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Cronarmerina - Aprile 2025

Fontana Villa delle Meraviglie/n. 18

 
Questa è la prima di ben 9 fontane/fontanelle/vasche che si trovano nella Villa delle Meraviglie di Enzo Cammarata. La villa, appartenuta alla famiglia dei Trigona (c'è ancora un loro blasone) poi passò a quella dei Cammarata-Bonifacio e fu costruita, tra il 1700 e il 1800, con pietra calcare del luogo a mezzacosta sulla vallata del Casale. Infatti, si trova a 500 metri in linea d'aria, dall'ingresso della Villa Romana sito UNESCO. La Villa delle Meraviglie col "Museo E. Cammarata" annesso, si trova lungo la SP. 15 per Barrafranca, a 4,7 Km da Piazza, ed è esposta a mezzogiorno, immersa completamente in un territorio ricco di sorgenti, che le fanno arrivare acqua in abbondanza. Eccovi spiegato il motivo di tante fontane. La prima che s'incontra è quella nella foto. Sopra il mascherone da cui fuoriesce un rubinetto moderno in ottone, c'è scolpita la seguente dicitura:  
 
1658 
A M D
BLASIUSO
 
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Dalla conferenza su Fundrò/4

 
4
 
Dal periodo normanno sino alla fusione del monastero con un altro Priorato
 
(dalla 3^ Parte) «Con la conquista normanna della Sicilia, il centro abitato di Fundrò venne occupato da coloni lombardi, i quali vi costituirono una piccola univesità che ottenne privilegi e diritti pari a quelli goduti dai lombardi di Piazza e di Aisone. Detta univesità comprendeva un vasto territorio [...]. In questo periodo il centro abitato di Fundrò faceva parte di Piazza ma, quando nel 1161 la città venne distrutta, alcuni lombardi, sfuggiti alla persecuzione, si riffuggiarono a Fundrò, risparmiato dalla devastazione». Nei secoli successivi il casale di Fundrò subì le alterne vicende scaturite dalla lotta tra il partito latino e quello catalano, tanto da essere concesso nel 1340 in perpetuo alle vicine città demaniali di Piazza ed Enna. Da allora le due città si sono fregiate del titolo di barone di "Metà Fundrò" sino all'800. Sessant'anni dopo (1396) il casale di Fundrò insieme a quelli di Gatta, Polino e Rossomanno furono distrutti dalle reppressioni del duca Martino il Vecchio, perché si ostinavano a tenere alte le insegne dell'ndipendenza. Gli abitanti di Fundrò, insieme a quelli di Rossomanno, si trasferirono a Castrogiovanni dando origine rispettivamente ai due quartieri: Fundrisi e Pisciotto. «Dalla distruzione del municipio si salvò solo l'antica chiesa parrocchiale di S. Maria e, agli inizi del XV secolo (1400), il benedettino Onofrio de Comito ripristinò il culto per soddisfare le richieste dei piazzesi, i quali avevano raccolto molte offerte. Il monaco benedettino aveva ricevuto l'autorizzazione dal Capitolo dei Monaci di S. Maria di Giosafat di Paternò e dal benedettino Tommaso de Asmari, vicario della Diocesi di Catania [...]. Alla morte del de Comito la chiesa rimase abbandonata ma nel 1418 il benedettino Guglielmo Crescimanno restaurò la chiesa di S. Maria di Fundrò, costruendovi anche un cenobio del quale fu il primo Priore e venne posto alle dipendenze dirette dell'Abate di S. Martino alle Scale di Palermo». Sotto il governo di Pietro de Genco (1466-1489) nominato Abate a Vita, il Priorato venne alzato ad Abbazia e nel 1486 entrò a far parte della Congregazione Sicula insieme ad altre 6 della Sicilia, divenendo di Regia Prelatura, col conseguente diritto dell'Abate a occupare il 65° posto, su 66, nel Braccio Ecclesiatico del Parlamento Siciliano¹. Nel 1506 l'Abbazia di Fundrò confluì nella Congregazione Cassinese ma cinquant'anni dopo, nel 1560, un grosso incendio rese inagibile il monastero. I monaci trovarono rifugio a Piazza dove iniziarono la raccolta di fondi per la sua ricostruzione. Nel 1574 il monastero si fonde col Priorato benedettino di S. Spirito di contrada Budonetto (a poca distanza da San Cono) (C. Parlascino, Il Casale di Fundrò, 2013). (continua)
 
