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Cronarmerina - Dicembre 2015

Famiglia Cammarata

Di rosso alla banda d'argento accompagnata da due gigli d'argento
Il nome della famiglia Cammarata deriva probabilmente dal greco bizantino Kàmara = stanza a volta o grotta, e potrebbe essere nato per indicare la zona di provenienza dopo un trasferimento spontaneo o forzoso. La città di provenienza potrebbe essere quella dell'antica Erbesso, situata nell'odierna Montagna di Marzo. Infatti, il nome Erbesso deriverebbe da erebos sinonino di "grotta", tanto che Alceste Roccella nel 1882, scriveva Il castello di Ghiran e delle Grotte estolleasi sulla vetta di Monte di Marzo. Gli arabi appellarono quel Municipio, a causa delle grotte, il paese delle 40 grotte o le Grotte di Karkun. 
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Nel 1282 Anastasio de Cammarata è il primo della famiglia Cammarata e lo troviamo tra i 101 nominativi di militi e/o nobili presenti nel vasto territorio di Plasia. Facendo un salto di 300 anni nel 1560 registriamo Gregorio da Cammarata (?) Abbate del monastero di S. Maria di Fundrò. Dopo due secoli, nel 1781, nasce Domenico Cammarata* che, al dire di Alceste Roccella, fu "amatissimo della terra natale e profondo conoscitore delle cose patrie." Nel 1817 Domenico insieme ad altri concittadini fonda una "vendita" della Carboneria ma, scoperto, fugge a Messina. Gli anni successivi, pur essendo un rivoluzionario-antiborbonico, viene sempre eletto dai Piazzesi Decurione (consigliere comunale) e nel 1837, al tempo dell'epidemia colerica, di notte, rischiando l'arresto, si porta nei vicini Comuni per acquistare grano per la povera gente piazzese. Sempre nel 1837 fa parte della commissione comunale per la scelta di un terreno idoneo per cimitero e nel 1839 di quella per attuare una Biblioteca Comunale alla quale dona i primi libri, pubblicando, nel frattempo, importanti articoli sulla Storia di Piazza. Nel 1848 contribuisce al prestito al Parlamento Siciliano in vista della guerra contro i Borboni. Nel 1861 dal Governo Sabaudo è prescelto quale direttore provvisorio delle Nuove Scuole di Piazza (ginnasio e scuola tecnica) e nello stesso anno propone la specifica "Armerina" da aggiungere a "Piazza". Domenico Cammarata muore nel 1865 e il Consiglio Comunale del tempo pone il suo ritratto nel salone senatoriale del Palazzo di Città. Nel 1848 Callisto Cammarata è tra gli 847 componenti rivoluzionari della Guardia Nazionale di Piazza. Nel 1860 Modestino Cammarata è tenuto sotto stretta sorveglianza dai Borboni. Nel 1861 e nel 1865 Federico Cammarata è Assessore della Giunta Comunale. Gaetano Masuzzo/cronarmerina

*Il notaio Remigio Roccella (1829-1916) "u patri da ciaccësa poesìa" gli dedica questo sonetto:

 
Cammarata cu fu? Fu 'ncr'stiàngh
seriu, dott, nurà, fingh e sàvù;
fu u ciu rann e fomös paisangh
e d' tutti i Ciaccësi u patri fu.
 
Ggh'è u so r'tratt ch' par de Raffièu
ed è p'zzà na sala Comunau.
Quann ggh'annè, dd'vev'ggh u capèu!
 
(tratto da L. Villari, Cittadini Illustri, Commemorazioni Dattiloscritte, P. Armerina, 1996)
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Fontana Villa delle Meraviglie/n. 25

 
 
Altra fontana della Villa delle Meraviglie. Ha un perimetro ottagonale ed è molto più antica della precedente n. 24, che è situata a qualche metro di distanza. Tutte le fontane, in mezzo al verde, rendono il sito molto fresco e accogliente anche in estate, quando la zona del Casale è tra le più calde, perché a Meridione rispetto al centro abitato vero e proprio.
Gaetano Masuzzo/cronarmerina
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Na rosa cìncu lìri

 
"Per dimostrare quanto la figura di Carmelo Procaccianti (p'rp'töngh) sia entrata nell'immaginario collettivo, senza escludere i giovani, circa due anni fa i "Taverna Umberto I" hanno musicato con bravura, un mio testo in dialetto siciliano, ispirato proprio a lui, dal titolo Na rosa cìncu lìri."  
Lucia Todaro
 
Na rosa cìncu lìri
 
Nuddu sapiva qual era lu so nomu.
D'unna viniva e quannu era nasciutu.
Estati e nvernu lu stissu era vistutu
firriava comu un gattu di iurnata.
 
