Ricordi e fatti inediti/10
A pochi giorni dalla morte del X Vescovo della nostra Diocesi Mons. Vincenzo Cirrincione, morto il 13 febbraio 2002, il Padre Gesuita piazzese Carmelo Capizzi esprime, sulla rivista dell’Ordine La Civiltà Cattolica, tutte le sue perplessità al perenne “pio sogno” degli Ennesi per avere la Diocesi nella loro città.
«La diocesi di Piazza Armerina e un pio sogno di Enna, Marzo 2002 - La morte di Mons. Vincenzo Cirrincione (13 febbraio ultimo scorso) ha lasciato la diocesi di Piazza Armerina “vedova”. In questi giorni di “vedovanza” (con termine tecnico si direbbe “sedivacanzaa”), un giornalista ennese torna a ripetere che a Enna si accarezza un vecchio sogno: come capoluogo di provincia essa dovrebbe avere finalmente la sua diocesi. Ne avrebbe un diritto sacrosanto, pensa ed insinua il predetto giornalista anche se non lo dice apertamente. Qualche anno fa, invece, un suo èmulo fu più esplicito e patetico, anzi più categorico, nel proclamarlo. Naturalmente, la diocesi di Enna dovrebbe essere quella di Piazza Armerina, ottenendo, come primo passo, la nomina di Enna a con-cattedrale di Piazza. Poi verrebbe il resto per via di eliminazione. L’argomento ribadito dal nostro giornalista a questo proposito è uno solo e tutt’altro che nuovo. Enna, come egli ha ripetuto alcuni giorni fa, sarebbe in Italia “l’unico capoluogo di provincia che non ha sede vescovile” (La Sicilia, domenica 17/2/2002, art. "IN ATTESA DELL’11° VESCOVO"). Sia detto una volta per tutte: tale argomento è semplicemente falso e forse fondato su una velata dimenticanza (non diciamo ignoranza) dei fatti. Come appare da un testo ufficiale riedito ogni anno in Vaticano, l’Annuario pontificio, in Italia abbiamo non solo numerose sedi diocesane, che non sono capoluoghi di provincia, ma anche un certo numero di capoluoghi di provincia che non sono sedi diocesane. Se ne contano sei: Imperia in Liguria; Verbania – Pallanza in Piemonte; Varese, Sondrio e Lecco in Lombardia; Pordenone nel Friuli. Dunque Enna non è sola, ma … in buona e onorata compagnia. Su che cosa si fonda la predetta affermazione così ignara dei fatti? Che cosa suggerisce a Enna (più esattamente: a certi circoli ennesi insaziabili di potere) un’ambizione presentata piamente come aspirazione di “moltissimi cattolici”? Soddisfare questa aspirazione comporterebbe una nuova spogliazione truffaldina della “Città dei mosaici” a tutto vantaggio di un capoluogo, imposto alla Sicilia centro-meridionale da Mussolini per odio a Don Luigi Sturzo, già esiliato in Inghilterra, e a suo fratello Mario, vescovo appunto di Piazza Armerina fin dal 1903. Chi non è digiuno di storia locale sa infatti che nel 1926 la patria dei Trigona, uno dei casati più ricchi e potenti di Sicilia, di Prospero Intorcetta, primo traduttore in latino delle opere di Confucio, e dei generali Giuseppe Ciancio, comandante geniale del XIII Corpo d’Armata sul fronte Giulio, e Antonino Cascino, medaglia d’oro al valor militare, aveva undici mila abitanti in più della Castrogiovanni di allora. Soprattutto sa che era capoluogo del Distretto, del quale la futura Enna era semplicemente uno degli otto comuni componenti, sprovvisto di tanti uffici che Piazza Armerina già aveva da secoli. La risposta alle domande che abbiamo poste sarà sgradita a qualcuno, ma è facilissima e non ammette repliche. Il preciso “diritto” di Enna ad avere una diocesi propria si fonda su una premessa giuridica illusoria, mai esistita, cioè sulla necessità istituzionale di far coincidere in Italia il capoluogo di provincia coi capoluogo di diocesi. Nel Concordato del 1929 tale necessità non fu per nulla riconosciuta, ma si previde soltanto la convenienza di attuare, possibilmente, la predetta coincidenza caso per caso e sulla base di negoziati bilaterali delle due “Alte Parti contraenti” (art. 16). Le gravi difficoltà oggettive della materia e gli sviluppi politici generali susseguenti al 1929 resero lettera morta questo articolo del Concordato. Non se ne fece nulla. Il nuovo Concordato concluso il 18 febbraio 1984 è stato più spiccio: ha ignorato quella convenienza, stabilendo che “la circoscizione delle diocesi e delle parrochhie è liberamente determinata dall’autorità ecclesiastica” (art. 3 § 1). Le provincie sono dunque ignorate. In altre parole, la Chiesa e lo Stato italiano si sono mantenuti sempre più liberi di agire nel proprio àmbito circa le provincie e le diocesi, e la Chiesa ha rimaneggiato le diocesi (per lo più riducendole di numero) senza tener conto delle provincie. Essa ha dovuto badare non solo a tradizioni locali antichissime e molto complesse, ma soprattutto a