¹ Nel Braccio Ecclesiastico c'era anche il Priore di Sant'Andrea che occupava il 36° posto. Nel Braccio Demaniale delle Città Piazza occupava il 23° posto su 43.
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Fontana c.da Saldano/n. 17

La fontana in c/da Saldano in pessime condizioni
La vasca sotto la fontana a forma di conchiglia
Questa fontana si trova in contrada Saldano (in dialetto Saudànu) a Sud di Piazza che prende nome dal monte indicato sulle cartine alto 727 metri s.l.m. E' in pessime condizioni, tutta divelta, come potete ben vedere dalle foto e sembra proprio che abbia subìto un recente bombardamento. L'acqua che sgorgava ormai è un ricordo, ma doveva essere abbondante perché accanto ci sono delle vasche per contenerne il più possibile per irrigare i giardini d n'zzòli (nocciole) della vallata sottostante, sempre verso Sud, verso Vallone di Sarro e, quindi, Mirabella Imbaccari. A poche decine di metri c'è il grande palazzo del quale la fontana faceva parte. E' anch'esso abbandonato e mi hanno suggerito che fosse di proprietà, forse, della famiglia Trigona. Si nota subito che quando era abitato e in piena attività, doveva ospitare per pochi mesi all'anno, se non tutto l'anno, i proprietari facoltosi e le tante persone addette ai lavori. Si scorgono dai ruderi grandi stalle per gli animali e per gli attrezzi necessari per la coltivazione dell'estesa campagna circostante. Rimangono in piedi le mura perimetrali con due grandi balconi con le balaustre in ferro a "pancia" che ricordano quelli del palazzo di piazza Duomo, ma non ho riscontrato alcuno stemma, nè anni scolpiti. Un balcone si trova a sx di un grande arco a sesto acuto cieco (chiuso e murato successivamente) e sopra il portone dell'ingresso principale a Nord, l'altro nella parte rivolta verso Ovest. Questo è un altro esempio, qualora ce ne fosse bisogno, del degrado e dello stato di abbandono delle nostre campagne e relative costruzioni. Campagne dove si preferisce costruire ex novo case, ville e villini di dubbio gusto, abbandonando interi caseggiati ed enormi edifici antichi che in altre regioni sarebbero luoghi abitati e sfruttati per accogliere turisti e tutto quello che loro cercano pagando profumatamente. Come si dice... ah ecco: dè i b'scòtti a cu nan hav i dènti! (dare i biscotti a chi non ha i denti!). cronarmerina.it
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Beato frat'Innocenzo Milazzo/10 e ultimo

   
  Finestra del Convento di S. Maria di Gesù con l'anno 1760 scolpito sulla trave  
La freccia indica la finestra della parte più recente del Convento con la trave scolpita

Vita del frate francescano Beato Innocenzo Milazzo

10° e ultimo Capitolo¹
(Piazza, ultimi anni del 1500)
 
(dal Cap. 9°) Giuseppa Boccaccia, avendo perduta la vista d'un'occhio, andò a raccomandarsi all'orazioni di quel Servo di Dio, mentre era vivo, ed egli le disse, figlia presto perderai la vista dell'altro, come le avvenne, che restò affatto cieca per lo spazio di due anni. Sentendo poi costei, che era morto, e faceva molti miracoli, fecesi condurre al suo corpo, e baciandolo, le tornò la vista in maniera, che vedeva per camminare da se. Le fu da Frati data una pelle usata dal defonto Padre, quale essa Giuseppa si pose al Capezzale, e la mattina si levò colla vista più chiara, colla quale visse altri nove anni, e dopo morì. Tomaso Antichi della Città di Piazza per due mesi, e mezzo molestato dalla quartana andò a baciar il corpo del Servo di Dio, e rstò libero dal male. Nell'istessa Città Don Giuseppe Botto avendo una Sorella per nome Antonia d'età di tre anni col capo tutto impiagato, e per un'anno intiero applicatile molti medicamenti, nulla le giovarono; portata sopra la sepoltura di questo Padre ricuperò la sanità. Nell'istessa Città Don Gabriello Villanova² essendo putto fu sorpreso dal mal caduco, e per otto mesi continui ogni giorno due volte l'affliggeva storcendolo tutto. Il Padre, e la Madre sentendo i miracoli di Frat'Innocenzo procurarono alcuni capelli, ed un pezzetto della sua tonica, e postili sopra il figliuolo infermo, subito restò libero dal male, onde sua Madre soleva dire certi Pater noster, ed Ave Maria al Servo di Dio. Francesca Lagnosa della medesima Città, avendo avuta un'infermità nel capo due anni, nè giovatole medicamento veruno, stava in rischio d'impazzire; postasi nel capo una baretta di lana di Frat'Innocenzo, restò subito sana: l'istessa donna ne' suoi parti pativa gravissimi dolori con pericolo della vita, ma ponendosi poi sopra la detta barretta subito partorì senza dolore, e pericolo, ed attestò, che molte donne nel parto, ed altri infermi di diverse infermità hanno ricevuto grazie per mezzo della medesima barretta. Tutto ciò si riferisce nella Cronica della Riforma di Sicilia parte I.
 
