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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Piazza Armerina, fine 800 inizio 900

Salvatore Cosentino nel suo libro, che lui chiama pamphlet¹, La Benzina Solida, Una scoperta sconvolgente da soffocare, E. Greco, CATANIA 1987, a pagina 13 parla di Piazza Armerina, città natale dello scienziato Gaetano Fuardo (1878-1962).

<<PIAZZA ARMERINA - Questa città dell'interno, nella zona orientale, fa parte della Sicilia "baba", cioè bonaria, rassegnata, contadina. Gli uomini qui nascono col destino segnato da un paesaggio idillico che sopravvive miracolosamente. Molti, però, si pentono di non esser nati nell'altra Sicilia, quella mafiosa e furba di occidente, dove si può toccare col dito il cielo del potere e della ricchezza, del sucesso politico e della prevalenza sugli altri. Le uniche piante, che non attecchiscono sulle colline di Piazza Armerina, sono l'industria ed il commercio. Vive qui uno strano genere di umanità che, per un sorriso di donna, per un caso pietoso o per la commozione di un vecchio, ti può maandare a gambe per aria un buon affare. Non parliamo del fascino del forestiero: ha il potere di disarmare l'iracondo, il diffidente o il furbo come per un prodigio. Il ministro di Giuliano l'Apostata, Claudio Mamertino, fu il primo a restare affascinato da questa gente, ad accorgersi della bellezza dei boschi piazzesi ("sono unici al mondo - diceva Piovene - per la gradazione e per la varietà del verde"). Infatti, proprio qui, costruì la famosa villa del Casale. I Normanni, affascinati dai più languidi occhi neri e dalle chiome corvine più fulgenti che la gente di Sicilia posa vantare, innestarono il seme inconfondibile della loro razza, dando la più felice caratterizzazione etnica degli opposti. Il loro spirito avventuroso, però, non allignò. Nemmeno le ulteriori sovrapposizioni di civiltà riuscirono a modificare nei piazzesi il carattere triste, l'indulgenza alla fantasia, l'amore pe le cose piccole che, trasformate con le proprie mani, assumono una dimensione immensa, la bonarietà che ha, come unica arma di difesa, la diffidenza. Deve esistere, nell'aria che si respira o nell'emanazione resinosa dei boschi, qualcosa che impone all'uomo un carattere marcato e talmente ben definito da non subire cambiamenti nel tempo. Qui la Sicilia conserva oggi una delle pochissime macchie verdi rimaste intatte fin dalla presitoria. La vita dei boschi, come quella degli uomini o del porcospino - animale ormai raro nella sopravvivenza - sembrano correre al rallentatore, come se si fosse trovato il sistema per lasciare intatto l'ambiente. Si trovano ancora a Piazza artigiani raffinati, come in nessun altro posto dell'isola; antiquari bonaccioni e smaliziati che ti regalano una tela dipinta, mal classificata, se gli paghi bene l'appariscente cornice; i venditori di asparagi selvatici e di erbe aromatiche ormai dimenticate nell'uso comune; uomini che ti sanno essere amici disinteressatamente. Piazza Armerina ha misere risorse economiche come tutti i centri agricoli dell'interno. Esporta, però, abbondante manovalanza al nord ed all'estero, cervelli brillanti, una gran massa di tesori scavati dai tombaroli nelle distese abitate un tempo dalle civiltà più disparate. Sopravvive miracolosamente a se stessa. E' triste, con la sua nebbiolina, anche all'alba>>. 

¹ A pag. 58 del volume pubblicato successivamente, Il Giallo della Benzina Solida, 2007.

