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Gaetano Masuzzo

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I due pionieri restauratori

I sigg. Filippo Di Seri e Giovanni Anzaldi
A sx il Sig. Di Seri, a dx il Sig. Anzaldi
Eccovi nelle due foto i due pionieri del restauro della Villa Romana del Casale ricordati ieri con una targa. Sono Filippo Di Seri (1925-2008) e Giovanni Anzaldi (1925-2010) che con le proprie capacità professionali, ma soprattutto con l'amore che era dentro di loro, si sono dedicati allo scavo e al restauro dei famosi Mosaici. All'inizio degli anni '50 la Villa Romana apparteneva alla Sovrintendenza di Siracusa, guidata dall'archeologo Vinicio Gentile e dall'assistente principale cav. Vittorio Veneziano. Questi ultimi incaricarono, per le loro doti di restauratori, i due piazzesi al restauro del mosaico (strappo dei pavimenti, incorporamento su cemento armato, etc.). Qualche anno dopo, grazie alla loro esperienza diventarono Assistenti Archeologici, soprattutto durante gli scavi a Montagna di Marzo, dove riuscirono ad individuare molte tombe, dentro le quali trovarono preziosi pezzi che hanno poi arricchito le sovrintendenze di Siracusa, Agrigento ed Enna. Durante questi scavi, in particolare il sig. Di Seri, con grandi capacità lavorative, ha eseguito questi lavori, mettendo a rischio la propria vita, per tutelare e custodire i beni ritrovati dai tombaroli. Il suo tempo libero lo dedicava alla Villa, mantenendo viali fioriti, angoli pieni di verde e decori con delle scritte floreali. Altri uomini di cultura umanistica e scientifica, come il preside Vito Romano e il prof. Ignazio Nigrelli, riconobbero le capacità professionali e umane di questi PIONIERI. In seguito il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, nel 1986, conferì loro il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana del Lavoro.
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
 

Targa ricordo

Ieri pomeriggio alla Villa Romana del Casale, alla presenza del Sindaco uscente prof. Carmelo Nigrelli, del direttore del Parco Archeologico della Villa Romana del Casale arch. Guido Meli, dei parenti (tra i quali il prof. Pippo Di Giorgio che si è prodigato a sollecitare la targa) e di un folto pubblico, è stata scoperta una targa in ricordo di due piazzesi, che sin dagli inizi degli anni '50 si dedicarono allo scavo e al restauro dei mosaici. I restauratori erano i sigg. Giovanni Anzaldi e Filippo Di Seri che negli anni sessanta furono nominati Operarori Tecnici del Ministero dei Beni Culturali, così competenti da essere chiamati come restauratori di mosaici in tante città come Ancona, Pompei, Tindari, Siracusa, Morgantina e Gela. Nei brevi discorsi di presentazione, è stato messo in risalto la figura di questo tipo di artigiani-amatori-cultori senza i quali gli studiosi, i professori e gli scopritori di opere così importanti, non potrebbero conseguire tali traguardi importanti per la cultura e la conoscenza, ezzenziali per tutta l'umanità. Infatti, non bastano gli studi, le competenze e le genialità se non ci sono questi operai responsabili e onesti che oltre ad aiutare a restaurarli non li tutelano, rispettandoli quasi come beni dei propri diretti avi, per "traghettarli" (è il termine usato dall'arch. Meli) nei migliori dei modi alle future generazioni. Gaetano Masuzzo/cronarmerina 
 
*Nel prossimo post le foto dei due restauratori a lavoro.