¹ Sul Leggendario Francescano la vita del Servo di Dio (quando era in vita) e Beato (dopo la morte) Frat'Innocenzo occupa ben 7 pagine, dalla 359 alla 365 del Tomo Undecimo.
² Villanova è una famiglia piazzese originaria dalla Catalogna (Spagna) presente nel nostro territorio già nel 1288. Alla fine del 1500 Francesco Villanova è Giurato ed è tra i nobili che ottengono l'erezione della Casa Professa dei Gesuiti nella nostra Città.
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Famiglia Sortino

Bandato d'argento e di rosso. Sul capo una rosa rossa su campo d'argento, caricata di banda d'oro.
Stemma della famiglia romana Orsini con l'anguilla sotto la rosa rossa
 
Antica e nobile famiglia di Noto derivante dalla nobilissima casa Orsino romana. AI primi a stabilirsi a Noto sono i fratelli Ramondo e Guglielmo Sortino figli di Maynitto Giulio Sortino e Alberica Spatafora. I due si sposano con due dame della famiglia Landolina. A Platia è presente nel 1562 con Ippolita Sortino dei baroni di Bimisca (oggi Pachino) e Bellùdia (feudi a Sud di Noto) vedova Zarbari. La baronessa si sposa col piazzese Giovanni Francesco Starrabba conte di Naso e barone di Spedalotto e Gatta. Dal loro matrimonio nascono sette figli e la baronessa Ippolita, nata nel 1545, fa costruire il palazzo di campagna in contrada Palermi. Muore nel 1573, circa vent'anni prima del marito sepolto nella cappella gentilizia degli Starrabba nella chiesa di S. Stefano. 1686 Padre Giovan Battista Sortino è Preposito (superiore) della Casa dei Teatini di Platia. 1728 Saverio Maria Sortino è Padre Gesuita docente nel Collegio di Platia. Per quanto riguarda lo stemma della famiglia esiste un'altra variante con un'anguilla lungo la banda d'oro. Lo stemma di questa nobile casa (foto in alto) si rifà perfettamente a quello della casa romana degli Orsini: bandato d'argento e di rosso, al capo del primo caricato d'una rosa di rosso, sostenuto d'una tangla cucita d'oro, caricata d'una anguilla serpeggiante in fascia di verde (foto in basso).   
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Dalla conferenza su Fundrò/3

 
3
 
 La torre-campanile
 
(dalla 2^ Parte) Il complesso di Fundrò ingloba una torre medievale di forma quasi quadrata (lato di m.5, spessore del muro m.1) che si erge addossata al muro di recinzione dell'abbazia, quasi all'angolo. E' probabile che inizialmente la torre sia stata usata per effettuare segnali notturni e diurni¹. Infatti abbiamo una testimonianza del 1255 quando Pietro Ruffo, nel tentativo di crearsi una signoria personale tra la Sicilia e la Calabria, tesse trame contro Manfredi. Egli, essendo partito da Castrogiovanni, pernotta a Fundrò; di là invia uomini ad Aidone perché, ad indicium luminis², segnalino il consenso di poter muovere da Fundrò. L'uso di questo tipo di comunicazione a vista non è una novità, ma la notizia è preziosa per la verifica distanziometrica tra le località menzionate che è possibile fissare intorno ai dieci chilometri. Infatti la tratta tra Fundrò (a sud di Pergusa) ed Aidone corrisponde a tale distanza. Successivamente la torre viene trasformata in campanile quando il benedettino piazzese Guglielmo Crescimanno nel 1418 restaura la chiesa e fa costruire un cenobio del quale è il primo priore. Sul lato nord-ovest, c'è una scalinata costruita in un secondo momento con blocchetti, calce e rinzeppature di frammeti di tegole. Sul lato nord-est si conserva una finestra stretta e lunga, poi tamponata inserendo prese d'aria a doppia tegola sovrapposte. Attualmente la torre si presenta quasi completa, senza copertura e con piccoli crolli in vari punti (cf. C. Parlascino, Il Casale di Fundrò, 2013). (continua)
 
