Padre Carmelo Capizzi S.J./2 In evidenza
Villa San Cataldo di Bagheria, sede del Seminario dei Gesuiti in Sicilia dal 1905
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Chi scrive, dando i primi segni di una futura vocazione storica, seguiva con passione tutto ciò e lo beveva a larghi sorsi, senza nessuna possibilità di analisi critica; identificandosi con l'Italia e quella che egli credeva la sua storia, partecipava con ingenuo entusiasmo e fierezza a tutti i successi veri o presunti della Patria in pace o "in armi" e dei suoi alleati d'Oltralpe e d'Oltreoceano. Perciò i disastri militari subìti dall'Asse e dal Giappone per terra e per mare cominciando dall'autunno del 1942, i bombardamenti a tappeto dell'aviazione anglo-americana, come l'asprezza cruenta della nostra guerra partigiana che fin dall'8 settembre 1943 scatenava le reazioni spesso assurde e durissime dei nazi-fascisti, e la situazione politica incerta e confusa che ne seguì, lo gettarono in una delusione angosciosa, in un pessimismo permanente, in una specie di crisi storica interiore e segreta, che hanno segnato gran parte della sua adolescenza e vari anni della sua prima gioventù. Non gli fu facile risalire il baratro di questa catastrofe psicologico-culturale, riflesso del baratro in cui vide precipitare l'Italia e gran parte dell'Europa devastate e lacerate dalla guerra, per tacere del Giappone, prima vittima della bomba atomica. Questo avveniva soprattutto quando frequentava la scuola elementare e la prima media a Piazza Armerina nelle scuole pubbliche; la seconda e terza media nel Seminario vescovile della stessa Città (1942-1944), dove era entrato col proposito, divenuto sempre più chiaro e deciso, di farsi prete. Spinto da un ideale di vita missionaria rafforzato da una forte tendenza a... conquiste eroiche o comunque avventurose, giunto a quindici anni d'età, volli abbandonare il Seminario diocesano e l'idea di essere sacerdote in Italia; così, superate varie difficoltà e la resistenza accanita dei miei genitori, potei entrare nel noviziato dei Gesuiti di Sicilia, che allora era a Bagheria (Palermo). Vi giunsi la sera del 10 ottobre 1944 dopo molte ore di viaggio in treno rabberciato alla buona che, da Caltanissetta in poi, arrancò tra stazioni semidiroccate, file di vagoni incendiati e arruginiti fermi sui binari morti, e, dulcis in fundo, con un carico in continuo aumento di viaggiatori allora tipici: i famosi "intrallazzisti", che dai piccoli paesi della Sicilia interna trasportavano sacchi di frumento, di farina e di legumi da smerciare a prezzi di mercato nero a Palermo. La guerra allora continuava nel centro-nord della nostra Penisola, mentre in Sicilia, come nel resto del Sud occupato dagli Alleati, la fame e la disoccupazione imperversavano più che mai. Proprio in questi mesi, non lontano da Palermo, il bandito Giuliano si era gettato - o forse fu costretto a gettarsi - nella sua avventura criminale e sanguinosa, finita tragicamente nel 1949, dopo aver fatto parlare tanto radio e giornali. Da coloro che stavano per divenire i miei Confratelli ebbi un'accoglienza che mi ripagò di tutte le lotte e fatiche che mi era costato quel viaggio da Piazza Armerina alla Villa di San Cataldo a Bagheria (n.d.r. nella foto). La Villa era stata acquistata dai gesuiti verso il 1905 e conservata in tutto il suo splendore di grande edificio elevato ai margini di uno splendido parco settecentesco, costituito da viali delimitanti triangoli, quadrati e losanghe lussureggianti di agrumi, palme, pergole di viti, e con quattro enormi pini all'inrocio dei due vialoni principali. L'intreccio dei loro rami giganteschi formava un'immensa cupola verde, molto comoda durante i solleoni estivi per le varie decine di Padri e Fratelli Coadiutori della Comunità, a cui si aggiungevano oltre cinquanta novizi e "carissimi" (= studenti liceali). (continua)
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