I due fotografi e altri

 
Queste sono due foto della stessa manifestazione: l'inaugurazione alla stazione dell'arrivo della ferrovia a Piazza il 7 Settembre del 1920. Mentre la foto in alto con la visuale più ravvicinata, è anonima, quella in basso porta chiaramente la firma dell'autore Foto Caponetti, per la precisione Angelo Salvatore Caponetti, conosciuto anche come "u mutu", in quanto sordo e muto. Quella in alto è dell'altro fotografo più famoso, ma sempre piazzese, Antonio Balbo, nato il 24 Febbraio 1888 e morto il 2 Settembre 1957. Del primo sappiamo che era nato a Piazza il 30 Giugno 1893 da Francesco Caponetti e Fortunata Allegra. Sposatosi nel 1916 con Ermenegilda Caponetti (forse una cugina) emigrò per breve tempo nel 1936 a Tripoli, per poi trasferirsi definitivamente nel 1950 a Torino, dove morì il 4 Gennaio 1963. La sua abitazione, dove c'era anche l'attrezzatissimo laboratorio fotografico all'ultimo piano, era in via Commenda 6 (oggi via Pietro Cagni), l'ultima traversa a sx della via Garibaldi. I due eccellenti fotografi erano quasi coetanei ma a noi sono rimaste soltanto tantissime foto di Balbo, tante da poterne fare alcune mostre. Antonio Balbo era sposato con Elvira Amoroso e il suo studio prima era in via Marconi 40 (oggi gioielleria Barbera) poi si trasferì in via Umberto 68 (dentro il cortile). Nel 1938 si adoperò con le sue foto per far conoscere i mosaici ritrovati alla Villa Romana e incentivare così ulteriori campagne di scavi, opera iniziata nel 1929 dal prevosto della Cattedrale Egidio Franchino e dal sacerdote prof. Filippo Piazza, e continuata dall'avvocato Antonino Arena nel 1945. Grazie alle foto di questi due fotografi, di cui ora sappiamo qualcosa in più, possiamo a distanza di un secolo conoscere com'era la nostra Piazza e i vizi e le virtù dei nostri avi, che poi sarebbero anche i nostri di oggi. Col passare degli anni, tra i fotografi che immortalarono generazioni di piazzesi, ricordiamo il sig. Commendatore e suo fratello con lo studio in via Roma, Totò Macrì a Sètt Cantunèri, Scucchia in via Garibaldi 70, Giuseppe Arena di Aidone in via Garibaldi 72/74, ma che aveva iniziato lavorando come ritoccatore di lastre da Caponetti, Malfa in via Garibaldi che aveva preso il posto di Arena che si era trasferito nella stessa via più in alto, Cascino Carmelo ambulante² e poi in via Garibaldi 110, Cascino Filippo allievo di Commendatore, Cascino Gaetano fratello di Filippo, Gioacchino Minuto (1894-1970) con lo studio, dove scattava foto con lampo al magnesio, in via Mazzini e l'abitazione in via Santangelo e Bruno Battacchi, prima di fronte la villa Garibaldi e poi in piazza Gen.le Cascino. Il Commendatore il più delle volte come studio usava la piazzetta accanto alla cancellata, quasi di fronte l'edicola della Madonna di via Roma. Le foto, specie quelle in primo piano per i documenti, quasi sempre si effettuavano o in mezzo alla via o in cortile per avere più luce, e dietro ai soggetti u carùsu aiutante-fotografo di turno stendeva come sfondo una tela nera, mentre u màstr armeggiava dietro al treppiede.
¹ Padre dello Scucchia commerciante di merceria nello stesso locale.
² Per richiamare l'attenzione suonava una campanella.
* I nominativi sottolineati sono stati aggiunti successivamente.
** Nel luglio del 2015 sono venuto a conoscenza di altri due importanti fotografi operanti a Piazza nei primi anni del Novecento. 
 
cronarmerina.it

Benefattore poco conosciuto

Foto del ritratto del canonico Antonino di Piazza in mostra nella sagrestia della Cattedrale

 
Lastra di pietra in ricordo del canonico Antonino di Piazza, Campanile della Cattedrale, Piazza Armerina, foto Marta Furnari 2020
 
In questi giorni un amico mi ha fatto pervenire il libro del canonico Filippo Piazza (1884-1959), La Valanga primogenita e la bonifica ruro-biologica, del 1941. Quasi alla fine del suo libro, a pag. 140, il professore di latino e greco ricorda, oltre al famoso gesuita Prospero Intorcetta, anche un grande benefattore suo antenato, Antonino di Piazza: «Ritorna sempre cara l'ombra di Antonino di Piazza che dettò a beneficio della Cattedrale le celebri parole: Vendete e fabbricate. Nel suo testamento del 1628 lascia erede universale di tutti i suoi beni la Chiesa Cattedrale, che allora s'incominciava a fabbricare. Dispose che vi si costruisse una cappella dedicata a S. Antonino, in cui si sarebbe seppellito il suo cadavere [...]. Morì nel 1638 ed ebbe sepoltura provvisoria nella chiesa di S. Antonio, dove un marmo lo ricorda moderator, cioè superiore della Confraternita dei Nobili. Dal 1746 (anno in cui fu terminata la fabbrica della Cattedrale) ad oggi i Sigg. Fidecommissari non hanno provveduto all'osservanza di tale disposizione. Si ricordino che ingenti son le sue ricchezze [...]. Secondo l'Ufficio Araldico di Palermo, egli proviene da quel Piazza tedesco, che nel sec. IX faceva servizio diplomatico da Berlino a Torino. Le sue propaggini sono diffuse dall'Alta Italia alla Sicilia per mezzo delle colonie lombarde. Nicolò Piazza nel 1739 è il primo ad avere il cognome "Piazza" e non "di Piazza", come risulta chiamarsi suo padre Domenico nell'atto di battesimo del 1709 [...] appare certo che l'indice nobilesco del "di" scomparse tra il 1729 e il 1739». Lo stesso Filippo Piazza, ma in un suo scritto del 1931, così scrive sotto la figura 13, come quella nella foto in alto, che ritrae il nostro Antonino di Piazza: «molto devoto a Maria SS. delle Vittorie, lasciò un ingente patrimonio per la fabbrica della cattedrale. Morì nel 1638 ed ebbe sepoltura provvisoria nella chiesa S. Antonio, in cui, purtroppo, giace ancora: aspetta d'essere seppellito, come dispose nel testamento del 23 agosto 1638, nella cappella S. Antonino della cattedrale, in cui istituì due cappellanie di messe quotidiane» (Filippo Piazza, Il Vessillo del conte Ruggero e la Madonna dei fascisti, Editoriale Tipografica Siciliana, Catania 1931, p. 20).
 
cronarmerina.it
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