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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Ineluttabilmente

In questi giorni passati, cavalcando l’onda del dispiacere per un lutto in famiglia, ho sentito forte il bisogno di scrivere sulla VITA e sulla MORTE. Non me ne so spiegare il motivo ma ora, a lavoro finito, mi sento improvvisamente più TRANQUILLA!

I DÖI S’GNÙRI
(A vìta e a mort)

‘Nta s’r’tìna d’sg’mbrina
senza st’ddi e senza ddùna
n’ ’n pàis senza nom
cap’tià ‘na còsa stràna.

Ranncchiàda sötta ‘n ponti
c’a v’stìna ddöngha e nèra
i cavégghi ‘nturciunìati
e l’oggi duluràti
‘na v’gghièttà s’n’ stava
parèva ch’sp’ttàva!

‘Nto s’lènziu da nuttàda
ch’r’vava a cavaddìna
s’ s’ntea d’dduntàngh
‘na vösgidda fìna fìna:

«Ma chi fai s’tàita ddöch
cu sa fàcci malandrìna?
U sai bengh ch’è brùt assài
s’pttè cu nan arr’va!

Nan ggh’hai péna e cumpassiöngh
p’ ‘n baròm ancöra ‘n vìta?
A scurzèggh’la ggh’hai témp,
scuta a mi, nan è f’nìta!»

A v’gghiètta p’ r’sposta
s’ vutà d l’aut scìanch, còm a dì:
«U söi ch’ fazz... ièu ha r’và ò cav’lìnia
pov’rom, è tröpp stànch!».

Rosalba Termini, Gennaio 2017

Traduzione (a cura di Gaetano Masuzzo) 

LE DUE SIGNORE
(La vita e la morte)

In una serata di dicembre
senza stelle e senza luna
in un paese senza nome
capitò una cosa strana.

Rannicchiata sotto un ponte
col vestito lungo e nero
i capelli attorcigliati
e gli occhi tristi
una vecchietta se ne stava
sembrava aspettasse!

Nel silenzio della notte
che arrivava velocemente
si sentì da lontano
una voce sottile sottile:

«Ma che fai seduta lì
con questa faccia malandrina?
Lo sai bene che è molto brutto
aspettare chi non arriva!
Non hai pena e compassione
per un uomo ancora in vita?
Ad accorciargliela, hai tempo,
ascolta me, non è finita!».

La vecchietta per risposta
si voltò dall’altro lato, come a dire:
«Lo so cosa faccio... lui è arrivato al capolinea
pover’uomo, è troppo stanco!».

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Nevicata di gennaio

Zona Padre Pio, 6 gennaio 2017 (foto A. Murella)

LA NEVICATA

Un bianco lenzuolo
ha coperto il suolo:
è la prima neve
che qui dura breve.

Appena si scioglie,
lo sporco si toglie
e in ogni settore
c'è un nuovo candore.

Ogni bimbo è attratto
e cerca il contatto.
L'allegro ragazzo
ne fa un pupazzo
e palle di neve
che lancia e riceve.

Con gli occhi sprotetti
ci abbagliano i tetti.
Se ci stai vicino
torni un po' bambino.

Finisce la fretta
e tutto s'acquieta,
il caos quotidiano
rimane lontano.

Francesco Manteo, gennaio 2017

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Visitando Palazzo Trigona/2

Teca con reliquie indicate nella foto in alto

(dalla Parte I) I lavori di costruzione del grandioso edificio di Palazzo Trigona ebbero inizio diversi anni prima che se ne occupassero seriamente i due fratelli Trigona, Matteo (1679-1753) II barone di Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella futuro arcivescovo di Siracusa nel 1732, e Ottavio (1680-1757) III barone di Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella. Il palazzo che troviamo a destra (lato Est) del Duomo di Piazza, fu voluto probabilmente dal genitore di Matteo e Ottavio, Trigona Luigi (o Aloisio) (1650-1715) divenuto nel 1693 I barone di Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella. Infatti, dagli anni di nascita sopra riportati, si deduce che l’anno 1690, che qualcuno suppone relativo all'ideazione dei fratelli pur se affiancato dall’avverbio “attorno”, appare azzardato in quanto in quel periodo i fratelli Trigona avrebbero avuto rispettivamente 11 e 10 anni di età. Anzi, se si prende in considerazione sia l’ipotesi che “con buona probabilità fu l’architetto Orazio Torriani, che seguì i lavori del Duomo, a contribuire alle scelte ed alle idee per la costruzione del Palazzo” e sia l’esistenza in vita dell’architetto romano (1578-1657), si deve anticipare di almeno trentacinque anni (al 1655 ca.) il periodo di ideazione e progettazione: non più quello del barone Luigi ma quello del padre di questi, Matteo IV barone di S. Cono Superiore nato nel 1632 e ancora vivente nel 1662, come risulta da un atto di vendita del suo feudo. Per l’accostamento al Palazzo del titolo “della Floresta”, bisogna arrivare al pronipote del vescovo Matteo nonché nipote di nonno Ottavio, Ottavio Maria Trigona Bellotti (1733-1785) che, sposandosi nel 1763 con Girolama Ardoino Celestre dei principi di Polizzi e dei marchesi della Floresta, da “semplice” X barone di S. Cono Superiore diventa il I marchese della Floresta della famiglia Trigona nel 1771, per la rinuncia e cessione per questioni dotali della sorella primogenita di Girolama, Flavia. Tornando alla visita al Palazzo di cui vi ho parlato nel primo post, l’altra particolarità che mi ha colpito sempre in questa prima sala, che occorre oltrepassare per accedere al grande salone, è l’altare in legno della cappella di famiglia inserita in un armadio a muro e precisamente i due reliquiari ai lati della teca centrale vuota (foto in alto). Dando uno sguardo più da vicino in quella di destra (foto in basso), mi sono accorto che alla base di un involucro con nastri, fiori secchi e alcune ossa, c’è un rettangolino di carta di pochi centimetri (cartiglio), forse caduto e non rimesso a posto, con due nomi di Santi Martiri venerati in quel periodo dalla famiglia nobile, completamente sconosciuti almeno dal sottoscritto. I nomi trascritti sono S. Digna m. e S. Dignatiani m. dove “m” sta per martire. Iniziata la ricerca, trovo subito sul sito "santiebeati.it" S. Digna m. assieme ai Santi Anastasio e Felice anche loro martiri, ma di S. Dignatiani m. nulla, se non trovarlo appena accennato tra i 150 nomi di SS. Martiri elencati durante un’importante celebrazione voluta da papa Benedetto XIV in un Libro di preghiere polacco del 1751 e 1754: HASLO SLOWA BOZEGO (Parola di Dio)¹. Per la storia di Santa Digna occorre tornare indietro all’anno 853, quando la Spagna era sotto il dominio degli Arabi Omayyadi del Nord Africa da oltre un secolo. A Córdova nell’Andalusia, i santi martiri Anastasio sacerdote, Felice monaco e Digna vergine, morirono tutti insieme nello stesso giorno, il 14 giugno. Anastasio, avendo confessato davanti ai consoli Mori la sua fede cristiana, fu prontamente trafitto con la spada e insieme a lui, anche Felice, di origine gétula (Nord Africa), che aveva professato nelle Asturie (Spagna settentrionale) la fede cattolica e conduceva vita monastica. Digna, ancor giovanissima, all’uccisione dei suoi compagni avendo coraggiosamente espresso biasimo verso il giudice, fu subito decapitata. Grazie per l'attenzione e alla prossima curiosità.

