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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Inaspettatamente

Quando meno te l’aspetti, tra le cianfrusaglie lì da anni, puoi trovare anche…  

DDA CARÉZZA NTȂ GNUNÀDA
Tutti o quàs tutti ggh l’avöma
U mi s’ ciama Pòzz d San Patrìzi
Fu mi fìggh ‘Ndrìa a dèggh cö nom
Quànn jéu era carusétt
E ggh’ l’höi ‘n càm’ra du ddétt

Stöi parrànn du casc’iòlu dî r’gòrdi
Ch’ pa v’rtà u mi è pròpiu ‘n candaràngh
Unna ggh s’ g’cca a roba a r’nfösa ma pöi
Còm disg u pruvèrbi cö ch’ z’rchi trövi

Dìntra ognedùngh ggh sàuva ungh d tutt
Ch’ ggh pò fé r’gurdè ‘n fàtt
D cunt’ntèzza ompùru d d’spiasgèr
P non scurdès’lu màngh a màngh ch’u témp scörr
Cödda cusétta inùtu ch’ d’ bòtta non n’hai ch’ fénn
Però ‘n dumàngh macàri...

Dd dd’brètt unna ggh scrìvisti a data
Ch’ t r’gòrda cödda vòta ch’...
Cö r’tràtt antìch d quànn non ggh’er’nu i céllulari
E avanti ô méggh

Jè d tant ‘n tant vai z’rchànn
Ntȏ mi Pòzz d San Patrìzi
‘Ncòch còsa ch’ non ggh’höi sötta màngh
E ognvòta ggh’ tröv dìntra u mönn, u mi mönn

Accuscì cap’tà l’àutr mattìngh gìra svòta e f’rrìa
Na gnunàda du casciarìzz scarìu na cartulìna
E sötta i salùi ggh’era scri’vùit
“Ti mando una carezza”

Er’nu paròddi tröpp s’nt’méntàu
O macàri sègn ch’ jè na’ v’gghiàia
Höi d’v’ntàit ciù romànt’cha
Còm sìa sìa appi d’ bòtt u sfìu
D’ non bannunè  
Dda carézza ntâ gnunàda

E fòrs fu p’ cöss ch’ tutt’a’na vòta
S’ fès’nu ddàrgh na mi mént pròpri a r’nghèra
Cèrti rìmi ch’ i mèi carusétti
D quànn jè fasgèa a maìstra d l’elementàri
Aveànu scr’vùit p fè na puisìa ca paròdda “carèzza”

Scutè però còm i stëssi rìmi
Scr’vùit ca nòstra bedda parràda ciaccësa
Cang’nu songh, ànu n’àutra mùs’ca

A rugiàda sövra l’èrba o mattìngh
I nìvuli ch’ passìanu ntô cèlu ‘n poch s’ddiàt’
A ddùna ch’ sp’cchialìa na nuttàda s’rèna
Dda ràia d sö ch’ scàrfa na giurnàda fr’ddùlusa
A név ch’cum’gghia i tètti di càsi
L’ègua ch’s’ r’pòsa ntô lèttu du sciùm
A màngh d na màtri ch’ sciùa i ddàrmi o so f’ghiètt
Döi màngh ch’ s’ strënz’nu p’ pac’f’chè

Tutt cöst è carézza e ‘mpùr d ciù.

Rosalba Termini, Maggio 2016

Traduzione “Quella carezza in un angolo”
Tutti o quasi tutti ce l’abbiamo
Il mio si chiama Pozzo di S. Patrizio
Fu mio figlio Andrea a dargli questo nome
Quando lui era ragazzo
E ce l’ho in camera da letto

Sto parlando del cassetto dei ricordi
Che per la verità il mio è proprio un comò
Dove vi si getta la roba alla rinfusa ma poi
Come dice il proverbio quello che cerchi trovi

Dentro ognuno ci conserva uno di tutto
Che gli può fare ricordare un fatto
Di contentezza oppure di dispiacere
Per non scordarselo mano a mano che il tempo scorre
Quella cosetta inutile di cui in quel momento non hai che farne
Però un domani magari…

Quel libretto dove hai scritto la data
Che ti ricorda quella volta che…
Quella foto antica di quando non c’erano i cellulari
E così via

Io di tanto in tanto vado cercando
Nel mio Pozzo di S. Patrizio
Qualcosa che non ho sottomano
E ogni volta ci trovo dentro il mondo, il mio mondo

Così capitò l’altro mattino gira volta e rigira
In un angolo del cassettone scorsi una cartolina
E sotto i saluti c’era scritto
“Ti mando una carezza”

Erano parole troppo sentimentali
O magari segno che io nella vecchiaia
Sono diventata più romantica
Comunque sia ebbi subito il desiderio
Di non abbandonare
Quella carezza in un angolo

E forse per questo che tutt’a un tratto
Si fecero largo nella mia mente proprio una dietro l’altra
Certe rime che i miei alunni
Di quando facevo la maestra elementare
Avevano scritto per comporre una poesia con la parola “carezza”

Ascoltate però come le stesse rime
Scritte nella nostra bella parlata piazzese
Cambiano suono, hanno un’altra musica