¹ Chiamati anche "fani".
² Con luci d'indicazione.
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Dalla conferenza su Fundrò/2

La chiesa di S. Maria di Fundrò¹
 
2
 
 La chiesa e il refettorio dei monaci benedettini

(dalla 1^ Parte) «Dal punto di vista archeologico, il complesso di Fundrò è ancora visibile, ben definito e conserva resti evidenti delle diverse apoche. Il gruppo Studio del territorio² ha tentato di ricostruire la pianta del piano terra di tutto l'edificio con evidenti difficoltà dovute ai numerosi crolli, soprattutto nella parte nord-orientale. In futuro studi più approfonditi e scavi archeologici potrebbero definirla in maniera più esatta. La pianta del piano superiore non è stata realizzata a causa dei numerosi crolli e per l'inacessibilità degli ambienti rimasti. Dalla pianta possiamo solo dire che, a parte i vari ambienti adibiti a celle per i monaci, si riconosce la chiesa (nella foto) e un grande ambiente a due navate separate da pilastri con coronamento. Questo ambiente, realizzato nel XVI secolo, forse dopo l'incendio del 1560, probabilmente i monaci lo usavano come refettorio. Gli ampi spazi che si estendono all'esterno è probabile che venissero utilizzati sia come giardini/orti sia come ricoveri per animali domestici» (C. Parlascino, Il Casale di Fundrò, Ed. G.A.L.V., Tip. Del Casale, P. Armerina, 2013) (continua)

¹ Questa era la chiesa dove in fondo, nella nicchia centrale, era messa la statua della Madonna del Bosco che si ritiene sia di un Gagini, forse Domenico (1420 ca. - 1492) o Antonello (1478-1536), e che ora si trova sull'altare maggiore della chiesa di S. Rocco della nostra Città.
² Facenti parte del gruppo Studio del Territorio: il compianto Enzo La Vaccara, Carolina Capizzi, Salvatore Sinagra, Enzo Cianciolo, Paolo Minacapilli e Gaetano Masuzzo.
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Beato frat'Innocenzo Milazzo/9

Sigillo francescano su pilastro di finestra del Convento di S. Maria di Gesù 
 
Vita del Beato frat'Innocenzo Milazzo
 
Capitolo 9°
(Convento di Santa Maria di Gesù di Piazza, novembre 1595)
 
(dal Cap. 8°) A venticinque del sudetto Mese (n.d.r. Novembre) giorno di Santa Caterina Vergine, e Martire sua singolarissima Avvocata si confessò per comunicarsi, ne volle gli fosse portato il Sagramento in cella, ma si fece egli portar nel Coro dietro l'Altare maggiore, dove disteso in terra con abondevolissime lagrime, e grandissima divozione ricevè il Santissimo Viatico, e rendute la grazie fu riportato in cella. Il giorno seguente ventisei dell'istesso dimandò l'estrema Unzione, essendo con tutti i sentimenti, e con perfetto discorso; portatogli l'oglio Santo fece un sermone a Frati pigliando per tema quella sentenza, Omnes moriemini quia in Adam peccavistis, e fu di tanta eloquenza, divozione, e fervore, che commosse tutti ad un gran pianto. Poi dimandò perdono a Frati con grandissima umiltà, se in alcuna cosa offesi gli avesse, ricevè l'estrema Onzione, e preso il Crocifisso l'abbracciò strettamente, premendosi la fronte colla Corona di spine di quello, facendo divoti colloquj con Cristo, e braciando la Croce stette fin' alle ventitre ore con tutti i sentimenti, quando con estrema divozione diede l'anima al Redentore a ventisei di Novembre del 1595. Non volle il Guardiano si suonasse allora la campana a morto, acciò le Genti non gli disturbassero, ma finito il Mattutino. Saputosi dal popolo la stessa notte cominciarono nobili, e plebei a concorrer al Convento, e la mattina per ovviar alla confusione fu d'uopo, che due Gentiluomini Marco Trigona¹, e Francesco d'Assaro² stassero colle spade nude nelle mani, acciò il popolo, al corpo posto dentro i cancelli, entrasse per una porta, ed uscisse dall'altra, durante ciò dalla mattina fin'alla notte seguente, ognuno passando potè baciarli le mani. Si divisero l'abito, ed altre sue coselle come Reliquie. Il suo corpo si mantenne bello, e trattabile come fosse vivo, inducendo a divozione, e compunzione chi lo mirava; la sera fu sepellito dalla parte dell'Evangelo dell'Altare maggiore. Ma al presente le sue ossa sono in una cassetta posta nel muro dell'istesso luogo. Non lasciò il Signore d'onorare questo Servo con miracoli dopo morto, de' quali alcuni sono i seguenti. (continua)
 