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L'ing. Fuardo, grande scienziato sfortunato/2

Il brevetto della Benzina F. depositato in Francia nel 1954

dalla 1^ Parte

Parte 2^

Il Fuardo accetta e Hitler gli mette a disposizione ogni mezzo, ricompensandolo anche economicamente, tanto che l'ingegnere non fece mai mistero delle sue cassette nascoste in Germania contenenti grandi ricchezze. Finalmente nel 1944, tra grandi difficoltà del periodo bellico, la Benzina F. è presentata a Hitler, che intuisce subito le potenzialità che avrebbero portato alla vittoria finale la Germania. Ma lo spionaggio americano, avendo percepito il pericolo, ordinò il bombardamento della fabbrica a Duisburg nella Vestfalia, dove si stava producendo la Benzina F. Lo scienziato, scampato al bombardamento, riesce a fuggire e nel 1945, tra mille peripezie, raggiunge Mirabella Imbaccari, in Sicilia, dove viene ospitato da alcuni parenti. Dopo qualche giorno visita un cugino a Piazza Armerina, che dista pochi chilometri da Mirabella Imbaccari, ma si sente inseguito dai servizi segreti americani. Decide di stabilirsi nel suo fondo di contrada Aliano, tra Piazza e Mirabella. Le poche volte che raggiunge i due centri per le provviste, si manifesta scontroso anche con i parenti e comprende che nessuno gli crede e qualcuno persino lo deride. Il mattino dopo la visita di circa mezzora del console americano a Palermo nella sua casa di Aliano, dove gli mostra la trasformazione di un pezzo di "sughero", compresso con un aggeggio metallico, in benzina liquida infiammabile, fa perdere le sue tracce per poi ritrovarlo a Roma nel 1946 ma, ancora una volta deluso dal rifiuto della produzione della sua benzina da parte della FIAT per le troppe modifiche che avrebbero dovuto subire i motori, si sposta a Parigi dove s'incontra col ministro della difesa nazionale Renè Pleven (stretto collaboratore di De Gaulle) che lo prende in considerazione tanto da ordinargli una fornitura di benzina solida, coi relatvi apparecchi per la riliquefazione, dietro lauta retribuzione e mettendogli a disposizione l'occorrente. Presto si accumula in balle la Benzina F. che la Francia subito utilizza inviandola in aereo in Indocina, a Dien Bien Phu, dove tra il dicembre 1953 e il marzo 1954 c'è la guerra contro i vietnamiti e i francesi sono assediati senza alcun rifornimento e senza carburante. Il lancio dentro sacchi di iuta della benzina solida, consente ai francesi di resistere all'assedio per 57 giorni, esaltando ancora di più l'interesse a ottenere la formula da parte del governo francese per una produzione su scala industriale. Il Fuardo si mostra disposto a cedere la formula, a condizione che venga resa pubblica e che tutti gli stati del mondo possano fabbricarla abbattendo i costi di trasporto con petroliere. E' a questo punto che l'ingegnere rimane vittima di un incidente: spinto da uno sconosciuto viene derubato della borsa e lasciato a terra con diverse fratture agli arti. Il ministero francese coglie l'occasione per rompere la convenzione di fornitura dell'anno prima, la scusa è quella per non aver consegnato né il prodotto, né gli apparecchi per la riliquefazione in tempo utile. Ma questo ritardo non era da addebitare al Fuardo, bensì alle autorità di polizia che avevano impedito l'assunzione di nuova manodopera perchè il suo permesso di soggiorno, rilasciato dal Prefetto di Parigi, non consentiva l'assunzione di un solo operaio, impedendo in tal modo la produzione. Inizia così un'infinita e costosissima causa del Fuardo contro il Ministero della Difesa francese, e se ne torna a Roma. Scarseggiano sempre più le risorse economiche e la salute è malferma, ciò lo porta a sopravvivere di espedienti e nel 1959 si sistema presso una pensione gestita dalla signora Lucilla Di Giacomo in Feliziani, originaria de L'Aquila. E' questa signora romana che si prende cura dell'ultrasettantenne ingegnere che non se la sente più di tornare in Sicilia, limitandosi soltanto a scrivere delle lunghe lettere. Poco prima della sua morte, avvenuta il 29 ottobre 1962 presso l'Ospizio Dei Vecchi di San Carlo di Viterbo¹, fa testamento a beneficio della signora Lucilla e, sempre in questo ospedale, gli rubano la cassetta che teneva sotto il letto e che aveva raccomandato in modo particolare alle suore infermiere. Circa un anno dopo (dicembre 1963) giunge la notizia della vittoria della causa contro il governo francese che, per merito della Magistratura francese, è costretto a rimborsare agli eredi un miliardo di franchi. Questa soluzione portò a decine di cause tra "parenti" che spuntarono numerosi per l'accaparramento della somma. La salma dell'ingegnere invece tornò a Piazza, senza corteo e senza rumore per la tumulazione nella cappella dei parenti (?) Pappalardo, dove si trova tuttora nella cripta con la relativa lapide che spiega chi fosse, ma con la data di nascita errata². Per lungo tempo nessuno ha saputo a chi fosse andata la formula della benzina solida, mentre il Ministero della Difesa francese era a conoscenza sin dal 1954 che la formula di Fuardo fosse depositata presso l'Ufficio brevetti del Ministero dell'Industria e Commercio della Repubblica Francese al n. 1068141 Vol. 1-1954 intestato a Gaetano Fuardo tramite due procuratori (documento nella foto). Nonostante ciò non risulta che qualcuno abbia sfruttato in oltre 60 anni la formula che avrebbe dimezzato il prezzo della benzina, perché?

