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Cronarmerina - Aprile 2025

Famiglia Carducci a Piazza / Biografia 1

L'unico ritratto trovato di Valfredo Carducci (1839-1919)
Dopo aver fatto il pieno di notizie più o meno precise sulla Fam. Carducci a Piazza, finalmente m'imbatto sul saggio «Carducci, Amico e Castronovo, su Monte San Giuliano» di Vincenzo Adragna del 1989, sul sito www.trapaninostra.it, dove trovo nuove, chiare e precise notizie, soprattutto per la parte che va dal 1868 (anno di nomina a insegnante elementare di Valfredo) in poi.
 
Biografia del Prof. Valfredo Carducci- Parte 1^
 
Il medico Michele Carducci e la moglie Ildegonda Celli, dopo aver avuto il primo figlio Giosuè nel luglio del 1835 a Valdiscastello (fraz. di Pietrasanta - LU), si trasferiscono nella vicina Seravezza dove nasce il secondogenito, Dante, nel 1837. L'anno successivo la famiglia si trasferisce a più di 100 Km. più a Sud, a Bolgheri (LI). Qui nasce nel 1839 il terzogenito Valfredo e ci rimangono per dieci anni, per poi trasferirsi a Castagneto (LI) e poi a Lajatico (PI) e, infine, a Firenze nell'aprile del 1849. Nel 1851 altro trasferimento familiare a Celle sul Rigo (SI) e nel 1854 a Piancastagnaio (SI). Valfredo, durante questo peregrinare familiare, va a studiare a Firenze e, dopo l'interruzione degli studi per partecipare alla "guerra del '59" (nota come la Seconda Guerra d'Indipendenza) nel corso della quale si è guadagnato riconoscimenti di merito, continua e ultima gli studi a Bologna, prendendosi anche l'abilitazione all'insegnamento letterario per le Scuole Tecniche e Normali. Va a lavorare prima a Firenze presso la Tipografia Barbèra, poi a Pistoia, presso la Società Tipografica Carducci-Bongiovanni. In questo suo girovagare vive tristi momenti di incertezza e sofferenza morale e materiale, anche per non poter dare inizio alla sua vocazione all'insegnamento. E' in uno di questi momenti di sofferenza, mentre si trova a Bologna, presso il fratello, che gli giunge la proposta di Ugo Antonio Amico (1831-1917), poeta, storico della letteratura siciliana e professore di Monte San Giuliano (odierna Erice - TP), amico e collega di Giosuè Carducci conosciuto nella città emiliana. La proposta consiste nella nomina all'insegnamento nelle scuole di Monte San Giuliano dopo che l'Amico, sollecitato dagli Amministratori del Comune siciliano per avere consigli in merito al reclutamento di insegnanti, scaturito dall'applicazione della nuova Legge Casati del 1866 sull'istruzione primaria obbligatoria, si era consigliato con Giosuè. Questi gli aveva indicato i nomi di suo fratello Valfredo e di suo cugino (primogenito dello zio Natale) Valerio Carducci, visto che l'Amico cercava maestri toscani per assicurare alla popolazione un perfetto insegnamento della lingua italiana. (continua)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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A giurnàda dî morti

Il due novembre, giornata della commemorazione defunti, visitare  il camposanto è un atto dovuto e di fede nello stesso tempo. Le numerose fotografie sulle tombe, offrono l’occasione di ritornare indietro con la mente. Il vero credente sa che dentro le tombe non vi è più nessuno… l’anima è volata in cielo con la preghiera.
 
 A GIURNÀDA DÎ MORTI
 
Nan ggh’è scànt,
e mànch p’n’tènza
annè ô camp’sànt
nâ giurnàda dâ r’verénza.
 
Ad’r’ttùra, u r’tràtt dû mòrt
â f’lèra o â r’nghèra,
m’ döna pasg’ e cunòrt
e m’ porta nû témp ‘ndarrèra.
 
Sti fàcci stampàdi, ‘ntra lùmini ê sciuri
m’inc’nu  u cör d’ t’nn’rézza…
...Cö câ scrìma , cö cû l’öggi scuri
u scaffarà e cödda câ trézza…
 
P’ mi, vacànti sù i fussöi.
Oramài bit’nu â ddà via
e fanu d' sötta e d’ patröi,
senza rancùri e ddutanìa.
 
