'Edicola Votiva n. 42 ed è quella situata in via Villarosa che collega via Castellina con via S. Giorgio, nella parte bassa del quartiere Castellina. La nicchia dove si intravedono, oltre a un vasetto con fiori in plastica, due statuette di gesso, quella a sx la Madonna dell'Immacolata Concezione e a dx, più grande, la Madonna con Bambino, è stata ricavata su un muro di una casa (o garage) a un solo piano e, devo dire, che è tenuta bene avendo pure uno sportellino in ferro col vetro. Però, guardandola bene da vicino mi sono accorto che come sfondo c'è un quadro fatto a mano e firmato, S. S... 12/10/1995, (non so dirvi se a olio) che rappresenta San Giorgio che uccide il drago. Ovviamente è chiara la coincidenza, in quanto quella zona di Piazza è chiamata San Giorgio, perché appunto lì esisteva una chiesetta dedicata a quel Santo. A pochi metri da questa edicola prima c'era un antico abbeveratoio di cui non si sa che fine abbia fatto e non si hanno nemmeno foto. Da questo abbeveratoio iniziava la zona chiamata riàna, il canale oggi sotterrato, che raccoglieva le acque nere assieme a quelle del torrente Rocca proveniente dall'alto del quartiere Casalotto, per convogliarle verso l'Indirizzo con destinazione il mare di Gela.

cronarmerina.it

U bèu Palazzètt da B'ddìa

Com'era il Palazzetto dello Sport "Giuseppe Sammarco" prima del crollo nel 1988

Com'è oggi il Palazzetto dello Sport in c.da Bellia

Per tutti i Piazzesi sportivi e non, il crollo del Palazzetto di Piazza Armerina in contrada Bellia, intitolato all'avvocato Deputato Regionale nonché Sindaco della nostra Città On.le Giuseppe Sammarco, fu come un fulmine a ciel sereno. Nessuno, mai e poi mai, si sarebbe aspettato questo vero e proprio cataclisma sportivo in un paese da sempre affamato di strutture sportive di un certo livello. Nonostante la presenza di squadre di pallacanestro e di pallavolo militanti in campionati maschili e femminili di indubbia importanza a livello regionale e nazionale, mai Piazza aveva avuto nel suo territorio una struttura così funzionale, accogliente ed efficiente, anche se veniva criticata la distanza dal centro abitato. Era invidiata da tutti gli sportivi ospiti, soprattutto dopo l'installazione del parquet in legno che ne aveva arricchito l'estetica, proteggendo finalmente le articolazioni dei giocatori agevolandoli negli spostamenti limitandone i traumi. Chi vi scrive ha avuto il piacere di giocare, di allenare, di arbitrare e di assistere a incontri memorabili, sino alla sera precedente alla catastrofe. Mai si è venuta a sapere con certezza la causa reale del crollo avvenuto il 5 luglio del 1988, nessun colpevole forse "perché il fatto non sussiste" come si vede nella foto! E, come al solito, "còm vol Déu" continua a "piovere sul bagnato". Fatto sta che dopo l'installazione di un grosso aspiratore sulla sommità della cupola più grande, per eliminare l'umidità durante i match affollati, la struttura costruita nel 1978 con la tecnica del pallone che gonfia una rete metallica colma di cemento, implose. Per questo motivo di condensa, già esisteva una calotta in vetro-resina, come quella che si vede sulla cupoletta accanto degli ex spogliatoi, di m 3,5 di diametro compreso il telaio, che veniva alzata e abbassata all'occorenza con un motorino elettrico, ma si ritenne che non bastasse, infatti si scivolava di continuo. Se la grande cupola fosse ceduta su se stessa un giorno prima, saremmo rimasti in oltre 400 tra le macerie. Non ci sarebbe stato bisogno di estrarci dalle rovine, troppo costoso e pietoso. Sarebbe bastata una colata di cemento (anche depotenziato, come si usa dalle nostre parti) coperta dalla solita lapide, con i nomi degli ex sportivi ed ex spettatori rimasti lì sotto, per le future commemorazioni con i soliti pianti e discorsi di rito. Ed ecco che il nostro poeta pochi giorni dopo l'accaduto, ancora esterrefatto e scioccato, scrive questa poesia in galloitalico a futura memoria. Ancora oggi u bèu palazzètt è lì, crollato e mai ricostruito, a fare "bella mostra", e non posso fare a meno di guardarlo amaramente quando vado a farmi la solita partitina a tennis sui campi limitrofi. Un altro esempio di inettitudine piazzese... se ce ne fosse stato bisogno.