Tutti e due i post sono stati tratti dal primo libro di Salvatore COSENTINO, La Benzina Solida, Una scoperta sconvolgente da soffocare, Edizioni GRECO, CATANIA 1987, e dal secondo, Salvatore COSENTINO, Il giallo della Benzina Solida, BONFIRRARO Editore, BARRAFRANCA 2007, stampato venti anni dopo grazie a dei documenti, relativi agli anni Trenta, racchiusi in una valigetta consegnatagli a Milano nel 1990 da un cugino dell'inventore. Mentre la giornalista Veronica FERNANDES nel suo articolo Spy story, Gaetano Fuardo, l'inventore della benzina solida, RAINEWS, ROMA 27 aprile 2015, ci fa sapere che la pubblicazione del Cosentino avvenne a spese dell'autore, perché nessun editore era disposto a farlo e lui stesso durante le ricerche ha ricevuto minacce e telefonate anonime. E continua dicendo «il Cosentino ha la certezza che l'invenzione di Fuardo sia stata osteggiata e poi condannata all'oblio "perché contraria ai grandi interessi degli industriali del petrolio dato che taglierebbe i costi per i Paesi non produttori". Negli anni novanta ci sono state due interrogazioni parlamentari: il brevetto di Fuardo, depositato in Francia, poteva essere reclamato dall'Italia, cadute nel silenzio. Neanche la crisi energetica, i numerosi disastri ambientali e gli oleodotti bloccati sono riusciti a spingere Roma a sperimentare la formula di Fuardo». Per concludere, una mia amara considerazione da conterraneo: «Qui a Piazza si dice che "anche per friggere un uovo ci vuole fortuna". Posso ben dire che anche per ricevere un Premio Nobèl e quindi per passare alla storia, come avrebbe dovuto l'ingegnere Fuardo per la sua eccezionale e umanitaria invenzione, ci vuole fortuna che, purtroppo, è mancata all'ingegnere piazzese».

¹ Oggi Centro Geriatrico IPAB Giovanni XXIII di Viterbo.

² Sulla lapide si legge «Ing. GAETANO FUARDO, inventore della benzina solida usata dalla Francia nella guerra d'Indocina. n. 8/9/1878 - m. 29/10/1962».

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L'ing. Fuardo, grande scienziato sfortunato/1

L'ing. piazzese Gaetano Fuardo (1887¹-1962), con la benzina liquida in una bottiglia e nell'altra mano la stessa benzina allo stato solido/spugnoso