Capiddi e barba longhi e mpidugghiati
scarpi di pilu e pezzi nturciniati.
Lannetti arruginuti pi sarvari
tozzi ammuffuti di pani pi mangiari.
 
Rit.: E li carusi vidennilu a passari... lentu lentu
ballannu appressu, lu facivanu nesciri di sentimentu.
E a smaccu s'ammuciavanu darreri ê cantuneri
gridannu forti forti "na rosa cincu liri!"
gridannu forti forti "na rosa cincu liri!"
 
A sentiri sta vuci iddu arraggiava
ma nuddu lu capiva chi diceva. 
Paroli di misteru e di cunnanna,
di sdegnu e ribellioni la chiù ranna.
 
Pigghiava petri e all'aria li ittava,
comu un ciclopu ca nenti chiù vidiva.
Cussà cu era ca tissiva la sorti,
ca ci faciva patiri sti torti.
 
Rit.: Quannu spingeva l'occhi pi fissari
a chiddu ca lu stava a taliari
pariva di l'Olimpu un diu anticu
pirchì di tutti... era amicu e nimicu...
pirchì di tutti... era amicu e nimicu...
 
Durmiva sutta n saccu â galleria
ittàtu tutta a vita a strania.
Faciva l'umbra ma umbra nun era
e lu capimmu quannu chiù nun c'era.
 
Chiù sulu fu u paisi senza iddu.
Fu comu si sparisci un picciriddu
 e ancora oggi nun si po capiri.
chi voli diri 'na rosa cìncu lìri'
chi voli diri 'na rosa cìncu lìri'.
 
Lucia Todaro 
 
cronarmerina.it
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IV edizione libro del Villari

 
 

  Domani, venerdì 27 dicembre, alle ore 18:00 presso il Museo Diocesano, sarà presentata la IV edizione del libro su Piazza Armerina del gen.le Litterio Villari. Io, che a forza di consultarla, ho consumato la II edizione del 1981, posso dire che è l'evento dell'anno che sta per finire. Questo è un libro che dovrebbe trovarsi in ogni casa, in ogni famiglia piazzese, non per far bella mostra sugli scaffali delle librerie, ma per essere letto, consultato e studiato. Le migliaia di notizie sulla storia dei nostri antenati, contenute nella precedente edizione, mi hanno permesso di scrivere il mio volume "Cronologia" e di ricostruire il 99% delle ricerche storiche che Vi ho proposto e Vi proporrò su queste pagine. Mai finirò di ringraziare lo storico Litterio Villari, per averci lasciato i suoi studi e il suoi lavori che ci hanno aperto gli occhi sulla nostra Città, come nessuno aveva fatto sino ai nostri giorni. Gaetano Masuzzo/cronarmerina       

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Bön Natali, Gesù! (versione corretta)

Carmèlu p'rp'töngh¹
Nonostante l'Italia sia tra i primi dieci paesi più industralizzati al mondo, ancora oggi conta 50 mila senzatetto o senza fissa dimora o clochard, per dirla alla francese, che fa più snob. Ma la sostanza non cambia. Anche Piazza ha avuto i suoi clochards, nella foto/disegno il più famoso che ha dato lo spunto al poeta ciaccës per parlare delle sofferenze che patiscono uomini che vivono a pochi centimetri da noi.
Il poeta Aldo Libertino avendo letto il mio post mi ha mandato la versione e la traduzione corrette della sua poesia con una prefazione:
"Nell'immaginario collettivo Natale è allegria, voglia di festa, di luci, di grandi abbuffate coi parenti e gli amici. Ma a tutto questo fa da contraltare un coro di voci che spesso preferiamo egoisticamente non sentire. Sono le voci dei diseredati, di chi soffre e non ha più lacrime da versare, delle madri in lutto per la morte dei figli, dei bambini affamati con i ventri gonfi di niente, di chi vive solo e dimenticato. All'unisono  queste voci si rivolgono al Bambinello, in cerca di conforto e di speranza."
    
Bön Natali, Gesù!   
 
Bön Natali, Gesù!                                     
Dû pav'röm 'ngr'ddù,                               
ch' dòrm 'nt 'mpurtöngh                           
sövra 'n ddétt d' cartöngh...                          
 
