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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Due stemmi misteriosi

Stemmi prospetto via Umberto, monastero di San Giovanni Evangelista, Piazza Armerina

Era dal 2009 che, dopo una "dritta" del mio amico Totò Murella, sapevo dell'esistenza di questo tesoretto. E dire che c'ero passato accanto migliaia di volte, senza accorgemene, essendo stato anche alunno del vicino istituto Magistrale alla fine degli anni Sessanta. Sì, perchè questo piccolo gioiello è composto da due stemmi scolpiti a rilievo su un unico blocco di pietra arenaria, inserita quasi come pietra angolare, all'inizio del grandioso edificio del monastero delle Benedettine di San Giovanni Evangelista prospiciente la via Umberto, all'angolo con la via Enrico De Pietra. Le sculture rappresentano una delle tante cose di cui ho cercato di darmi una spiegazione, ma senza riuscirci. Dopo l'ennesima richiesta di qualche amico ho cercato di dare una spiegazione, ma purtroppo molto limitata. I due stemmi rappresentano a sx "l'aquila al volo abbassato di nero posta in campo d'oro" degli Hohenstaufen originari dalla Svevia (nell'attuale Germania), da loro adottata in seguito all'investitura reale nel XII secolo¹. A dx è scolpito chiaramente "un leone rampante" che potrebbe richiamare la casa d'Angiò². I due stemmi scolpiti accanto forse ci rimandano alle nozze, nel 1297, tra Violante d'Aragona (1273-1302), figlia di Costanza di Svevia II di Sicilia e di Pietro III d'Aragona, con Roberto d'Angiò (1277-1343) duca di Calabria e re di Napoli nel 1309. Inoltre, potrebbero ricordare coloro i quali vollero o contribuirono alla costruzione dell'edifico monastico, ma sappiamo solo che il Monastero benedettino delle suore omonime di San Giovanni Evangelista venne fondato nel 1361 dalla nobile Florentia de Caldarera, vedova del regio milite e giudice Giovanni senior de Caldarera, e ingrandito nei decenni e secoli successivi. Ma il loro stemma familiare è completamente diverso da quelli nella foto. L'altezza alla quale la pietra squadrata è posta, potrebbe far pensare anche a una costruzione anteriore al monastero o, considerando che proprio quella parte di edificio fu colpita da un incendio nel 1932, che essa sia una pietra riciclata proveniente da un altro antico edificio, ma quale? Io non so rispondere, per adesso. Fatto sta che è un reperto importantissimo a cavallo dei secoli XIII e XIV, quindi tra i più antichi e ben conservati della Città che, purtroppo è stato deturpato da scatole e fili elettrici, per ignoranza, superficialità e negligenza contemporanee di cui siamo specialisti.

¹ Nel 1138 Corrado fu eletto imperatore del Sacro Romano Impero a Coblenza. I successori Enrico VI, Federico II e Corrado IV furono anche re di Sicilia. La casata si estinse in linea maschile diretta con Manfredi (1232-1266) e Corradino di Svevia (1252-1268). Proseguì, invece, attraverso Costanza di Svevia o di Sicilia o d'Aragona (1249-1302), figlia di Manfredi (fonte Wikipedia). 

² Il leone è rappresentato con la testa in profilo (ciò che lo distingue dal leopardo), ritto sulla zampa posteriore sinistra, con la destra alzata, e le zampe anteriori protese come verso una preda (cioè rampante), con la coda ripiegata verso la schiena, la bocca aperta e la lingua visibile. Il leone, con la sua reputazione di forza, di coraggio, di nobiltà, così conforme all'ideale medievale, veniva spesso utilizzato in araldica, soprattutto dai Plantageneti. Questi furono una casata comitale medievale, anche chiamati seconda casa d'Angiò o Angiò-Plantageneti, originari dell'odierna Centro-Valle della Loira e successivamente dei Paesi della Loira (Angiò). Divenne una casata di rango regale con Enrico II d'Inghilterra (fonte Wikipedia).

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Come un sorso di birra

Quando un poesia, anche se può sembrare semplice, senza tante pretese, mi colpisce, ne faccio partecipi i miei lettori. Oggi ho letto questa sul profilo Facebook di un mio amico e, prima ancora, compagno di scuola al Magistrale. Sì, nella sezione "A" del prestigiosissimo Istituto "Francesco Crispi" di Piazza Armerina, alla fine degli anni Sessanta. Prestigiosissimo ma bistrattato istituto di come è stato ridotto, dopo un restauro abortito e incompiuto. Che peccato! Anche l'accostamento tra la birra, che a me piace tanto, e la vita, l'ho trovato "spumeggiante" e tanto "riflettente". Grazie Franco.

COME UN SORSO DI BIRRA¹

È come un sorso di birra
La vita…
Nel retrogusto d’amaro
di sale, d’antico.

Ma tanto ti garba
e torni a libare
e sentirti stordire
quel tanto che basta.

E già… come la vita
amara, salata, stordente
un poco illusoria
ma tanto sfottente.

T’illude, ti gasa…
e dopo t’accascia.
Sirena ammaliante
col cuore di strega.

Eppur non ti basta,
malgrado l’oltraggio
ti aggrappi al suo stelo
ne brami il retaggio.

E quando di colpo
lei sta per sfuggire
ne implori il prosieguo,
l’importante è finire
con Dignità.

