Significato di Pr'p'ttöngh In evidenza
Pr'p'ttöngh in un disegno del prof. Gioacchino Fonti
Prima di proporvi nel prossimo post la poesia Pr’p’ttöngh del poeta piazzese Francesco Manteo, desidero far presente che anche a Piazza ci sono stati i senzatetto, i barboni, i vagabondi, gli emarginati, i randagi, i senza dimora, i mendicanti, gli accattoni, oggi chiamati in maniera edulcorata clochards oppure homeless, senza però per questo riuscire a diminuirne la gravità sociale. Tra i tanti del tempo passato, uno di questi homeless piazzesi degli anni Sessanta è rimasto particolarmente nei nostri ricordi, Pr’p’ttöng. Per la traduzione di questo termine esistono diverse tesi.
La prima è la più semplice: Pr’p’ttöng derivante da Prup’ttöngh che nel suo vocabolario del 1990 il Fonti traduce in Polpettone, considerando il fatto che, solitamente, il vagabondo o l’emarginato pur di mettere qualcosa sotto i denti per sopravvivere, è costretto a mangiare un po’ di tutto facendone un “polpettone” vestendosi alla rinfusa, con quello che trova.
La seconda tesi è Pr’p’töngh derivante da P’ptöngh che Fonti traduce a pag. 163 in “Uppa”, senza dubbio un errore di stampa perché voleva scrivere “Upupa” uccello diffuso alle nostre latitudini, e in “Bubbola” ovvero Bugia, Fandonia.
La terza è che P’ptöngh deriverebbe dal verbo P’p’ter che vuol dire "Balbettare", come potrebbe aver fatto il vagabondo mentre parlava.
La quarta tesi ha qualche fondamento storico perché raccontatomi da mio padre Gino, classe 1921 e che, secondo me, potrebbe avvicinarsi alla verità, anche perché il termine palermitano/siciliano Pipituni, e quindi Pipitone, significa appunto “Upupa” (a questo uccello è stato dato il nome di Pipituni principalmente per il suo canto a intermittenza “pi pi, pi pi pi"). Eccovi il racconto: <<Il signor Pipitone, cognome questo molto diffuso a Palermo, era un uomo molto alto, di origine palermitana, che abitava in via Santa Chiara dietro al Magistrale e, storpiando il cognome, cosa che prima avveniva di frequente, gli fu dato il soprannome (‘ngiùria) di “Pruptùn”, alla ciaccësa Pr'p’töngh. Quest’uomo usava portare una mantella di color marrone chiamata scapulara (una sorta di gabbana contadinesca con cappuccio, tessuta a mano con lana grezza, colorata di nero, senza maniche che ricopre la persona che la indossa a guisa di un mantello) che alla sua morte fu regalata al barbone Carmelo Procaccianti il quale, da allora, fu chiamato da tutti “Carmèlu Pruptùn”, con suo enorme disappunto. Questo barbone stazionava spesso in piazza Garibaldi accanto al portone della chiesa di Fundrò (S. Rocco) con un bastone, un sacco sulle spalle e dei recipienti di lamiera (lànne e lannètte = latte e lattine) accanto dove teneva anche delle pietre. Tra l’altro lui, per un certo periodo, si mise a vendere anche la cartapaglia gialla per involtare il pesce alla pescheria di Santa Rosolia, per 2 soldi al foglio>>. A questo punto, a Voi la scelta per quella che vi sembra più adeguata. Su questo tema su questo sito trovate anche le poesie Bön Natali, Gesù! di Aldo Libertino, Na rosa cìncu lìri di Lucia Todaro e Clochards di Tanino Platania.
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