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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Famiglia Calascibetta

D'azzurro al leone d'oro tenente con la branca destra una spada d'argento al palo
 
La nobile e importante, soprattutto per la vita ecclesiastica, famiglia Calascibetta, a Piazza fa la prima apparizione nel 1362, con Giovanni Calascibetta capitano della Città. Nel 1500 Giovanni Andrea Calascibetta Landolina è barone della Scalisa e di Malocristianello e del Màrcato della Montagna, per aver sposato Panfilia Spinelli. Giovanni Andrea muore nel 1508 e la moglie Panfilia dona parte dei suoi feudi e 60 mila scudi per l'ampliamento della trecentesca Chiesa Madre di Santa Maria Maggiore, poi nel 1517 si fa monaca del monastero delle Benedettine di San Giovanni Evangelista. Nel 1520 Matteo è I barone di Cutomino, Geronimo è barone di Rafforusso e Francesco del Màrcato della Montagna. Nel 1560 ca. Margaretha è Francescana Terziaria e comparirà, nel giorno della sua morte 7 settembre, come Serva di Dio "Margherita da Piazza" sul volume "Leggendario Francescano" del 1721. Nel 1555 Francesco è giurato, 1573 Girolamo è barone di Rabugino. 1580 ca. Antonio è giurato e maestro notario del Sant'Uffizio. Nel 1598 Pietro, barone di Cutomino, è fidecommissario della Chiesa Madre, nel 1605 fonda il Ritiro di Donne  e, qualche anno dopo, la Congregazione di Santa Brigida, e, rimasto vedovo con sette figlie, ne avvia tre nel monastero di Sant'Agata e le altre quattro presso il Ritiro della Congregazione di Santa Brigida. Il barone nel 1615, fattosi sacerdote, entra nella Congregazione Francescana. Nel 1642 il Papa autorizzerà la mutazione del Ritiro in Monastero di Agostiniane di Sant'Anna. Nel 1622 il giurato Girolamo si interessa per il trasferimento a Platia dei Benedettini provenienti dal borgo di Fundrò. Nel 1639 Giuseppe è padre gesuita, 1642 Emanuele è il padre Teatino che scrive in spagnolo una "Vita di San Gaetano" e alla sua morte viene seppellito nella chiesa dei Teatini di Madrid dove fu preposito della Casa madrilena. 1646 Giuseppe è giurato, 1650 ca. Agostino è padre cappuccino, 1671 Antonino è preposito della Casa dei Teatini. Nel 1675 Matteo Calascibetta barone di Malpertuso e San Basilio, senza eredi, con atto testamentario, istituisce presso la chiesa di Santa Domenica, accanto a quella di San Martino, una Collegiata di canonici intitolata al SS. Crocifisso. Nel 1698 Cristoforo è benedettino nel convento di Benedettini di Santa Maria di Fundrò. 1707 Matteo è padre gesuita, 1757 Ignazio Maria è vicario generale del Vescovo di Catania. Di questa famiglia abbiamo diversi stemmi: 2 scolpiti su pietra, uno nel chiostro dei Gesuiti (oggi Biblioteca Comunale) tra i resti di quello che doveva essere un arco proveniente dalla chiesa abbattuta di Sant'Agata, e sopra ne abbiamo visto la relazione; l'altro, sull'arco d'ingresso a un cortile in via Cavour 9, sicuramente un'abitazione della famiglia. Inoltre, sempre tra i resti di cui sopra, c'è un grosso blocco di pietra col cognome della famiglia inciso molto chiaramente. Altri due stemmi li abbiamo, assieme a quello degli Starrabba, in un altorilievo e nel soffitto della chiesa di San Vincenzo Ferreri. Per finire, un altro lo abbiamo insieme a quello dei Trigona nel quadro di San Carlo Borromeo in Cattedrale e un altro assieme a quello dei Villanova nella facciata del Municipio.
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Pecunia non olet