U Palazzètt du sport

Avev’mu ‘npalazzètt ch’era ‘namör,
Cu s’ f’r’màva ddà föra a talièlu,
Sbarraccàn l’öggi, s’ fasgèva u cör,
‘Ntrasèn’ggh pöi truvàva ‘ngiòiellu:

‘Mpav’mént ch sp’cchiliàva com l’ör,
Tr’bùni v’stùi d ddègn r’f’nù
Furmàv’nu döi pàlchi d’anör
Unna s’tà non t’ r’fr’ddàva u cù.

Fu fàit pi mèr’ti di nostri atléti
Ch giuàv’nu ‘ntémp all’ègua e o vént,
Èra u vantamént di ciaccësi tutti
E a ‘nvìdia ntâ S’cìlia e o Cunt’nént.

Ch ggh l’avèva désg’anni d vìta!
O cìncu d giugnétt all’impenzàda,
St’ bèu palazzètt, stànch d stè addrìtta
Trabuccà còm ‘nscècch fràcch ntâ cianàda.

Appèna u sèpi, ch m’ pars vèru:
<<S’ ggh su ancöra addrìtta costruziöi
ch s r’gòrd’nu o Cònti Ruggèru,
e st’òpra d’avànt’aièr cad aöi?

Ma chi ggh scattià ‘na bòtta d vént?
O ch fu ‘na scòssa d t’rr’mòt!>>
I pumpéri ch stànu ddà acànt,
Cu dd bòtt, u p’gghiànu böngh u mòt.

Vulèva èss punt’ddà st cubulöngh
E ggh ‘mp’nnìnu ‘ncantàr d ddampiöi
E a fìna, u mutör pa v’ntulaziöngh
D cu nan èr’nu stìgghi söi.

Nan cadì p’cöss! Ghhià dèss a casiöngh
‘Nasg’ddàzz röss ch s ggh puzzà,
Avénn a r’s’tènza du cartöngh,
U tètt nan pot ciù e s scaccià.

Öra putöma dì ch f’nì bòna,
S’ non s ggh truvà nudd dda s’ràda,
Cèrt fu u vulèr da nòstra Patröna
A scungiurè u p’rìcu da fr’ttàda.

S’alivòti a gaddìna fa l’ov vàpr
Nan è ch s’àda purtè a da féra,
‘N st’ mönn gghè cu s’ röd u ddàbr
E cu ‘mp’dùgghia da mattìna a séra.

Öra tutti niàuti n’auguröma
Ch nan su scòrd’nu st palazzètt,
Ch s’ ‘nterèssa ‘mpèzz ross d Ròma
E chi sportìvi pònu avér r’zzètt.

Sìddu u fànu fè, nan v’avè cunfönn
P’ decìd còm àda v’nì st tètt,
S’ non s tròva nudd cu sa fè tönn
Annèv’n o s’cùr, fasgèlu rètt!

S’àda annè pèrs, gghè l’ov du sciànch ch’è böngh,
Jé d’sgèss d sfrutèlu còm s po’,
v’dè sìddu u putè p’gghiè sangh sangh
E purtèlu o paìs, p’ p’sciarö!

Francesco Manteo
 
Traduzione

Il palazzetto dello sport
Avevamo un palazzetto che era un amore,
Chi si fermava là fuori a guardarlo,
Spalancando gli occhi, si rincuorava,
Entrandoci poi, trovava un gioiello:

Un pavimento che splendeva come l'oro,
Tribune rivestite di legno rifinito
Formavano due palchi d'onore
Dove seduto non ti raffreddava il sedere.

Fu fatto per i meriti dei nostri atleti
Che giocavano un tempo sotto l'acqua e il vento,
Era il vanto dei piazzesi tutti
E l'invidia in Sicilia e al Continente.

Che ce l'aveva dieci anni di vita!
Il cinque luglio all'improvviso,
Questo bel palazzetto, stanco di stare all'impiedi
Cadde come un asino fiacco nella salita.