Bön Natali, Gesù!                                 
D' cu è 'nciaià e 'mp'natù                           
senza ciù ddarmi e cu 'n fìu d' vösg,          
stanch e straccangià d' purter a to crösg...               
                   
Bön Natali, d' cu fa festa                              
e 'nciöd a porta a cu resta                          
bannunà, 'mmenz ê guai,                       
d'siann a mort ch' nan vengh mai...           

Bön Natali, Gesù!                                      
Nan s' cönt'nu ciù                                        
i crösg e i calvàri                                              
dî matri 'nduluràdi!..                                 
 
Cu i panzi önci d' nent,                                    
vanu ciangénn ô vént                                     
neri angiuletti senz'ali...                                            
cussà s'rìv'nu a 'n autr Natali!                         
Tanti aguri, d' cu è 'n guerra                                
cû Celu e cu a Terra...                              
d' cu sö, d'sp'rà e nan gghâ fa ciù...              

Bön Natali, Gesù!                                           
 
Traduzione
Buon Natale, Gesù!
 
Buon Natale, Gesù!
Dal poveretto indirizzito,
che dorme in un portone
su un letto di cartone...
 
Buon Natale, Gesù!
Da chi, straziato dalla malattia,
senza più lacrime e senza più voce,
è stanco e stravolto di portare la sua croce...
 
Buon Natale da chi fa festa
e chiude la sua porta a chi resta
abbandonato in mezzo ai guai,
col desiderio di una morte che non arriva mai...
 
Buon Natale, Gesù!
Non si contano più
le croci e i calvari
delle madri affrante dal dolore!..
 
Con le pance gonfie di niente,
vanno piangendo al vento
neri angioletti senz'ali...
chissà se arriveranno a un altro Natale!
Tanti auguri da chi è in guerra
col Cielo e con la Terra...
da chi è solo, disperato e non ce la fa più...
 
Buon Natale, Gesù!
 
¹ Carmèlu era un mendicante accattone degli anni '60 che girovagava per la nostra Città e spesso lo si vedeva in piazza Garibaldi addossato alla chiesa di Fundrò. Per alcuni p'rp'töng deriverebbe dal nome alla ciaccësa dell'uccello "upupa", per altri da "polpettone", per altri ancora, ed è la versione esatta, dal cognome palermitano "Pipitone" (nome siciliano dell'upupa) del signore abitante in via Santa Chiara che alla sua morte gli lasciò in regalo la scapulàra (mantello di lana grezza nera) di cui non si separava mai.
cronarmerina.it

 

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Natale 1980

 
 Attraverso le parole di Sergio di 33 anni fa il blog Vi augura Buon Natale 2013 

A TE

 
A te scrivo
con lieto cor
dolce fanciulla
dei miei giorni d'or.
 
A te sorprendo,
chissà con qual color,
con ciò che mai pensasti
e con la qual ti rendo onor.
 
A te auguro con gioia 
e con sincero amor
un buon Santo Natale
del Bambino Redentor.
 
E sia per te felice
il nuovo anno per ogni or
mio candido, bello
e profumato fior.
 
 
Dicembre 1980                 Sergio Piazza
 
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina
 
 

 

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Nuvena d' Natàli p' niàutri

Il poeta ciaccës Tanino Platania augura Buon Natale a quanti si sono trovati a condividere, in pieno o in parte, le sensazioni giovanili descritte nella sua poesia:

A niàutri...

 
A niàutri, ch' purtav'mu i càuzzi cùrti na v'cètta smangiàdi,
chiètti 'n tèsta e gammunètti sèmpr sm'nnàdi.
 
A niàutri, ch' dav'mu piàdi ô palùni sövra u ponti â galarìa,
ô Ciàngh ê Bùffi, â Frattùdda e, d' cùrt, n'tâ bonarma d' Glaucu Mendolia.
 
A niàutri, ch' cu quattr puntàgghi, fasgèv'mu i porti
e cu a cöva d' löggi t'rav'mu lìnii, 'ncuscènza, sèmpr torti.
 
A niàutri, ch' 'ngrasciav'mu u palùni d' coir, cusgiù, ancöra, cu i ddàzzi 
e giuav'mu d' picch, d' tàcch e muttànn 'mpuru cu i bràzzi.
 
A niàutri, ch' currév'mu ciù fort du vént senza canösc erba¹
e autri purcarì d' spavént.
 
A niàutri, ch' senza r'ddòggi, savév'mu unna annèr
e quànn turnèr.
 
A niàutri, ch' nan scangiav'mu "Tutti i Santi" 
cu i cuvözzi sp'rciadi², ch' fanu pigghiè scanti.
 
