Carnevale di una volta
Il sig. Valentino Alessandro al centro |
Prima dell'avvento delle discoteche o dei locali più o meno privati (Royal, Selene, Villa Assunta) i giovani di belle speranze non stavano con le mani in mano. A Piazza negli anni '40, di sale da ballo, molto spoglie e con l'arredamento ridotto a poche sedie (tanto, si doveva ballare!), ce n'erano due. Qui l'impianto musicale e di amplificazione era affidato a pianoforti a rullo o a manovella. Le sale da ballo si trovavano una a metà della via Umberto, dove il "deejay" era un certo Giuffrida che, per il possesso di un carretto siciliano trainato da un cavallo super addobbato, era chiamato "Sètt p'nnàcchi". L'altra sala era in via Mazzini, dove sino a qualche mese fa c'è stato un negozio di abbigliamento per bambini, ed era gestita da un certo Prestifilippo che manovrava il primo pianoforte a rullo visto a Piazza. Successivamente in via Umberto, di fronte al palazzo Trigona di Mandrascate, ve ne fu un'altra con meno pretese ma con ballerini e ballerine, diciamo, più "leggeri" dal punto di vista della condotta e della reputazione. Durante il carnevale invece ci si organizzava nelle case, con la gente che si sedeva a giro, dopo aver tolto i mobili più ingombranti, per vedere ballare e allo stesso tempo tenere sottocchio i più giovani, in attesa del passaggio dî mascaràti¹. Infatti, i giovanotti, anche quelli più in là con l'età, usavano travestirsi da uomini irriconoscibili e i più spregiudicati anche da donne alquanto formose, per poi andare nelle case dove si ballava a invitare qualcuno a farsi 'na balàda, facendo però attenzione a pronunciar parola. I ritmi più in voga erano màzùrchi, contradànzi, tarantelle, raramente i peccaminosi tanghi, del tutto sconosciuti quelli sulla mattonella. Il tutto avveniva al suono di qualche chitarra e mandolino (i più richiesti per suonarli erano i barbieri) o, nelle case più attrezzate, dei grammofoni a manovella coi dischi a 78 giri. Successivamente venne anche il periodo che gli sposi ricevevano in regalo, per il loro matrimonio, l'enorme mobile radio-giradischi (nella foto), coi vani inferiori per le bottiglie dell'immancabile vermouth e per le bomboniere. Per rendere le serate più confortevoli si offrivano favi bùgghiuti, lupini, passuluni, scàcc, vìng e, se proprio si voleva strabiliare gli ospiti, puzzuddàti e cassatèddi. Dopodiché i mascaràti o si toglievano le maschere, facendosi riconoscere, o se ne andavano per continuare il loro giro. I benestanti si riunivano nei circoli al suono delle orchestrine, mentre le sfilate delle maschere avvenivano o al teatro o in piazza Garibaldi, sopra il grande marciapiede centrale costruito da poco e chiamato tabarè, per la forma che ricordava un vassoio. A due passi c'era il negozio "Valentino magazzino per tutti" che vendeva giocattoli, maschere, coriandoli, stelle filanti, gratta-gratta, borotalco e altri scherzi più o meno pesanti. Inoltre il sig. Valentino Alessandro (nella foto in basso) era solito organizzare delle gare di ballo in maschera di fronte il proprio negozio, che era considerato da tutti noi ragazzi un luogo fantastico e da sogno.
¹ Mascaràtu era anche un termine per indicare bonariamente un imbroglione o un impertinente. Se ricordate, anche nel film Baarìa una interprete esclama: Eh mascaràtu!.
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