Vi ricordate il mio post del 5 gennaio "Quando scappava..." dove parlavo dei "vespasiani" disseminati nella nostra Città. Ebbene dimenticavo di dirvi una notizia ripresa dal mensile "Focus STORIA". Vespasiano, imperatore di Roma tra il 69 e 79 d.C., è noto anche per aver imposto una tassa sull'urina raccolta dai privati. Questi ultimi, infatti, vi ricavavano l'ammoniaca che poi vendevano ai conciatori di pelli. Narra Svetonio che Tito, il figlio di Vespasiano, si lamentò col padre per la natura disgustosa della tassa lanciando alcune monete in uno degli urinatoi. L'Imperatore, dopo averle raccolte, le avrebbe annusate osservando che "pecunia non olet". La frase viene oggi usata per affermare che il valore del denaro non è intaccato dalle sue origini, quale che sia la sua provenienza più o meno lecita: politica docet.
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Terremoto e altri guai al Casale

Lavori alla Villa Romana anni '50


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nel 1169, quindi dopo sei anni dalla riedificazione di Placia sul nuovo sito del monte Mira, un violento terremoto colpisce Catania e Messina e numerose zone interne della Sicilia. E’ proprio in questo periodo che si riscontra il fenomeno di abbandono del vasto centro abitato medievale della Villa del Casale, in quel periodo presidio affidato ai Saraceni fedeli a Guglielmo il Malo (per questo chiamato anche "Casale saraceno"). Il degrado è dovuto innanzitutto dalla depressione demografica e poi dallo spopolamento delle campagne, a cui si aggiungono cause naturali come forti alluvioni e il terremoto del 4 febbraio di quell’anno. Inoltre, qualche decennio dopo, nel 1194, dopo le conquiste di Randazzo, Paternò, Palermo, Caltagirone, Aidone e di altre numerose città,  il borgo del Casale subirà la distruzione quasi definitiva da parte di Bonifazius, marchese del Monferrato, alla guida delle truppe di Enrico VI di Svevia.
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina 

1877 Carnevale del poeta Roccella

Peppe Nappa (maschera siciliana)

Ultimo giorno della festa, il poeta piazzese ci fa sapere come si vestivano per Carnevale i nostri antenati nel 1877

L’URT’M GIÖRN D’ CARR’VÈR

 
… E p’nzànu d’anneggh’ mascaràdi
v’stenn’s accuscì:
Brasi, Pul’c’nedda,
e s’ n’scì d’föra a cam’sgèdda,
ch’era nzunzàda
ddórda e caiàda
nû pataréu.
E non avenn nent p’ capèu,
s' fés mb'rr'ttìngh
 
cu döi pezzi d’ véggh’ mussulìngh.
E Mariu s’ v’stì Santiliporti¹
p’gghiànn nî mài
na cuffétta cui förmi e cui gammai;
S’ mës na caièlla²
cu i gömmi r’p’zzàdi
‘mpara d’ scarpi végghi
d’zzà e d’ ddà sfunnàdi.
E s’ mës ‘ncacciott senza fönn
ch’ davvèru parëa ‘mbava d’ cönn.³
‘Ntòni, ch’era ‘ngattà nfina nî zëgghi,
s’ fés caudarèr.
Vitu cu so mugghier
m’ntenn’s na rìsta* p’ cavégghi,
s’ v’stinu conzalèmmi.
E p’gghiann piatti rötti
p’gnatti, cannàti e nz’rötti,
m’nzalóri, muti e lemmi
p’sciaröi e taganétti,
n’incìnu a cöma quattr cavagnétti.
Dop, cû fum s' t'nz'nu i goti
striànn i mai nû cù d’ na p’gnatta,
e sautànn e tr’pànn, a quattr boti
s’ viànu nâ strata…
 
Remigio Roccella  - 1877 
(1819-1916)
 
¹ Cognome di un calzolaio, protagonista di un'altra poesia dell'autore;
² Giubba;
³ Uomo da nulla;
* Copricapo erbaceo intrecciato. 
Chi vuole può leggersi la mia traduzione.
 
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