1^ Parte

Piazza ha avuto nei secoli moltissimi ecclesiastici, storici, letterati, poeti, pittori, scultori, alti ufficiali e politici di alto livello, ma pochi scienziati, solo tre riportati dallo storico L. Villari nella sua opera Storia della Città di Piazza Armerina, 1981. Uno di questi è vissuto nel XVIII secolo, il gesuita P. Filippo Arena (1708-1789) famoso nel mondo scientifico per l'opera di botanica La Natura, e Coltura de' Fiori e per aver indicato, per primo, gli insetti, quali vettori della "polvere fecondante" (polline) e studiato gli ibridi vegetali per la produzione di nuove varietà e nella degenerazione delle razze, mezzo secolo prima del naturalista ceco Gregor Mendel (1822-1884). Gli altri due scienziati sono vissuti a cavallo dei secoli XIX e XX. Uno è il colonnello Calogero Altabella (1896- ?) che ideò una tavoletta speditiva grafico-ottica per tiro contro gli aerei subito adottata da tutti i Reparti di Artiglieria Contraerea; il secondo è quello che io ho chiamato "il grande scienziato sfortunato", l'ingegnere Gaetano Fuardo. Gaetano Fuardo, figlio unico dello speziale/farmacista Ferdinando (n. nel 1843) e di Maria Grazia Turino, nasce a Piazza Armerina il 10 settembre 1887¹. Perde entrambi i genitori in giovane età e rischia di non potere continuare gli studi. Il provvidenziale lascito agli eredi maschi Fuardo meritevoli e volenterosi a proseguire gli studi di un suo vecchio zio², frate Ignazio Fuardo "morto in odor di santità", gli consente di proseguire gli studi liceali in un collegio dei Gesuiti di Realsedani (?). Dopo il liceo si trasferisce a Milano per frequentare il Politecnico, dove si laurea col massimo dei voti in ingegneria chimica. A Milano nel 1915 si sposa con una ragazza di nobile casato, Clelia Anna Gerli, da cui, però, non ha figli. Dopo pochi anni di matrimonio, resta vedovo e questo lutto lo porta a tagliare i rapporti con i parenti della moglie, sprofondando nella solitudune. Nei primi anni del Novecento gli sforzi della tecnica mirano a incrementare il mezzi di trasporto aereo e navale, sia a scopi civili che militari, tanto che nel Primo Conflitto Mondiale si useranno per la prima volta gli aeroplani e, assieme alle navi, i primi sottomarini. Per questo la benzina assume subito un ruolo importante, ma le cronache registrano sempre più incidenti causati dall'uso dei carburanti. Questo grave problema degli incendi, colpisce la sensibilità dell'ingegnere piazzese che inizia a lavorare sulla struttura degli idrocarburi e sull'infiammabilità del carburante utilizzando il laboratorio chimico del Politecnico. Non si sa dopo quanto tempo, ma riesce a trovare il metodo per modificare la formula della benzina e ricomporla a piacimento. La benzina può essere resa allo stato solido, spugnoso e friabile, quindi ininfiammabile e, col procedimento geniale di pressione fisica, ritrasformarla liquida per il rapido utilizzo senza modificarne le proprietà. La scoperta è portata a conoscenza di giornalisti, di amici, di industriali, sbalordendoli. Tutti iniziano a immaginare i risvolti e l'utilizzazione della scoperta: positivi per l'umanità (meno incidenti mortali, inquinamento, costo della benzina), negativi per le assicurazioni, i petrolieri, le compagnie navali. Questo avviene intorno al 1920, quando il Fuardo decide di emigrare in quella che è diventata la capitale della scienza e dell'arte, Parigi. A questo punto le sue tracce si fermano per ben 15 anni, quando la stampa francese nel 1935 annunzia la scoperta dello scienziato piazzese, dandone ampio risalto, soprattutto sulla rivista specializzata Aerophile: la scoperta è di dominio mondiale, il che fa accendere preoccupazioni in campo petrolifero. Ciò induce il Fuardo a essere più guardingo e riservato perché capisce che chi si interessa alla sua scoperta mira esclusivamente alla formula rivoluzionaria, escludendolo dagli immensi vantaggi etici ed economici. Quindi accetta la proposta di un tale (forse agente dei servizi segreti inglesi) di raggiungere Londra dove avrebbe incontrato chi avrebbe valutato seriamente le sue proposte. Lì trova una persona "molto vicina al primo ministro Churchill" che si prodiga a far conoscere l'invenzione della "Benzina F" (F. come Fuardo) a molti industriali inglesi, ma il dipartimento militare conta di ottenere il segreto di fabbricazione. La frequenza di questi ambienti suscita l'interesse dell'addetto all'ambasciata italiana, Bruno Brivolesi, che informa Roma del prestigio che il Fuardo ha negli ambienti governativi e petroliferi inglesi. In questo modo l'Italia si accorge dello scienziato italiano e dell'importanza bellica della sua Benzina F e viene invitato a rientare in patria per la sacra causa che l'Italia conduce. L'ingegnere siciliano, che preferisce non realizzare il progetto per non cedere la formula agli Inglesi, è tenuto d'occhio dall'Intelligence service che gli impedisce di lasciare il Regno Unito. Intanto Mussolini ordina di fare di tutto per condurre in Italia lo scienziato che in quel periodo risulta disperato e indigente. Infatti, due agenti segreti italiani l'avvicinano e lo convingono a fuggire prima in Olanda poi, attraverso la Danimarca, raggiunge la Germania e qui rimane, perché la sua presenza non sfugge al servizio segreto tedesco, che lo induce a rimanere assicurandolo che solo la grande e potente industria chimica della Germania avrebbe finalmente realizzato la sua scoperta. (tratto da Salvatore COSENTINO, Ed. GRECO, CATANIA 1987 e Salvatore COSENTINO, Ed. BONFIRRARO, BARRAFRANCA 2007)