L’arma bianca com’ a zzèra,
ha pighiàit u vòlu câ prièra.
 
Tanino Platania
 
 
Il giorno dei morti
Non ho timore/ e neanche mi dà peso/ andare al camposanto,/ nella giornata della commemorazione dei defunti./
Anzi, a vedere i ritratti dei defunti/ disposti in fila o in riga,/ mi dà pace e conforto/ e mi portano indietro negli anni./
Questi visi, tra lumini e fiori/ mi riempiono il cuore di tenerezza../ (C’è) Quello con la scriminatura,/ quello con gli occhi scuri,/quello pelato e quella con la treccia…/ Io sono sicuro che dentro le tombe non c’è nessuno./ Ormai abitano in cielo,/ senza dolori e lamenti./ L’anima bianca come la cera/ è volata in cielo con la preghiera.
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Famiglia Carducci a Piazza/Il Certificato

   
  Ex I.T.I.S. oggi sede dell'Ufficio dello Stato Civile  

Le notizie poco chiare, errate e contraddittorie accennate nel post precedente erano:

-Nel sito dell'Associazione per la tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese trovo una sintesi della relazione del prof. Renzo Vento, tenuta a Trapani il 10 dicembre 2011, che come argomento aveva La famiglia Carducci e la Sicilia. Dalla relazione si viene a sapere che Valfredo si sposa con l'insegnante anch'essa toscana Argia Faveni (?).
-Sempre su internet trovo su un giornale, che parla del liceo "Carducci" nato come Scuola Normale (Magistrale) nel 1890, un vecchio e sbiadito ritratto di Valfredo Carducci e "nato nel 1838" (?).
-Sull'Enciclopedia Treccani.it alla voce "Carducci Michele" Valfredo Carducci è nato nel 1841(?).
-Su I Classici U.E. Feltrinelli a cura di W. Spaggiari, Giosuè Carducci Poesie, 2007 p. XV, Valfredo risulta nato nel 1841(?).
-Su Giosuè Carducci, Prose, UTET, Torino, Ristampa 2006, eBook 2013, prosa VIII "Alla Moglie, [Firenze], Pistoia 10 gennaio 1860", alla nota 5: «- Valfredo:... rimasto vedovo (?) nel 1866, si risposò a Noto (?) con la collega fiorentina Argia Faleni».
A questo punto c'era abbastanza materiale per avere le idee ancora più confuse, solo che mi viene in mente che, essendo Valfredo morto e sepolto a Piazza, avrei potuto sapere qualcosa in più, se avessi cercato all'ufficio dello Stato Civile del nostro Comune. Infatti, dopo aver cercato inutilmente nel mese di marzo 1919 (come mi avevano suggerito), la gentile impiegata passa al mese successivo e trova l'atto di morte al n. 130 di giorno 30 aprile 1919. Due testimoni, un villico e un muratore, dichiarano all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Piazza Armerina di allora che "alle ore 7 di oggi nella casa posta in via Mazzini è morto Carducci Valfredo Guido di anni settantanove, pensionato residente in Piazza nato in Bolgheri da fu Michele, civile, domiciliato in Bolgheri, e da fu Celli Ildegonda, civile, domiciliata in Bolgheri; vedovo di Faleni Argia". Seguono i nomi di altri due testimoni piazzesi che però non firmano perché analfabeti. Ora, anche se 1919 meno 79 fa 1840, può darsi che avrebbe compiuto gli ottant'anni da lì a qualche mese, risultando così ancora settantanovenne, come dice il certificato. Pertanto, è abbastanza credibile e accettabile l'anno di nascita sulla tomba, 1839. Inoltre, dal cerificato del Comune, risulta il cognome esatto della moglie "vedovo di Faleni Argia" (era deceduta nel 1890). (continua)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Famiglia Carducci a Piazza/La tomba