¹ E' il barone Marco Trigona che alla sua morte nel 1598 lascerà gran parte dei suoi averi per la costruzione della nuova Chiesa Madre di Piazza poi Cattedrale a partire dal 1605 sino al 1875.
² Non si tratta di Giovanni Francesco d'Assaro medico e matematico, padre di Laura e quindi suocero di Marco Trigona, perché morto due anni prima nel 1593, bensì di Francesco d'Assaro, uno dei due fidecommissari che nel 1600 stipulano il contratto col maestro marmoraro R. Li Rapi per la realizzazione del monumento a Marco Trigona e che nel 1611 risulta ancora percettore della Città.
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Beato frat'Innocenzo Milazzo/8

Particolare dell'affresco distrutto sotto il portico della Chiesa di S. Maria di Gesù
 
Vita del Beato frat'Innocenzo Milazzo
 
Capitolo 8°
(Aidone, Piazza, Catania, Giuliana, Grotte)
 
(dal Cap. 7°) Nella Terra di Daidone¹ avendo Biagio Barone sua moglie inferma, e diffidata da Medici, andò a Piazza per pregar il Padre Frat'Innocenzo, acciò andasse a visitare l'infermo per allora, il Guardiano non volle, che vi andasse, bensì gli disse il Servo di Dio, che se ne tornasse allegramente, perche trovarebbe sua moglie fuor di pericolo. Si partì Biagio, e trovò la moglie migliorata nell'istessa ora, che Frat'Innocenzo detto gl'aveva l'accennate parole. Nella Città di Piazza Suor Dorotea Basili per quindeci anni continuì patì certi dolori intensi, che la tennero attrata nel letto senza potersi muovere; essenso ancora vivente questo Servo di Dio, procurò aver il suo bastoncello, e presolo con divozione restò libera da dolori, e sana del tutto. Essendo Confessore di Monache in Catania, occorse, che Fabiano Rosa teneva infermi di febbre gravissima due suoi figli, uno chiamato Francesco, l'altro Agostino, e gli raccomandò all'orazioni di diversi Religiosi: inteso che in Santa Chiara vi era un Santo Confessore, qual era il Padre Frat'Innocenzo, andò a raccomandargli anco a lui con abondevoli lagrime, e promise andarli a visitar in casa. Arrivato al letto d'Agostino gli disse, meglio sarebbe per te, che morissi, ma non morirai, ed a Francesco disse, tu stai bene, non aver paura, e dicendo l'orazione ad ambedue, subito guarirono: le parole dette ad Agostino s'intesero, quando fu veduto patire grandissimi travagli, cagionò la rovina di sua casa, e finalmente morì nella guerra. Nell'istesso tempo, e Città era nel sudetto Monistero una Monaca per nome Suor Arcangela Pastore inferma d'un braccio per molto tempo, toccato il bastone di questo buon Padre, subito fu sana. Essendo Guardiano nel Convento di Giuliana, ed avendo bisogno di due Bovi per portare certo legname, gli dimandò imprestito a Matteo Sagio suo divoto, il quale gli rispose, che volentieri gli avrebbe fatta la carità, ma che uno de' suoi Bovi si trovava infermo in un piede in modo, che lasciato l'aveva in campagna, e credeva che per la gravezza del male fosse già a terra. Il Servo di Dio gli replicò, mandatelo a pigliare, che il Bue è sano; vi mandò colui, e fu trovato miracolosamente guarito. Andato una volta nella Terra delle Grotte², dimandò per limosina a Suor Vittoria Cerasaro Terziaria Francescana un fiasco di vino per li Frati, e benedisse la botte, gli diede colei il vino, e di quella botte bevettero tutto l'anno; passato l'anno i padroni la trovarono miracolosamente piena. Trovandosi finalmente di stanza nel Convento di Santa Maria di Giesù di Piazza aggravato dalle sue infermità, non lasciava i suoi soliti esercizi spirituali; abitava una cella vicino la Chiesa, alla quale poteva guardare per la finestra di essa, onde gli era cella, ed oratorio, potendo da quella adorar il Santissimo Sagramento, ed ascoltare la Messa quando non poteva celebrare. Passata la metà di Novembre migliorò alquanto, e dimandò al Guardiano se in Convento vi era l'oglio Santo? rispostoli di nò, replicò, è bene tenerlo per quello che può succedere, datemi un compagno, che anderò io a pigliarlo nella Chiesa Matrice³, ed andatovi trovò Don Vincenzo Alfonsino Sagristano, il quale intesa la dimanda gli disse, che volete fare Padre dell'oglio Santo in Santa Maria, mentre gl'infermi si curano nel Convento di San Pietro: soggionse egli, quest'oglio ha da servire per me da quì ad otto giorni, onde quello glielo diede; ritornatosene con esso al Convento se gli aggravarono i dolori in maniera, che non si puotè più muovere da letto. (continua)
 