¹ Stampato a Lwówie (Leopoli) nel 1754.
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Visitando Palazzo Trigona/1

Il dipinto della Giustizia in una grande sala del Piano Nobile

L’altro giorno andando a visitare la mostra fotografica “Sony World Photography Awards Exhibition” visitabile sino al 5 gennaio, ho avuto la possibilità di girare alcune sale del grandioso Palazzo Trigona della Floresta destinato a essere, a Dio piacendo e chissà quando, Museo delle centinaia di migliaia di reperti, provenienti dalle numerosissime aree archeologiche piazzesi, ancora gelosamente tenuti sotto chiave al fresco. Dopo aver osservato le fotografie esposte, ho dato uno sguardo alle due grandi sale accanto nell’ala destra del Piano Nobile, con i soffitti finemente decorati in oro e pastello rappresentanti flora e fauna¹. La prima di queste sale, poco più piccola dell’altra, contiene la cappella di famiglia ingegnosamente racchiusa dentro un grande armadio con un altare in legno e due teche/reliquiari. Però, alzando il capo, lo sguardo è andato sul grande dipinto rettangolare nel soffitto, rappresentante una donna che poggia il suo piede sinistro su una nuvola. Dagli accessori si capisce che la donna è la Giustizia, una divinità della mitologia romana che personifica la Giustizia intesa come applicazione dell’ordine virtuoso nei rapporti umani tra persone secondo la legge. La dea nella sua mano sinistra impugna una spada, che rimanda alla simmetria della forza e del potere che la Giustizia deve avere per imporre e far rispettare i propri giudizi, quindi forza e potere che potrebbero servirsi della violenza per colpire chi non la riconosce. E’ una spada a doppio taglio impugnata e rivolta verso l’alto e certe volte la troviamo  appoggiata a una spalla o rivolta in basso o appoggiata a terra. Nell’altra mano la donna tiene una bilancia del tipo detto a bracci uguali che è da sempre uno degli esempi di immagine simmetrica, come la spada. Suggerisce quindi, con l’idea di ponderatezza che le è immediatamente associata, quelle dell’equilibrio e dell’equità che è compito della Giustizia conservare o ristabilire. Altro particolare è il fascio littorio tenuto da un putto alato ai piedi della Giustizia. Il fascio, simbolo proprio della romanità che troviamo nelle immagini della Giustizia a partire dal XVI secolo, è inteso come potere di applicazione previsto dal diritto romano, e lo possiamo considerare un doppio della spada che in molte immagini, dal Rinascimento in poi, la sostituisce. Qui invece li troviamo ambedue a rafforzare l’immagine che rimanda ai fasti dell’antica Roma. Altri attributi che troviamo nelle rappresentazioni della Giustizia sono la corona e il trono. La corona che porta sul capo e il trono su cui in molti casi siede la Giustizia, non sono soltanto segni generici dell’onore che le si vuole rendere, ma indicano anche un rapporto preciso tra Giustizia e sovranità. E’ compito del sovrano legiferare e rendere giustizia. A volte gli artisti ci mostrano la figura della Giustizia che decora al fianco o ai piedi del sovrano la “D” iniziale delle prime parole in latino del libro della SAPIENZA (testo contenuto nella Bibbia cristiana): Diligite iustitiam qui iudicatis terram (Amate la giustizia, voi che governate la terra). (continua)

¹ Per rendervi conto della bellezza degli interni del palazzo vi consiglio di guardare le magnifiche foto sulla pagina del sito del Museo Regionale Villa Romana P. Armerina

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