Appena lo seppi, che mi sembrò vero:
<<Se ci sono ancora in piedi costruzioni
che risalgono ai tempi del Conte Ruggero,
e quest'opera dell'altro ieri cade oggi?

Ma che vi s'abbattè un colpo di vento?
O fu una scossa di terremoto!>>
I pompieri che stanno lì accanto,
Con quel botto presero un gran spavento.

Occorrevano i sostegni per questo cupolone
Ma vi appesero un quintale di lampioni
E alla fine, il motore per la ventilazione
Da chi non aveva tanta esperienza.

Non crollò per questo! La causa gliela diede
Un uccellaccio grosso che vi si posò,
Avendo la resistenza del cartone,
Il tetto non ne potè più e si schiacciò.

Ora possiamo dire che finì bene,
Se non vi si trovò nessuno quella serata,
Certo fu il volere della nostra Patrona
A scongiurare il pericolo della frittata.

Se talvolta la gallina fa l'uovo senza guscio
Non è che si deve portare al mercato,
In questo modo c'è chi si rode il labbro
E chi imbroglia dalla mattina alla sera.

Ora tutti noi ci auguriamo
Che non si scordino questo palazzetto,
Che si interessi un pezzo grosso di Roma
E che gli sportivi possano avere sistemazione.

Se sarà ricostruito, non dovete confondervi
Per decidere come rifare il tetto,
Se non si trova nessuno che sappia farlo tondo
Andate per il sicuro, fatelo retto!

Se deve andare perduto, c'è l'uovo accanto che è buono,
Io direi di sfruttarlo come si può,
Vedete se lo potete prendere sano sano
E portatelo al paese, per pisciatoio!

cronarmerina.it









 

 

Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/10

Ricordi e fatti inediti/10

A pochi giorni dalla morte del X Vescovo della nostra Diocesi Mons. Vincenzo Cirrincione, morto il 13 febbraio 2002, il Padre Gesuita piazzese Carmelo Capizzi esprime, sulla rivista dell’Ordine La Civiltà Cattolica, tutte le sue perplessità al perenne “pio sogno” degli Ennesi per avere la Diocesi nella loro città.  
«La diocesi di Piazza Armerina e un pio sogno di Enna, Marzo 2002 - La morte di Mons. Vincenzo Cirrincione (13 febbraio ultimo scorso) ha lasciato la diocesi di Piazza Armerina “vedova”. In questi giorni di “vedovanza” (con termine tecnico si direbbe “sedivacanzaa”), un giornalista ennese torna a ripetere che a Enna si accarezza un vecchio sogno: come capoluogo di provincia essa dovrebbe avere finalmente la sua diocesi. Ne avrebbe un diritto sacrosanto, pensa ed insinua il predetto giornalista anche se non lo dice apertamente. Qualche anno fa, invece, un suo èmulo fu più esplicito e patetico, anzi più categorico, nel proclamarlo. Naturalmente, la diocesi di Enna dovrebbe essere quella di Piazza Armerina, ottenendo, come primo passo, la nomina di Enna a con-cattedrale di Piazza. Poi verrebbe il resto per via di eliminazione. L’argomento ribadito dal nostro giornalista a questo proposito è uno solo e tutt’altro che nuovo. Enna, come egli ha ripetuto alcuni giorni fa, sarebbe in Italia “l’unico capoluogo di provincia che non ha sede vescovile” (La Sicilia, domenica 17/2/2002, art. "IN ATTESA DELL’11° VESCOVO"). Sia detto una volta per tutte: tale argomento è semplicemente falso e forse fondato su una velata dimenticanza (non diciamo ignoranza) dei fatti. Come appare da un testo ufficiale riedito ogni anno in Vaticano, l’Annuario pontificio, in Italia abbiamo non solo numerose sedi diocesane, che non sono capoluoghi di provincia, ma anche un certo numero di capoluoghi di provincia che non sono sedi diocesane. Se ne contano sei: Imperia in Liguria; Verbania – Pallanza in Piemonte; Varese, Sondrio e Lecco in Lombardia; Pordenone nel Friuli. Dunque Enna non è sola, ma … in buona e onorata compagnia. Su che cosa si fonda la predetta affermazione così ignara dei fatti? Che cosa suggerisce a Enna (più esattamente: a certi circoli ennesi insaziabili di potere) un’ambizione presentata piamente come aspirazione di “moltissimi cattolici”? Soddisfare questa aspirazione comporterebbe una nuova spogliazione truffaldina della “Città dei mosaici” a tutto vantaggio di un capoluogo, imposto alla Sicilia centro-meridionale da Mussolini per odio a Don Luigi Sturzo, già esiliato in Inghilterra, e a suo fratello Mario, vescovo appunto di Piazza Armerina fin dal 1903. Chi non è digiuno di storia locale sa infatti che nel 1926 la patria dei Trigona, uno dei casati più ricchi e potenti di Sicilia, di Prospero Intorcetta, primo traduttore in latino delle opere di Confucio, e dei generali Giuseppe Ciancio, comandante geniale del XIII Corpo d’Armata sul fronte Giulio, e Antonino Cascino, medaglia d’oro al valor militare, aveva undici mila abitanti in più della Castrogiovanni di allora. Soprattutto sa che era capoluogo del Distretto, del quale la futura Enna era semplicemente uno degli otto comuni componenti, sprovvisto di tanti uffici che Piazza Armerina già aveva da secoli. La risposta alle domande che abbiamo poste sarà sgradita a qualcuno, ma è facilissima e non ammette repliche. Il preciso “diritto” di Enna ad avere una diocesi propria si fonda su una premessa giuridica illusoria, mai esistita, cioè sulla necessità istituzionale di far coincidere in Italia il capoluogo di provincia coi capoluogo di diocesi. Nel Concordato del 1929 tale necessità non fu per nulla riconosciuta, ma si previde soltanto la convenienza di attuare, possibilmente, la predetta coincidenza caso per caso e sulla base di negoziati bilaterali delle due “Alte Parti contraenti” (art. 16). Le gravi difficoltà oggettive della materia e gli sviluppi politici generali susseguenti al 1929 resero lettera morta questo articolo del Concordato. Non se ne fece nulla. Il nuovo Concordato concluso il 18 febbraio 1984 è stato più spiccio: ha ignorato quella convenienza, stabilendo che “la circoscizione delle diocesi e delle parrochhie è liberamente determinata dall’autorità ecclesiastica” (art. 3 § 1). Le provincie sono dunque ignorate. In altre parole, la Chiesa e lo Stato italiano si sono mantenuti sempre più liberi di agire nel proprio àmbito circa le provincie e le diocesi, e la Chiesa ha rimaneggiato le diocesi (per lo più riducendole di numero) senza tener conto delle provincie. Essa ha dovuto badare non solo a tradizioni locali antichissime e molto complesse, ma soprattutto a motivi di convenienza pastorale, uno dei quali è la centralità e la facilità di accesso del capoluogo della diocesi rispetto al suo territorio. Ora tutti sanno che Piazza Armerina è al centro della sua diocesi e accessibile da ogni lato. Enna appollaiata e isolata su un terrazzo a 931 metri d’altezza sul mare, senza contare le difficoltà del suo accesso e i rigori del suo clima, verrebbe a trovarsi alla