La tomba di Valfredo e Ildegonda Carducci
 
Il 24 giugno scorso vi avevo parlato della presenza durante gli anni '30, nella segreteria dell'Istituto Magistrale "F. Crispi" di Piazza, della nipote del poeta Giosuè Carducci, Clelia Carducci. Vi avevo anche detto che la signora Clelia si era sposata col piazzese dott. Salvatore Marino, abitante in via Mazzini, col quale aveva avuto 5 figli e che era la figlia del minore dei due fratelli che aveva avuto il poeta-scrittore, Valfredo. Il maggiore dei fratelli, Dante, nato nel 1837, era morto ventenne nel 1857, l'altro, Valfredo, il padre di Clelia, era nato nel 1939, forse! Tutto era finito qui, sino a quando la scorsa primavera, chiacchierando della mia localizzazione della tomba nel nostro cimitero della Bellia della nipote di Giosuè, Clelia, con l'allora sindaco Carmelo Nigrelli, lui mi diceva che sapesse già della presenza della nipote e mi accennava della presenza nella nostra Città, all'inizio del secolo scorso, anche del padre di Clelia, nonché fratello del poeta, Valfredo. E, inoltre, di aver saputo della volontà, dell'allora amministrazione comunale del 1919, di apporre una lapide sopra il balcone al primo piano dell'abitazione in via Mazzini 24, del prof. Valfredo Carducci, qualche anno dopo la sua morte. La lapide, scolpita dal nonno del Sindaco, Giovanni Lo Giudice, così diceva "A Valfredo Carducci fratello del poeta, maestro di Benito Mussolini, morto in questa casa - Piazza Armerina 30/3/1919". Mi sembrava che la storia della famiglia Carducci in Sicilia si fosse conclusa qui, invece, qualche giorno fa, al cimitero della Bellia, per caso, passando per un viale in prossimità della chiesetta, gli occhi si sono posati su una tomba (nella foto) dove ho trovato scolpiti questi nomi: Prof. Valfredo Carducci 1839-1919 e Ildegonda Carducci 1871-1961. Era stata trovata la tomba del fratello e di un'altra nipote del premio Nobèl per la letteratura nel 1906 nonché Vate della Terza Italia. Scattando la curiosità, mi metto a cercare altre notizie su Valfredo Carducci e su internet, in quel poco che trovo (infatti manca la voce anche su Wikipedia), riscontro alcune anomalie, imprecisioni e contraddizioni. (continua)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
 

 

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La parola ROGER

Chissà quante volte abbiamo sentito la parola ROGER nei film di guerra americani. Da parte mia mi sembrava che il soldato che comunicava si rivolgesse al commilitone che stava dall'altra parte del "filo" di nome Roger. Invece il termine roger è usato nelle radiocomunicazioni e sta per "messaggio ricevuto". Il temine fu usato, insieme all'altro wilco (abbreviazione di will comply = messaggio ricevuto-sarà eseguito), per la prima volta durante la Seconda guerra mondiale. Il roger in questione non è una persona, corrisponde invece alla lettera "R" in uno degli alfabeti radio (o fonetici) più usati dall'esercito e dalla marina militare statunitense durante il conflitto, l'alfabeto "Able Baker". E la "R" (cioè "roger") si usa nelle radiocomunicazioni proprio perché è l'iniziale della parola received = ricevuto. L'uso è rimasto, anche se oggi l'alfabeto "Able Baker" è stato rimpiazzato dall'alfabeto della "Nato", sviluppato negli anni Cinquanta, che comincia con alpha, bravo, charlie, delta e usa ROMEO invece di ROGER per indicare la "R". (tratto da FocusStoria, Ottobre 2013) Gaetano Masuzzo/cronarmerina
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Fontana Villa delle Meraviglie/n. 19

 
 
Questa nella foto è la seconda fontana, meglio fontanella, della Villa delle Meraviglie. La s'incontra appena si varca l'ingresso all'aperto, a pochi passi da quello a sx per il Museo. Sembrerebbe recente e non c'è alcuna scritta scolpita. A proposito del "Museo Enzo Cammarata", dal 2009 espone una importante e diversificata collezione di oggetti e arredi d'epoca legata a un'antica passione collezionistica, che ha avuto come base le testimonianze della tradizione di famiglia, legata in particolare alla vita dell'antenato Domenico Cammarata, erudito piazzese della metà del XIX secolo*. Gaetano Masuzzo/cronarmerina
 