¹ E' l'odierno comune di Aidone a pochi Km da Piazza.
² E' l'odierno Comune di Grotte (Ag). Nel 1634 il piazzese Sanfilippo Desiderio, sposando Olimpia de Gaffori, potè riscattare dagli Inguardiola il feudo di Grotte, divenendone Duca nel 1648. E' seppellito nella seconda cappella di sx della chiesa di S. Pietro.
³ E' il nostro Duomo nonché la nostra Cattedrale.
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Dalla conferenza su Fundrò/1

 
Da sx: Ugo Adamo, Concetto Parlascino e Sebastiano Arena
Ricostruzione dell'abbazia prima dell'abbandono, C. Parlascino 2013

1

(Il borgo di Fundrò) Domenica scorsa, presso la chiesa di Sant'Anna Vecchia, la conferenza (foto in alto) del prof. Concetto Parlascino su Il Casale di Fundrò ha "messo finalmente un punto (sia pur provvisorio)" sulla storia di questo borgo che si trova quasi a metà della vecchia strada che collegava anticamente i due grandi centri di Placie e Castrum Joannis. Dalla conferenza sono scaturite nuove e interessanti notizie che riporto qui sotto e nei post dei prossimi giorni. 

 NOTIZIE STORICHE
 
«Il casale o villaggio di Cundrò (o Fundrò), in alcuni testi identificato anche come castello di Fundrò¹, era posto sulle alture tra Enna e Piazza Armerina, in una zona oggi occupata dai boschi del demanio dell'Azienda Regionale delle Foreste. Il casale potrebbe essere nato per l'aggregazione, a scopo difensivo, di alcuni abitati rurali della zona circostante (contrada Fundrò, Balatella, Acqua dei Conti), dove la frequentazione è chiaramente testimoniata dai resti che risalgono, comunque, sino all'età imperiale romana. Le prime nortizie storiche del casale risalgono all'età bizantina, quando la Sicilia venne interessata da un gran flusso migratorio che portò all'ingrandimento dei centri preesitenti e all'origine, quasi certamente, di Condrò (o Fundrò) ed Agata (o Gatta)², due grossi casali dell'alta valle del Braemi e della valle del Tempio. Ebbe inizio così una nuova grecità che si conserverà nei secoli successivi fino alla dominazione araba³. Infatti nel periodo normanno la popolazione di lingua greca, esitente nel nostro territorio, era di modesta entità e di scarsissimo peso politico per cui i nuovi dominatori poterono affermare la loro cultura latina. Piccoli gruppi di popolazione di origine greca abitavano i casali di Fundrò (o Condrò o Condrono), di Agata, di Sophiana e, probabilmente, la zona intorno alla chiesa del Patrisanto (oggi detta dei Teatini)» (Carmelo Parlascino, Il Casale di Fundrò, Ed. G.A.L.V., Tip. Del Casale, Piazza Armerina 2013). (continua)
 
¹ Oltre a queste denominazioni ne ho riscontrate altre 5: Codrò, Kundrò, Fundarò, Chundioni e Chundroni. In provincia di Messina esiste il Comune di Condrò di ca. 500 abitanti. Dalla sua storia si apprende che il toponimo sembra trarre origine dal greco Chondros (granello o cartilagine).
² Ex casale dove esisteva, intorno al 550 d.C. la chiesa di Sant'Agata e successivamente anche una Torre, poi il nome venne trasformato volgarmente in Gatta (nei pressi dell'odierna Mirabella Imbaccari).
³ Dall'827 al 1091 anno della caduta di Noto, ultima roccaforte saracena.    
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