Francofor², copyright 08/2019

 

¹ Mi sono permesso di mettere io il titolo e di suddividerla in strofe per agevolarne la lettura.

² Franco Forestiere.

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Conversazione Piazza Garibaldi/6

(dalla 5^ parte) Attaccato al Palazzo di Città c’è il Palazzo che prima ospitava un albergo (foto in alto). Poi l’edificio dell’albergo, in pessime condizioni, fu riedificato, come lo vediamo oggi, dal barone e deputato Salvatore Camerata, originario di Butera. Al centro della facciata c’è una lapide del 1921 che ricorda i combattenti morti nella I Guerra Mondiale (foto in mezzo). L’edificio restaurato fu prima l’abitazione del barone Camerata, poi questi si trasferì nel palazzo Starrabba di via Garibaldi, per essersi sposato con una Sceberras, e il palazzo divenne la sede degli uffici della Sottoprefettura e l’abitazione del Sottoprefetto. Qualche anno dopo divenne la sede del Commissariato di Polizia e, ancora dopo, la sede dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, dell’Autoscuola Villari e degli uffici del Museo Archeologico della Villa Romana, prima di trasferirsi al Palazzo Trigona. Oggi c’è lo studio legale dell’Avv. Roberta Orlando. Nel lato ovest della piazza (foto in basso), quello che fa angolo con la via Vittorio Emanuele ex Calàda ô Culègiu (discesa del Collegio), sembra che ci fosse la sede della Corte Capitanale di cui parla il Villari¹: «Sorsero intorno alla piazza il Palazzo Crescimanno; la Loggia Comunale (poi abbattuta nel ‘700 per dare posto al Palazzo di Città o Palazzo del Senato); il palazzetto del Capitano di Giustizia (accanto alla Loggia) detto anche Corte Capitanale; la chiesa di San Rocco». La Corte era retta da un capitano di Giustizia coadiuvato da Giudici e Ufficiali. Nella parte centrale esistono due lapidi: la più piccola delle due (riquadro giallo) ricorda il discorso fatto da Giuseppe Garibaldi da questi balconi il 14 agosto 1862; quella più grande (riquadro rosso) fu posta nel luglio del 1944 a ricordo sia della piccola che della fine della tirannide fascista. Alla fine della 2^ Guerra Mondiale i caduti piazzesi furono 151, compresi 2 partigiani e 11 della Repubblica di Salò. La conversazione col prof. Masuzzo è continuata parlando dei vari esercizi commerciali, dei loro gestori e/o proprietari e degli autisti da noleggio dagli anni Trenta sino ai nostri giorni. Inoltre, verso la fine sono state mostrate una dozzina di foto, scattate nella piazza in diversi periodi e manifestazioni. Nell'ultima foto il prof. Gaetano era a bordo della nuova Vespa Piaggio col padre Gino, nella sfilata in occasione della festa della Befana del 1956, festa che si svolgeva annualmente nella nostra tanto amata piazza Garibaldi.     

¹ Litterio Villari, Storia della città di Piazza Armerina, IV edizione, IBN Editore, Roma 2013, p. 347.

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Conversazione Piazza Garibaldi/5

In giallo come doveva essere l'inferriata sul piano dinnanzi al Palazzo di Città di Piazza Armerina

(dalla 4^parte) La prof.ssa Lucia Todaro riporta una poesia in galloitalico del notaio Remigio Roccella, dove parla di quello che si può vedere sul CIÀNGH Î FERRI Â CÖRT (sul Piano con l'inferriata nella corte del Palazzo di Città) in piazza Garibaldi, prima del 1884. Io l’ho tradotta così:

«Sotto il portone del palazzo di Città
c’è uno spiazzo circondato da un’inferriata.
Questo luogo è sempre pieno di oziosi,
che non vuole lavorare e qui passeggiano,
dato che il sole li riscalda ogni mattina.
Medici, preti, calzolai, farmacisti,
avvocati, villani, maestri barbieri,
notai, muratori e sagrestani,
commercianti, mastri d’ascia e bottegai,
facchini, sarti, puttanieri
e nobili e ricchi e poveri servitori,
facendo salvi le giuste eccezioni,
tutti di questo e quello parlano male,
stanno immobili e passeggiano a coppie».

La professoressa conclude la vicenda dell’inferriata, in ferro battuto e bronzo, così:       

«STORI D’ORBI: I FERRI Â CÖRT… RUDÙI [Storie di ciechi: i ferri alla corte… rosicchiati]. La poesia del Roccella fu scritta prima del 1884, quando per fare le strade principali, questa inferriata, fatta in ferro battuto e bronzo, fu staccata e conservata nei magazzini del Comune. Fu conservata così bene che non si trovò più! L’avvocato Rosario Roccella riporta che qualcuno, per ridere, s’inventò che se l’erano rosicchiata i ratti. E così rimase il modo di dire, quando una cosa spariva senza sapere il chi e il come, ma si sapeva, eccome: ‘’E che è rimasto come i ferri alla Corte?’’. I buchi ancora si notano nelle pietre del piano! Andateli a vedere!»
Aggiungo io che, probabilmente, l’inferriata era stata collocata per impedire l’accesso al piano agli asini e ai muli che avrebbero sporcato. (continua)

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