periferia nord della diocesi e sminuirebbe fortemente la funzionalità pastorale della curia vescovile allontanandola soprattutto dalla fascia meridionale (Niscemi, Gela, Butera, Riesi e Mazzarino), che comprende circa i due terzi della popolazione diocesana. Donde appare evidente l’inconvenienza, per non dire l’insipienza, del trasferimento sognato da certi circoli ennesi per puro amore di campanile. Tutti sanno o dovrebbero sapere che Enna, abusando con accanito egoismo delle istituzioni provinciali regalatele alla cieca da Mussolini, pratica fin dal 1926 verso Piazza Armerina la politica cinica del “mors tua vita mea”. Riflettendo su tante discriminazioni, emarginazioni e boicottaggi aperti o segreti, si ha l’impressione che Platia delenda! Sia il motto principale degli ambienti provinciali di Enna. Essi del resto, dimostrando un’ammirevole concordia e abiltà quando si tratta di trasformare in propri manutengoli e docili marionette certe “autorità” dello stesso Comune di Piazza Armerina, spesso, a quanto pare, politicamente ricattate e ingannate, e più spesso ancora comprate sottobanco col solito piatto di lenticchie. Quei circoli, in ogni caso, dimenticano la genesi problematica, per non dire autoritaria e losca, della provincia di Enna, che, a conti fatti, esercita solo una funzione parassitaria ed erosiva sui Comuni che la compongono: la funzione di un cancro istituzionale coltivato sulla pelle della povera gente. Lo confessò, apertamente, circa quindici anni fa, un suo sindaco democristiano, che nel frattempo ha fatto carriera. Del resto chi ha gli occhi e giudizio sano si domanda: perché mai la ex-Castrogiovanni, in 76 anni di godimento dei privilegi di capoluogo di provincia è riuscita soltanto a bloccare il suo territorio provinciale tra le aree più povere e depresse d’Italia? Perché mai la popolazione di Enna da circa 27.000 abitanti del 1926 si è fermata soltanto ai circa 28.300 abitanti di oggi? Ragusa, invece, fatta capoluogo di provincia nello stesso anno, ha almeno raddoppiato la sua popolazione, che oggi conta circa 75.000 abitanti effettivi. Data la posizione topografica di Enna, è superfluo porsi problemi di sviluppo urbanistico in vista di uno sviluppo globale della provincia. La costruzione di Enna Bassa è un ripiego disperato e per più versi un palliativo dispendioso, data la distanza e il dislivello che le separa dalla vecchia Castrogiovanni, dove si trovano gli uffici, le chiese, i conventi, il carcere e il cimitero. E finalmente ci si domanda per qual motivo Enna tenga gli occhi cupidi puntati sulla diocesi di Piazza Armerina e non su quella di Nicosia, che rientra ugualmente nel suo territorio provinciale, chiamato pomposamente “l’Ennese”; perché, infine, imitando gli islamici nel trattare i cristiani, Enna non sappia che cosa sia la reciprocità. Vuole da Piazza l’onore di essere sua con-cattedrale, ma non vuole restituirle o concederle nessun ufficio e nessuna risorsa di con-provincia, anzi cerchi di impoverirla, soffocarla e degradarla in tutti i modi. La gente di Piazza è costretta a inerpicarsi dispendiosamente a Enna per tanti servizi che potrebbe avere (e, fino a pochi anni or sono, aveva) a casa propria. Peggio ancora, la gioventù piazzese è costretta ad emigrare sottraendosi all’asfissia economica e occupazionale ormai cronica. Si pensi, ad esempio: Enna ha impedito che a Piazza Armerina si aprisse una sede distaccata dell’INPS, e l’ASL di Enna impedisce tuttora che lo stesso ospedale nuovo di Piazza Armerina abbia una sala di rianimazione. Tutti fatti e interrogativi lasciano indovinare la vera natura del pio sogno di certi ennesi, la cui gloria consiste soltanto nel farsi grandi riducendo Piazza Armerina a un paesaccio senza importanza, nonostante la splendida Villa Romana del Casale, la rara bellezza del suo sito e della sua struttura urbana, e l’apertura recentissima della Facoltà di Scienze del Turismo. Ma cambierebbe rotta politica e crescerebbe in efficienza amministrativa Enna, se – tanto per fare un'ipotesi – vi si trasferisse una sede diocesana? Dopo 76 anni di triste esperienza, tutto induce a dubitarne, se non a rispondere francamente di no. Carmelo Capizzi».

continua in Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/11

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Amatric'era

Il terremoto che ha distrutto ieri paesi interi dell'Italia Centrale ha riaperto nuovamente la ferita. Oggi il mio post pieno di amarezza e dolore.

«Era il maggio del 1976. Mi trovavo in Friuli per il servizio militare. Una sera alle 21, dopo aver telefonato a Piazza, la fine del mondo, il terremoto, che poi si ripeterà nel settembre dello stesso anno. Chi ha vissuto questo tipo di eventi difficilmente potrà dimenticarli per tutta la vita, ovviamente se è rimasto vivo. Cambia tutto, cambia la vita di ognuno per sempre e nei primi giorni sembra di essere su un altro pianeta. Scusate ma sto piangendo solo a pensarci e a pensare a quello che stanno passando in quei paesi dell'Italia Centrale. È dura, troppo dura... ricominciare».

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