¹ Per quanto riguarda il giorno e l'anno di nascita ho riscontrato errori sia nelle due pubblicazioni di Salvatore Cosentino, dove scrive "8 settembre 1878" a pag. 15 di ambedue; sia sulla tomba del Fuardo al cimitero della Bellia "8 settembre 1878", da dove il Cosentino l'avrà sicuramente appresa. Invece, dall'atto di nascita n. 649 del 1887 dell'Ufficio Anagrafe del Comune di Piazza Armerina, si registra che il 12 settembre 1887 nella Casa comunale è comparso Fuardo Ferdinando, di anni quarantaquattro, civile domiciliato in Piazza, il quale mi ha dichiarato che alle ore 11:30 del dì 10 del corrente mese, nella casa posta in via Sant'Anna, dalla Signora Turino Maria Grazia, sua moglie civile, seco lui convivente, è nato un bambino a cui dà il nome di Gaetano.

² Nell'Ottocento registriamo dal volume di L. Villari, Storia di Piazza..., 1981, che "a Piazza abitano altri componenti la famiglia Fuardo: nel 1816 Ignazio (n.d.r. forse il frate  benefattore) e Dr. Saverio sono Consulenti (Amministratori) Comunali; dal 1828 al 1842 Dr. Gaetano Fuardo (derivante da Fugardo) Ufficiale Medico; Gen.le Gaetano Fuardo, 1887 (anche qui ho constatato l'errore nell'anno di nascita che deve essere corretto in 1884)-1969, Medaglia d'Argento al Valor Militare nella I Guerra Mondiale. Inoltre, nel 1867 si registra l'Ente di Beneficienza "Eredità Ignazio Fuardo o Fugardo" tra quelli rimasti in attività".

(continua)

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Pezzetti di vita

Via Crispi, da via largo Demani

Via Crispi, da via Bonifacio

<<Più si accorcia il futuro, più si va a scavare nel proprio passato>>. L’ho sentito dire da qualcuno alla TV e l’ho fatto subito mio. Mi ci ritrovo in pieno, sia rispetto alla mia età anagrafica non più giovanissima, sia rispetto al mio desiderio di rivangare nei ricordi della mia vita passata al mio paese natio, Piazza Armerina.

MUZZ’CÖI D VỈTA
Ggh’era ‘na vòta a Ciàzza e ancöra ggh’èca
‘na stràta ciamàda vìa Grispi.
Ddöcch stàva d càsa a mi famìgghia
ch’ d cugnòm fas’gèa, e ancöra fa,
Tèrm’ni pa banna d mi pàtri,
mèntr a mi màtri ggh disg’èanu di Palèrmu.