A niàutri, ch' sp'ttav'mu u Natàli, macàri, p' sént scròsc di grài
e n' truvav'mu poi, sulu cu i ròsuli³ ntê mai.
 
A niàutri, ch' nan putév'mu parrè adaccuscì,*... Bon Natàli...!
... P' l'autri, nan ggh'höi nènt chi dì.
 
P. Armerina, Natale 2008    
Tanino Platania
 

¹Droga; ²Zucche bucate per la festa di Halloween; ³Geloni; *In dialetto.

 

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Famiglia Villanova

D'argento, con un castello di verde accostato da due cipressi al naturale
La famiglia Villanova (alias Villanuova) è originaria dalla Catalogna (Spagna) e nel nostro territorio è presente già nel 1288 con Vitale de Villanova, catalano, che riceve in perpetuo da re Giacomo II d'Aragona e I di Sicilia (1267-1327) il Casale di Mazzarino e inoltre possiede i feudi di Bracalechi e di Gibilscemi. Nel 1324 Stefano Branciforti combina il matrimonio del figlio Raffaele, milite di Platie, con la figlia di Vitale de Villanova, Graziana, unica erede della casata catalana. A questo punto il Casale di Mazzarino passa a Raffaele Branciforti Regio Secreto, Maestro Portulano del Regno e Castellano della notra Città. 1361 Riccardo Billanovi possiede terre in cotrada Braemi-Rabottano. 1392 Calcerando de Villanuova è nominato dal duca Martino il Vecchio signore di Castiglione e di Francavilla. 1424 fra' Giovanni de Villanova ha il governo della Commenda di S. Giovanni Battista. Seconda metà del 1500, Gabriello Villanova è miracolato dal Servo di Dio frat'Innocenzo Milazzo, francescano del Convento di S. Maria di Gesù della nostra Città. 1605 Francesco Villanova è Giurato e insieme ad altri tre nobili ottiene l'erezione della Casa Professa dei Gesuiti. 1612 Placidus Villanova è Priore dell'Abbazia Benedettina di S. Maria di Fundrò. A Piazza abbiamo soltanto uno stemma riguardante questa famiglia ed è quello murato nella piazzetta di Fundrò, sulla porta d'angolo con via Marconi. Lo stemma è tondeggiante e partito con a dx le armi della famiglia Villanova e a sx le armi della famiglia Cagno, probabilmente apparentati per matrimonio. Il palazzo passa alla famiglia Tirdera (alla quale appartiene la Serva di Dio suor Arcangela, 1538-1598 di cui si può leggere sulle "Ricerche Storiche") intorno al 1550, poi ai Giurati di Piazza che, nel 1620, lo cedono ai Benedettini provenienti da Fundrò. Gaetano Masuzzo/cronarmerina   
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Gen.le Giuseppe Ciancio / 4^ e ultima parte

Soldati italiani al fronte nella I Guerra Mondiale
4^ e ultima parte
Nelle successive battaglie (7^, 8^ e 9^ sulle 12 complessive) dell'Isonzo, il XIII Corpo d'Armata, che ha ricevuto dal generale Ciancio il motto "Avanti, sempre avanti a tutti i costi!", progredisce sempre più mantenendo le posizioni conquistate. In tal modo il Ciancio si merita la decorazione di Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia anche a coronamento della stima di brillante comandante che godeva fiducia e simpatia da parte di tutti¹. La 10^ battaglia, iniziata il 12 maggio e conclusasi il 5 giugno 1917, conferma l'esigenza espressa più volte dal generale Ciancio e dal Comando della III Armata al Comando Supremo: oltre che avanzare, che era facile, era di vitale importanza mantenere le posizioni conquistate con altre truppe di rincalzo, per non vanificare così il sacrificio delle ingenti perdite subite nei numerosissimi assalti. Il Comando Supremo invece fu di diverso avviso, ritirando tutte le truppe di rincalzo per porle in riserva. Il 30 maggio il XIII Corpo d'Armata riceveva l'ordine di trasferirsi, entro il 2 giugno, nelle retrovie per riorganizzarsi, sostituito in prima linea dal XXIII Corpo d'Armata comandato dal generale Diaz. L'8 giugno il gen. Ciancio venne esonerato per essere posto a disposizione del Ministero della Guerra. Tornato a Roma in Parlamento, ove viene consultato per questioni belliche, ricevette la terribile notizia della disfatta di Caporetto (12 nov. 1917). Essendo stato generale comandante di truppe al fronte fu chiamato a deporre nell'inchiesta parlamentare contro il gen. Cadorna. Non una parola di odio o di rancore contro chi sbagliando lo aveva moralmente distrutto. Nell'aprile del 1918 gli venne affidato il comando del Corpo d'Armata di Ancona. Finita la guerra sente il bisogno di dedicarsi alla famiglia e di scrivere un libro di memorie autobiografiche, rinunciando nel 1919 alla candidatura per il rinnovo del mandato parlamentare. Lasciò il servizio attivo nel 1920 e rifiutò durante il Fascismo la carica di Prefetto della città di Palermo. Si ritirò ad Albano (Roma), sui colli laziali, ove per oltre un anno fu Regio Commissario al Comune. In quegli anni² gli muore l'ultimo dei figli, Massimo, non ancora ventenne. Il 2 marzo 1932 il nostro generale Ciancio cessava di vivere. (tratto da L. Villari, Cascino, Ciancio, Conti, eroici condottieri siciliani, Tip. OPI, Roma, 1979)
 