*Per saperne di più sulle collezioni esposte si può cliccare su
http://www.villadellemeraviglie.it/it/storia-museo/collezioni.html
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Cavalieri di Alcàntara

 
 
Stemma dell'Ordine di S. Juliàn del Pereiro
Antico emblema dei Cavalieri di Alcàntara
Stemma dei Cavalieri di Alcàntara dal 1411
Verso il 1166, un piccolo gruppo di cavalieri conosciuti come i Cavalieri di San Juliàn del Pereiro operava sulla frontiera di Castiglia e León. Nel 1176 vennero gratificati con le terre da Ferdinando II re del León, e nel 1183 vennero ufficilamente riconosciuti dal Papa come Ordine Religioso. Nel 1187 l'Ordine si pose sotto la giurisdizione dei Cavalieri di Calatrava, ai quali nel  1217 venne affidata la città di Alcàntara nella Estremadura. Nel 1218 l'Ordine di Calatrava cedette la città e tutti i suoi possedimenti nel León ai Cavalieri di San Juliàn del Pereiro, che da qui in poi vennero conosciuti come Cavalieri di Alcàntara. Nel 1234 l'Ordine di Alcàntara poteva metter in campo una forza di 600 cavalieri e 2000 fanti. Nel 1411 dall'antipapa Benedetto XIII venne concesso all'Ordine di rimuovere l'albero di  pero selvatico con le radici esposte e spoglie su campo d'oro dallo stemma originario e di adottare uno stemma identico a quello dell'Ordine di Calatrava, ma verde scuro. Come gli altri Ordini spagnoli, anche questo venne gradualmente ricondotto sotto il controllo della Corona. L'ultimo Gran Maestro morì nel 1494.
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Famiglia Spinelli

D'oro alla fascia di rosso caricata da tre stelle di sei raggi d'oro.
Famiglia proveniente dal napoletano ma originaria da antichi baroni romani, si stabilisce a Pulice¹, e i primi nominativi della famiglia Spinelli o (de) Spinello li troviamo intorno al 1503 con Giacomo e il fratello Matteo I de Spinello dei principi della Scalia, locotenente de capitaneo del S. Uffizio, che sposa la baronessa del Cutumino e acquista il feudo Montagna (in territorio di Caltagirone) per 1.000 onze e, cinque anni più tardi, lo passa al nipote Giovanni Andrea Calascibetta-Landolina. Dal matrimonio nasce Panfilia (o Pompilia) che sposa Andrea Caladcibetta. 1516 Panfilia Spinelli, vedova senza figli di Giov. Andrea Calascibetta-Landolina, baronessa dei feudi Scalisa e Malocristianello, dona questi feudi e 60.000 scudi alla Chiesa Madre della nostra Città per restaurarla e ingrandirla e subito dopo si fa monaca nel monastero benedettino di S. Giovanni Evangelista. Alla morte di Panfilia, essendo senza figli, succede lo zio Giacomo, progenitore dei baroni della Scala di Friddini (o Friddani) e della Berrera in Sicilia. 1555 Matteo II Spinello o Spinelli è barone di Friddini (o Friddani) e Giurato della nostra Città e, nel 1556, è barone del feudo Scala (in territorio di Caltagirone). Nel 1587 Giuseppe I è barone di Friddini. 1594 Alberto è Giurato e nel 1582 Ferdinando acquista parte della contea di Modica dal conte Enriquez. Inoltre Ferdinando nel 1598 è barone del feudo di Pirrera (feudo presso Gela) e Marco Spinelli è barone di Scala e Giurato. 1609 I membri delle tre famiglie baronali degli Spinelli, assieme al chierico Andrea de Assaro dei baroni della Montagna della Gebbia, contribuiscono in maniera sostanziale alla raccolta di 3.000 scudi per iniziare i lavori di ampliamento, ripristino e ristrutturazione della Casa dei Padri Teatini nonché di abbellimento della loro chiesa intitolata a S. Lorenzo Martire. 1612 Francesco barone del feudo Scala è Giurato e qualche anno dopo diventa monaco Teatino col nome di Francesco  e nel 1641 preposito della Casa teatina piazzese. 1613 Matteo III è Giurato. 1621 Giacinto è barone di Scala e Pietro barone di Friddini. 1634 Giuseppe Spinelli è Padre Gesuita. 1656 Margherita Spinelli, suora nel monastero di S. Giovanni Evangelista, muore in odor di santità. 1666 Rosalia Spinelli, sposata con Pietro Calascibetta, è baronessa di Friddini, pochi anni dopo il marito deve vendere il feudo a Luigi Bonaccolti. Sempre nel 1666 Antonio Spinelli è barone del feudo di Scala e si trasferisce a Caltagirone, dove nel 1674 ricopre la carica di sergente maggiore del Tercio (fanteria dell'esercito spagnolo). 1680 Giuseppe II Spinelli è Giurato, stessa carica la ricopre nel 1684 Vincenzo Spinelli. La famiglia Spinelli, oltre ad avere il palazzo nel Piano Patrisanto (oggi Piazza Martiri d'Ungheria n. 24/25) diventa proprietaria del Castello Aragonese succedendo alla famiglia de Cardines di Laino.
¹ Come la nostra Città veniva anche chiamata nel Cinquecento.
Gaetano Masuzzo/www.cronarmerina.it
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Fundrò/Amare conclusioni