motivi di convenienza pastorale, uno dei quali è la centralità e la facilità di accesso del capoluogo della diocesi rispetto al suo territorio. Ora tutti sanno che Piazza Armerina è al centro della sua diocesi e accessibile da ogni lato. Enna appollaiata e isolata su un terrazzo a 931 metri d’altezza sul mare, senza contare le difficoltà del suo accesso e i rigori del suo clima, verrebbe a trovarsi alla periferia nord della diocesi e sminuirebbe fortemente la funzionalità pastorale della curia vescovile allontanandola soprattutto dalla fascia meridionale (Niscemi, Gela, Butera, Riesi e Mazzarino), che comprende circa i due terzi della popolazione diocesana. Donde appare evidente l’inconvenienza, per non dire l’insipienza, del trasferimento sognato da certi circoli ennesi per puro amore di campanile. Tutti sanno o dovrebbero sapere che Enna, abusando con accanito egoismo delle istituzioni provinciali regalatele alla cieca da Mussolini, pratica fin dal 1926 verso Piazza Armerina la politica cinica del “mors tua vita mea”. Riflettendo su tante discriminazioni, emarginazioni e boicottaggi aperti o segreti, si ha l’impressione che Platia delenda! Sia il motto principale degli ambienti provinciali di Enna. Essi del resto, dimostrando un’ammirevole concordia e abiltà quando si tratta di trasformare in propri manutengoli e docili marionette certe “autorità” dello stesso Comune di Piazza Armerina, spesso, a quanto pare, politicamente ricattate e ingannate, e più spesso ancora comprate sottobanco col solito piatto di lenticchie. Quei circoli, in ogni caso, dimenticano la genesi problematica, per non dire autoritaria e losca, della provincia di Enna, che, a conti fatti, esercita solo una funzione parassitaria ed erosiva sui Comuni che la compongono: la funzione di un cancro istituzionale coltivato sulla pelle della povera gente. Lo confessò, apertamente, circa quindici anni fa, un suo sindaco democristiano, che nel frattempo ha fatto carriera. Del resto chi ha gli occhi e giudizio sano si domanda: perché mai la ex-Castrogiovanni, in 76 anni di godimento dei privilegi di capoluogo di provincia è riuscita soltanto a bloccare il suo territorio provinciale tra le aree più povere e depresse d’Italia? Perché mai la popolazione di Enna da circa 27.000 abitanti del 1926 si è fermata soltanto ai circa 28.300 abitanti di oggi? Ragusa, invece, fatta capoluogo di provincia nello stesso anno, ha almeno raddoppiato la sua popolazione, che oggi conta circa 75.000 abitanti effettivi. Data la posizione topografica di Enna, è superfluo porsi problemi di sviluppo urbanistico in vista di uno sviluppo globale della provincia. La costruzione di Enna Bassa è un ripiego disperato e per più versi un palliativo dispendioso, data la distanza e il dislivello che le separa dalla vecchia Castrogiovanni, dove si trovano gli uffici, le chiese, i conventi, il carcere e il cimitero. E finalmente ci si domanda per qual motivo Enna tenga gli occhi cupidi puntati sulla diocesi di Piazza Armerina e non su quella di Nicosia, che rientra ugualmente nel suo territorio provinciale, chiamato pomposamente “l’Ennese”; perché, infine, imitando gli islamici nel trattare i cristiani, Enna non sappia che cosa sia la reciprocità. Vuole da Piazza l’onore di essere sua con-cattedrale, ma non vuole restituirle o concederle nessun ufficio e nessuna risorsa di con-provincia, anzi cerchi di impoverirla, soffocarla e degradarla in tutti i modi. La gente di Piazza è costretta a inerpicarsi dispendiosamente a Enna per tanti servizi che potrebbe avere (e, fino a pochi anni or sono, aveva) a casa propria. Peggio ancora, la gioventù piazzese è costretta ad emigrare sottraendosi all’asfissia economica e occupazionale ormai cronica. Si pensi, ad esempio: Enna ha impedito che a Piazza Armerina si aprisse una sede distaccata dell’INPS, e l’ASL di Enna impedisce tuttora che lo stesso ospedale nuovo di Piazza Armerina abbia una sala di rianimazione. Tutti fatti e interrogativi lasciano indovinare la vera natura del pio sogno di certi ennesi, la cui gloria consiste soltanto nel farsi grandi riducendo Piazza Armerina a un paesaccio senza importanza, nonostante la splendida Villa Romana del Casale, la rara bellezza del suo sito e della sua struttura urbana, e l’apertura recentissima della Facoltà di Scienze del Turismo. Ma cambierebbe rotta politica e crescerebbe in efficienza amministrativa Enna, se – tanto per fare un'ipotesi – vi si trasferisse una sede diocesana? Dopo 76 anni di triste esperienza, tutto induce a dubitarne, se non a rispondere francamente di no. Carmelo Capizzi».
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