¹ Anche il poeta Gabriele D'Annunzio, che per oltre un anno fu effettivo a un reparto del XIII Corpo d'Armata, così conclude una lettera inviata al Generale e conservata dalla figlia Lidia: <<Grazie Eccellenza, per le buone parole... M'ebbi in letizia l'ospitalità di Turriaco... Spero di rivederla, mio Generale. In ogni modo, avrà di me notizie che mi dimostreranno degno della Sua benevolenza così largamente concessami. Gabriele d'Annunzio - Turriaco (GO) - 11 febbraio 1917>>.
² Nel 1924 il generale Ciancio rinunciò alla nomina a Governatore della Tripolitania perchè il Duce pretendeva da lui una lettera di dimissioni in bianco, firmata e senza data.
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Gen.le Giuseppe Ciancio / parte 3^

1914 - Municipio di Alfonsine (a 20 Km. da Ravenna) dopo l'incendio degli insorti
Parte 3^
Il Ciancio tornato a Ravenna, dovette sedare la rivolta della "settimana rossa" con tale energia e diplomazia che gli procurò la stima dei ravennati¹. Nel 1915 lascia Ravenna per il Comando della Divisione Militare di Napoli e in maggio parte alla volta del fronte sull'Isonzo, nell'ambito della III Armata comandata dal Duca d'Aosta. Il mese successivo la sua divisione ebbe il battesimo del fuoco dinanzi al Carso. Dopo tre battaglie dell'Isonzo, nel gennaio 1916, per le belle qualità di comandante, venne incaricato del comando del XIII Corpo d'Armata schierato a Sud di Gradisca. (continua) (tratto da L. Villari, Cascino, Ciancio, Conti, eroici condottieri siciliani, Tip. OPI, Roma, 1979)
¹ La "settimana rossa" fu un moto insurrezionale, durato una settimana dal 7 al 14 giugno del 1914, durante la quale l'Italia parve avviarsi verso la rivoluzione sociale. L'alleanza ideologica tra contadini, operai e ceto medio, era tenuta assieme da un comune senso antimilitarista, dalla contrarietà all'impresa coloniale in Libia e dalla lotta contro l'invio a scopo "rieducazionale" in Compagnie di Disciplina dell'Esercito di tanti militanti riconosciuti come rivoluzionari. Due casi di altrettanti soldati antimilitaristi portò una grande folla a manifestare ad Ancona, ove furono uccisi dai carabinieri tre manifestanti. A questo punto la rivolta dalle Marche si estese alla Romagna e in quasi tutta Italia, provocando numerosi scontri violenti. Il generale Ciancio, che gestisce lo stato d'assedio a Ravenna, nonostante le poche truppe del presidio e l'impossibilità di comunicare con l'esterno per l'interruzione delle linee telefoniche, doma così bene la situazione che dal gruppo liberale costituzionale di Ravenna gli viene consegnato un documento di protesta, nei confronti dell'operato della prefettura, per non aver mantenuto un atteggiamento più fermo e sicuro, tale da pubblicare sul Corriere della Sera la seguente nota "unitamente a un omaggio sincero e devoto all'operato dell'esercito, perché il contegno degli ufficiali e dei soldati, specie nei momenti più difficili, è stato semplicemente eroico, ubbidendo essi a un durissimo dovere e conservando la più mirabile calma. - Il Corriere di Romagna, 18/19 giugno 1914- (tratto da Wikipedia e da www.storiaefuturo.com) (continua)
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