Cöss d’purtè ‘nta stìssa famìgghia döi cugnòmi
d döi c’ttà da S’cìlia
avèa stàit ‘nsémpr mòdu e manéra
d sgh’gnètt da part di cr’stiài ch’ n’ canuscév’nu.
Pa v’rtà, ‘nta vìa Grispi èr’nu tanti i fàmigghi
ch’ avèanu u cugnòm d c’ttà
ompùru d Santi.

Facciafrönt da mi càsa ggh ab’tàv’nu i Bològna,
mùr d mènz cu jéddi,
ggh stàva mi parrìna Enza Abàte.
Döi porti apprèss a mi, ggh stèv’nu i Romàno,
ch’ ‘nsustànza era ‘n cugnòm
ch’ ciamàva n’mènt a c’ttà d Roma.
A p’nnìngh da vìa ggh’èr’nu pöi i Militèllo.

N’fàtt s’mpat’ch cap’tàva
quànn ‘nta stràta r’vàva u pustèr.
U p’richì? Öra vu cunt’...
Don P’ppìngh Gulìnu sècch nan era, a r’vèrsa.
A so fàcci bedda e tunniàda era sèmpr allègra;
d  ciù iéu era n’tìp sghèrzös
e par’va ch’u fasgèss a propòs’t
a smòv’ u sgh’gnètt di cr’stiài
ch’ s’ facciàv’nu o f’n’ströngh
ancorquànn u s’ntèv’nu r’vè.

Cèrt cu savöma ch’ ‘nte témpi d ‘na vòta
nan ggh’èr’nu campanèddi ‘nte purtöi di càsi,
dònca s’usàva tapuliè.
Ma o pustèr i mài ggh s’rviv’nu lib’ri:
una p’ ten’r u sacch da pòsta,
l’autra p’ cuns’gnèla.

Quànn don P’ppìngh Gulìnu r’vàva ‘nta vìa Grispi
u s’ntèvi banniè d’ ddundàngh.
A cantàda, paròdda ciù paròdda mènu,
era sèmpr a stìssa e disgèa accuscì:
<<Avà, stöi cum’nzànn u mi viaggètt p’ l’Itàlia!>>
‘N cèrti giurnàdi cap’tàva padaveru
ch’ i famìgghi ch’avöma prima num’nàit
r’zvéanu tutti n’fìla, una apprèss a l’autra,
‘na létt’ra ompùru ‘ncòch cartulìna.

Allöra era n’spàss scutè a l’tanìa
d ddi cugnòmi ch’u bràv don P’ppìngh culurèa a mòdu so.
Cum’nzàva cu cugnòm di Romàno e ggh iungèva
“c’ttatìngh da cap’tàl d l’Itàlia!”.
Apprèss banniàva u mi, Tèrmini,
e nan ggh’era vòta ch’ nan proseguìva cu
“Immerese!”.

Cap’tàva ch’ cèrti giurnàdi r’vàss posta
‘mpuru p’ mi ma’, ‘Ngiulìna Palèrmo.
Ddöch a vösg du pustèr s fasgèa sent ciù fòrt
e a giungiùa specìf’ca era
“capoluogo da S’cìlia!”.
S’ a r’zév posta èr’nu i Bològna,
don P’ppìngh ggh iung’va
“zzà sìmu n’ l’Emìlia Romàgna!”.

Prima d’annè anànzi ca störia di cugnòmi, v vòggh cuntè
‘st tèn’r r’gòrd  
fàtt tant curiös pi giörni nòstr.
Ad a prima banniàda du pustèr
‘na f’gùra f’m’nìna auta e v’stùa sèmpr d nér,
i cavégghi grìsgi ‘nturciniài ‘nto tùpp,
s facciàva davànzi a porta...
I mài ‘nf’lài ‘nte sacchetti du fadàu ‘mpùru jéu nér.
L’oggi attènti, ma ancöra d ciù l’àreggi
p’ scutè s’ ‘ncas’mai u pustèr banniàva u so cugnòm.