L'anno 1829 trovato su una parete del mulino meridionale¹
 
Conclusioni sul Casale di Fundrò

N.65 È il posto occupato dall'Abbate di Fundrò nel Braccio Ecclesiastico del Parlamento Siciliano;
"    7,5 Km è di distanza in linea d'aria del Casale di Fundrò dal centro abitato di Piazza;
"  15    Km è di distanza in linea d'aria del Casale di Fundrò da Enna;
"  12    Km è di distanza su strade moderne e asfaltate del Casale di Fundrò da Piazza;
"   4,7  Km è di distanza tra la fontana Fratulla  e il Casale di Fundrò;
"   6    Secoli sono passati da quando venne costruito il monastero nel Casale di Fundrò;
"   4    Secoli sono passati da quando i monaci Benedettini Cassinesi si sono trasferiti a Piazza;
"   3    Sono i mulini esistenti a ca. 1 Km a sud-ovest dall'abbazia*;
"   1    È il fiume (il Furma) che passa dall'abbazia e alimenta i tre mulini;

"   1  Anno e 5 mesi (17 maggio 2012) sono passati da quando la chiesa di San Rocco è stata riconosciuta Monumento Testimone di Pace inserita nell'elenco del programma UNESCO - Patrimoines pour une Culture de la Paix - con una targa posta a sx della porta principale scritta in quattro lingue, compresa l'araba².
 
Nonostante la consapevolezza odierna di ciò che ha rappresentato nei secoli questo sito, purtroppo non rimane che prendere atto del suo destino che sembra già segnato. Tra qualche anno, anche quello che è rimasto in piedi crollerà definitivamente, cancellandone una volta per tutte le tracce che si ridurranno solo in un ammasso di pietre. Peccato, perché se fosse stato recuperato qualche decennio fa sarebbe potuto essere tramandato almeno per un altro millennio. La posizione in una zona poco frequentata, non più di passaggio come una volta, ha fatto sì che questo Casale, di cui il rappresentante ecclesiastico occupava persino un posto prestigioso al Parlamento Siciliano, fosse completamente dimenticato e abbandonato. Al limite, ripeto, molto al limite, questo delitto, seppur a malincuore, si può anche accettare per un tesoro a tanti Km dalla nostra Città, ma per  tutti gli altri a pochi passi dalle nostre abitazioni e, quindi, sotto i nostri occhi ogni giorno? L'ex Magistrale, la chiesa di Sant'Anna, quella di S. Lorenzo (Teatini), il Castello Aragonese, il Palazzo Velardita, solo per fare qualche esempio. Tutto ciò è
INACCETTABILE e le future generazioni non ce lo perdoneranno.
 

¹ Indica, forse, la data dell'ultimo restauro.

