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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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A sciunna/2

Questo attrezzo nelle mani di giovani inesperti e alle prime "armi", poteva essere molto pericoloso soprattutto se nei primi lanci non si capiva cosa si doveva lasciare andare per prima, la parte tenuta dalla mano sx o quella tenuta dalla mano dx, e se non si capiva che non si doveva mirare verso il compagno vicino, neanche appafinta¹. Bisogna ricordare che, mentre per noi nati negli anni '50 l'attrezzo era prettamente ludico (tiro a bottiglie d' gazzùsa, lattine da salsa) o teppistico (tiro a lampadine, lampioni, finestre, animali domestici, scaramucce tra bande rivali), e per questo assolutamente proibito portarla a scuola, in parrocchia, per i giovani nati prima, il "sapiente" uso di quest'attrezzo, poteva aiutarli a integrare la scarsa alimentazione. Infatti, era molto usato nella caccia e palùmmi, che facilmente si trovavano sugli alti palazzi della via Cavour, alla Cattedrale, all'Ospedale, in piazza Castello. I carusàzzi cu a sciùnna, dopo essersi procurati dei pezzi di chiùmmu (ideali i pezzi di piombo per i pacchi postali) erano così spèrti che dopo due o tre lanci ne colpivano una che o se la portavano a casa mucciàta na p'tturìna per cucinarla, o se la vendevano per una lira a Santa Rusulìa. Alcuni, come il signore novantenne che ho conosciuto l'altro giorno, andavano a caccia anche in trasferta nei paesi vicini in bicicletta, specie ad Aidone, dove c'era poca concorrenza e perciò la "selvaggina" abbondava. Prima di concludere voglio accennare al detto, per la verità ancora in voga, che aveva attinenza con la parola SCIUNNA. Quando si voleva rimproverare qualcuno per l'imperizia, l'ingenuità, la facilità nello sbagliare, fallire o fraintendere, gli si diceva (e gli si dice): "Au, si pròpriu 'na sciùnna!", appunto perché 9 volte su 10 sbagliava bersaglio. cronarmerina.it

Famiglia Bonifacio

Campo d'oro con quattro pali di rosso e una banda d'argento attraversante il tutto
 
La famiglia Bonifacio (alias Bonifazio) è originaria di Messina dove il cavaliere Bonifacio è responsabile della custodia di re Ruggero I d'Altavilla. Poi si susseguono Ruggiero, Pierleone, Giovanni sino ad arrivare a Matteo, barone del Casale delli Graniti (Messina) e Giudice della Corte Straticotiale di Messina nel 1404, e al fratello di Matteo, Nicolò, Senatore a Messina. Dopodiché arriviamo al 1634 quando Cesare Bonifacio è Padre Gesuita docente nel Collegio di Piazza. Nel 1714 troviamo Antonino Bonifacio sacerdote che fugge da Piazza per obbedire al Papa nella Controversia Liparitana. Nel 1837/39 il dott. Vincenzo Bonifacio è milite della Guardia nazionale cittadina e nel 1860 è messo sotto sorveglianza dalla polizia borbonica. Nella sua casa il 6 aprile si tiene una riunione segreta del Comitato Rivoluzionario di Piazza di cui fa parte e che decide per la rivoluzione il 18 maggio 1860. Dal 1861 sino al 1865 è Sindaco della Città. Sino ai primi dell'Ottocento nell'odierna via Roma esisteva una casa privata chiamata "Hospitio vocato della Nunciata" di proprietà dei coniugi Innocenzo Bonifacio e Maria Cagno, forse oggi palazzo che fa angolo con la Discesa La Rosa. Nel 1950 il maestro elementare Antonino Bonifazio parla della chiesa piazzese di S. Francesco d'Assisi nella pubblicazione "Idea Nostra" e, per concludere, la via dove il dott. Vincenzo Bonifacio aveva la sua casa ha preso il suo nome, e in quella via, al n. 10, io nacqui nel 1953. Gaetano Masuzzo/www.cronarmerina.it

A sciunna/1

Se facessimo un sondaggio, tanto di moda in questo periodo, per sapere quanti ultracinquantenni hanno avuto tra le mani questo attrezzo, sicuramente toccheremmo percentuali altissime, oltre il 90%. Infatti, un altro attrezzo ludico di tanti decenni fa era la FIONDA o, come la chiamavamo noi, A SCIÚNNA. Si componeva di tre parti, tutte della stessa importanza. Prima di tutto A FURCÈDDA che era la parte in legno, se di pino meglio perché i rami più flessibili potevano essere piegati, dopo averli legati cu ferruf'latu e messi sul fuoco, tanto da fargli assumere la tipica forma a U, con il manico in basso a Y. La seconda parte era formata da due strisce di materiale elastico chiamati LEGACCI, nulla di più indicato di due fettucce di camera d'aria per bicicletta (quella per auto non era adatta perché più spessa e occorreva più forza per tenderla) da legare con estrema cura alle estremità della U. La terza parte era formata da un rettangolo di cuoio, di pochi centimentri di lato, con due fori dove si facevano passare i legàcci e che serviva a contenere il proiettile da lanciare dopo averli tirati indietro con forza, tipo tiro con l'arco.  Di solito questo cuoio si ricavava da vecchie scarpe o borse e borsette delle nostre madri. Anche se non faceva parte della sciùnna, un accessorio importantissimo erano "le munizioni" che si lanciavano. Dalla loro forma, peso e materiale dipendeva il risultato finale nel colpire il bersaglio che, 9 volte su 10, veniva mancato. Il proiettile più usato era quello a portata di mano, na p'trùzza meglio se 'n cutìcchiu d sciùm, molto più levigato e tondo.

► Domani la seconda parte.

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