Stöi parrànn da ze Bobòna Abàte.
Jédda, pa vìa Grispi, era cuns’d’rà
“a trad’ziöngh du rusàri”.
Tutti, ma pròpiu tutti i séri, na ‘nv’rnàda,
a scurùa, appèna u campaniù da crèsgia d Santa Vèn’ra
cum’nzàva a sunè i r’ntòcchi du Vèspr,
ogn fömna d càsa ‘nciavàva a porta
p’annèss’n ‘nta ze Bobòna a rèc’té u rusàri.

A vòti, apprèss a mi màtri, ggh’annàva ‘mpuru jè.
Ddà, s’tàta ‘nta rànna cusgìna,
càuda di scarfaöri ch’ognedùna s purtàva d ‘n càsa so,
e tunniàda da ze P’nédda, ze Ciccìna,
ze Luciétta, ze Marìcchia,
m’ ‘ncantàva a talié i mài da ze Bobòna
ch “cumannàva” u rusàri
fasgènn scörr una appréss a l’autra
i désge posti da curöna.

Öra ch’ nan sign ciù carusétta
pozz capì a ‘mpurtànza e u valör sociàu
d cöddi ‘puntaménti serài
ch’ parténn du rusàri, f’nèanu
ch’ ognedùngh cuntàva i fàtti pròpi a l’autri.
Ma v’ vòggh cunf’ssè ch’ ggh’höi a ddàrma fàc’li,
p’ cöss è mèggh cu bannunöma
‘st tèn’r r’gòrd
e turnöma a rìd ca störia di cugnòmi.

P’ jédda, a ze Bobòna Abàte,
u strum’ntös d don P’ppìngh
scumàtt’èa ‘mpùru i santi e
o cugnòm “Abàte” ggh’avèa fait a giönta d
“Sant’Antonio Abàte”
pöi, p’ féla ciù s’mpat’ca, ggh giön’gèa
“comùni d Napoli!”.

U viaggétt du nòst pustèr sövra e giùsa p’ l’Itàlia
f’néa ddà sötta, unna stèv’nu d càsa i Militèllo.
‘Mpùru p’jèddi u s’mpat’ch don P’ppìngh
fasgèa scénn i santi do Paradìs.
Accuscì era a vòta d “Sant’Àgh’ta d Militèllo”
ca sòl’ta giönta “comùni d Catania!”.

Ggh’èr’nu pöi ‘nta vìa Grispi autri famìgghi
ma avéanu cugnòmi ch’u pustèr
nan ggh putéva fantast’chè sövra.
I Mercàto, i Raffaèli, i Rìzzo, i Cònti...
nan ggh’avéanu nènt a chi fé ca gìografia d don P’ppìngh!
Ma jédda, a ze Ciccìna Cònti,
nan s’n’ fasgèa nènt di létt’ri du pustèr
e mànch da giografìa…
Ggh bastàva èss a màtri du sìnn’ch d' tann.

Rosalba Termini, ottobre 2016

Traduzione dell'autrice

PEZZETTI DI VITA
C’era una volta a Piazza e ancora c’è
una strada chiamata via Crispi.
Lì abitava la mia famiglia
che di cognome faceva, e ancora fa,
Termini da parte di mio padre,
mentre a mia madre le dicevano dei Palermo.

Questo di avere nella stessa famiglia due cognomi
di due città della Sicilia
era stato sempre motivo
di risate da parte delle persone che ci conoscevano.
Per la verità, in via Crispi erano tante le famiglie
che avevano il cognome di città
oppure di Santi.

Di fronte la mia casa abitavano i Bologna,
vicino a loro stava mia madrina Enza Abate.
Due porte dopo di me, stavano i Romano,
che in sostanza era un cognome
che richiamava in mente la città di Roma.
In fondo alla via c’erano poi i Militello.

Un fatto simpatico capitava
quando nella strada arrivava il postino.
Il perché? Ora ve lo racconto...
Don Giuseppe Golino non era magro, al contrario!
La sua faccia bella e rotonda era sempre allegra;
inoltre era un tipo scherzoso
e sembrava lo facesse apposta
a provocare le risate delle persone
che si affacciavano al balcone
allorquando lo sentivano arrivare.