² «Il motivo, che ha spinto a proporre la Chiesa di S. Rocco per il riconoscimento, è da ricercare nel lontano 1560, quando un grosso incendio rese inagibile l'edificio di contrada Fundrò. Allora i monaci trovarono rifugio nella nostra città e qui, fatto appello alla pietà e alla carità degli abitanti piazzesi, raccolsero le somme necessarie per la sua riscostruzione. A distanza di quattro secoli e mezzo vengono riconosciuti i valori di solidarietà e pietà cristiana dalla popolazione piazzese» (C. Parlascino, Il Casale di Fundrò, 2013).
cronarmerina.it
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Dalla conferenza su Fundrò/5

Chiesa di S. Rocco o di Fundrò
Lo stemma della famiglia Cagno-Villanova a dx della facciata (oggi Municipio)

Lo stemma dei Benedettini Cassinesi a sx della facciata (oggi Municipio)

5

Il trasferimento del monastero a Piazza

(dalla 4^ Parte) «Nel 1612 i monaci Benedettini Cassinesi dell'Abbazia di Fundrò, constatato che con la distruzione dell'abitato nel secolo scorso, le vie e le trazzere senza manutenzione erano diventate impraticabili e l'Abbazia di conseguenza era rimasta isolata e scomoda, quindi aperta a possibili attacchi do bande di malfattori, si accordano coi giurati di Enna per il suo trasferimento in quella città, in quanto avevano avuti promessi la chiesa di S. Sofia e i locali annessi. L'abate di allora Gennaro de Capuia chiese ed ottenne dal reverendo Bonaventura Secusio, vescovo di Catania... il trasferimento dell'abbazia in quella città. I piazzesi, che per due secoli avevano aiutato i monaci con offerte, contributio e donazioni, si sentirono traditi e si opposero al trasferimento, ricorrendo al tribunale di monarchia con tro la decisione del vescovo. Il de Capua, sorpreso e contrariato dall'intervento piazzese, rinunziò al trasferimento, lasciando insolouto il problema, che sarà risolto dall'abate Angelo da Fondi il quale, nel 1620, ottenne dai Giurati di Piazza la cessione della chiesa di S. Rocco e l'attigua vasta abitazione [n.d.r. nelle due foto in basso], un tempo di proprietà della famiglia Tirdera¹. Si scatenò la protesta di Enna che determinò l'intervento della Congregazione Cassinese, la quale inviò sul posto i Padri Visitatori [...] allo scopo di verificare l'opportunità del trasferimento [...]. I Padri Visitatori dopo aver osservato i locali messi a disposizione sia ad Enna che a Piazza, dopo aver sentito i pareri dell'abate e dei monaci, studiarono tutti i precedenti storici e alla dfine si pronunziarono per la sede di Piazza [...]. Il 18 aprile del 1622 i Padri Benedettini entrarono nella nostra città, portando in processione il miracoloso simulacro della vergine custodito nella chiesetta del loro casale. In ricordo di tale avvenimento fu stabilito che ogni anno l'ultima domenica di Aprile doveva celebrarsi una sontuosa festa, cosa che avvenne fino alla fine del XVIII secolo (C. Parlascino, Il Casale di Fundrò, 2013). (continua)
 
¹ Prima di questa famiglia, la proprietaria del palazzo, sede del monastero benedettino e poi del Municipio, era stata la famiglia Cagno-Villanova, il cui stemma ancora esiste scolpito sulla porta di dx del prospetto prospiciente la piazza. Sulla porta di sx, invece, c'è lo stemma dei Benedettini Cassinesi con la croce e la parola PAX ormai cancellati (i tre monti, rappresenterebbero per alcuni il Calvario, per altri il Montecassino tra due alture, oppure i tre voti monastici: povertà, obbedienza e castità). Nel luglio 2019, facendo altre ricerche, ho potuto appurare che nel 1631 furono aggiunti altri locali donati dal nobile Placido Villanova, figlio di Francesco Villanova e Silvia Calascibetta. Così si spiega che lo stemma nella foto centrale, che in un primo momento era stato affiancato erroneamente alla famiglia Cagno-Villanova, in realtà fosse quello della famiglia Calascibetta-Villanova.
cronarmerina.it
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