Certo lo sappiamo che ai tempi di una volta
non c’erano campanelli alle porte delle casa,
dunque si usava bussare.
Ma al postino le mani servivano libere:
una per portare il sacco della posta,
l’altra per consegnarla.

Quando don Giuseppe Golino arrivava in via Crispi
lo sentivi gridare da lontano.
La “cantilena”, parola più parola meno,
era sempre la stessa e diceva così:
<<Dai, sto cominciando il mio viaggetto per l’Italia!>>
In certe giornate capitava davvero
che le famiglie che abbiamo prima nominato
ricevessero tutte in fila, una dietro l’altra,
una lettera o una cartolina.

Allora era uno spasso ascoltare la litania
di quei cognomi che il bravo don Giuseppe
coloriva  a modo suo.
Cominciava col cognome di Romano e aggiungeva
“cittadino della capitale d’Italia!”
Dopo gridava il mio, Termini,
e non c’era volta che non proseguisse con
“Immerese!”.

Capitava che certe giornate arrivasse posta
pure per mia madre, Angela Palermo.
Lì, la voce del postino si faceva sentire più forte
e l’aggiunta particolare era
“capoluogo della Sicilia!”.
Se a ricevere posta erano i Bologna,
don Giuseppe aggiungeva
“Qua siamo in Emilia Romagna!”.

Prima di andare avanti con la storia dei cognomi, vi voglio raccontare
questo tenero ricordo
fatto tanto curioso per i giorni nostri.
Alla prima gridata del postino
una figura di donna alta e vestita sempre di nero,
i capelli grigi attorcigliati in uno chignon,
si affacciava davanti alla porta...
Le mani infilate nelle tasche del grembiule pur’esso nero.
Gli occhi attenti, ma ancora di più le orecchie
per sentire se caso mai il postino gridasse il suo cognome.

Sto parlando di zia Liboria Abate.
Lei, per la via Crispi, era considerata
“la tradizione del rosario”.
Tutte, ma proprio tutte le sere, in inverno,
al tramonto, appena il campanile della chiesa di Santa Veneranda
cominciava a suonare i rintocchi del Vespro,
ogni donna di casa chiudeva a chiave la porta
per andarsene da zia Liboria a recitare il rosario.

A volte, appresso mia madre, andavo anch’io.
Là, seduta nella grande cucina,
calda per via degli scaldini che ognuno si portava da casa sua,
e attorniata da zia Giuseppina, zia Francesca,
zia Lucia, zia Maria...
m’incantavo a guardare le mani di zia Libora
che “comandava” il rosario
facendo scorrere una dietro l’altra
le dieci poste della corona.

Ora che non sono più ragazzina
posso capire l’importanza e il valore sociale
di quegli appuntamenti serali
che, partendo dal rosario, finivano...
che ognuno raccontava i fatti propri agli altri.
Ma vi voglio confessare che ho la lacrima facile,
per questo è meglio che abbandoniamo
questo tenero ricordo
e torniamo a ridere con la storia dei cognomi.

Per lei, la zia Liboria Abate,
il fantasioso don Giuseppe
scomodava pure i santi e
al cognome “Abate” aveva fatto l’aggiunta di
“Sant’Antonio Abate”
poi, per farla più simpatica, ci aggiungeva
“comune di Napoli!”.

Il viaggetto del nostro postino su e giù per l’Italia
finiva laggiù, dove stavano di casa i Militello.
Pure per loro il simpatico don Giuseppe
faceva scendere i santi dal Paradiso.
Così era la volta di “Sant’Agata di Militello”
con la solita aggiunta “comune di Catania!”.

C’erano poi in via Crispi altre famiglie
ma avevano cognomi su cui il postino
non poteva fantasticare.
I Mercato, i Raffaeli, i Rizzo, i Conti...
non avevano niente a che fare con la geografia di don Giuseppe!
Ma lei, zia Francesca Conti,
non se ne faceva niente delle lettere del postino
e neanche della geografia...
Le bastava essere la madre del sindaco di allora.

cronarmerina.it




 

 

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