La rugiada sull’erba al mattino
Le nuvole che passeggiano nel cielo un po’ imbronciato
La luna che risplende nella notte serena
Quel raggio di sole che riscalda una giornata freddosa
La neve che ricopre i tetti delle case
L’acqua che si riposa nel letto del fiume
La mano di una madre che asciuga le lacrime al suo figlioletto
Due mani che si stringono per rappacificare

Tutto questo è carezza e anche di più
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Presentazione "Canto a Villarosa"

Prof. Luigi Di Franco, Villarosa 1952

Domani, venerdì 27 maggio alle ore 18, presso il Museo Diocesano, avrà luogo la presentazione del libro del prof. Luigi Di Franco "Canto a Villarosa".

Il sottotitolo della raccolta di componimenti poetici, “Poesie ai 250 anni del mio paese”, di Luigi Di Franco, Professore ordinario di  Filosofia e Storia presso il Liceo Scientifico “Vito Romano” di Piazza Armerina, offre al lettore la chiave di lettura del pregevole testo “Canto a Villarosa”. Esso è dedicato “Agli attuali inesistenti: i villarosani”. Prima dei cenni storici essenziali sulla cittadina di Villarosa, l’autore cita tre scrittori, che, a buon diritto, “collegano” Di Franco alla grande tradizione letteraria siciliana: a) “Ho che tu sia benedetto, bianco cavaliere! Ma dicci chi sei, e perché tieni chiusa la celata dell’ elmo…”. Italo Calvino, “Il cavaliere inesistente”; b) “Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire sé stesso, assolversi o condannarsi…”. Gesualdo Bufalino, “L’ isola al plurale”, in “La luce e il lutto”; c) “Guardando i bambini nel parco, il Vice commissario de “Il cavaliere e la morte” aveva pensato preoccupato al loro domani… “, M.Freni, ”Verso la vacanza”.
Successivamente, nel “Canto a Villarosa”, possiamo dire che il poeta, già insignito di numerosi premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali, rappresenti la vicenda storica di tutto un popolo. I versi rimandano a compattezze liriche proprie dell’antica scuola poetica siciliana e rinviano al regno di gentilezza, dove la trama metro-sintassi evoca il ruolo di una poesia, che per prima vede il valore fondante della vita. In queste poesie, secondo antichi inserti alla Giacomo da Lentini, riprendono vita i segni della culla materna dove si perpetua l’isola d’oro del cuore umano. (Abstract di presentazione)

Antonino Scarcione   

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Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/5

Belluno, città del Veneto di ca. 36.000 abitanti

Ricordi e fatti inediti/5

Carmelo predice l’elezione di un vescovo
In uno dei tanti viaggi che mio fratello Carmelo faceva nel Bellunese per venirmi a trovare o per altri motivi, ebbe l'occasione di conoscere don Giuseppe Andrich, allora rettore del seminario diocesano di Belluno, con il quale faceva lunghe conversazioni. Un giorno che eravamo soli, io e lui, spesso l'accompagnavo e parlando di monsignore Andrich, mi disse che era un personaggio importante e che, a parer suo, avrebbe fatto carriera, naturalmente con la consacrazione a vescovo. La conversazione terminò  lì, ma quella quasi profezia rimase dentro di me per lungo tempo, finché un giorno, dopo alcuni anni, mi trovai a tu per tu con don Giuseppe che, gentilmente, mi aveva offerto un passaggio con la sua macchina da Auronzo di Cadore a Belluno. Strada facendo si parlava del più e del meno, cose di poca importanza, e a un certo punto gli chiesi: “Don Giuseppe quando ti faranno vescovo?”. La sua risposta fu “Mai”. Io lo incalzai dicendogli che Padre Carmelo mi aveva detto che con molte probabilità lo avrebbero fatto vescovo, ma lui con tono deciso mi disse: “No, tuo fratello ha sbagliato tutto sul mio conto, io non sarò mai vescovo”. Passarono gli anni e il vescovo di Belluno Monsignor Savio si ammalò, purtroppo, di un brutto male e  don. Giuseppe, che era suo vicario, faceva le sue veci sostituendolo in tutte le funzioni per il periodo della sua lunga malattia. Arrivò il nefasto giorno che Mons. Savio passò a miglior vita e la Diocesi di Belluno-Feltre rimase, per così dire, orfana e quindi bisognava nominare un altro pastore. Chi meglio di don Giuseppe avrebbe potuto sostituire il defunto prelato, che era ormai già pratico dell'ufficio e dei gravosi compiti propri del vescovo? Così che, il nostro amato don Giuseppe fu nominato e quindi consacrato vescovo nella medesima Diocesi. Quando lui venne a Limana (n.d.r. comune in prov. di Belluno) per la visita pastorale, dopo la Santa Messa, andai in sacrestia per salutarlo e gli ricordai quello che mi aveva detto mio fratello circa dieci anni prima. Mi rispose, accennando un sorriso, che avevo avuto ragione e da quel giorno io e il vescovo Andrich siamo rimasti ottimi amici.

continua in Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/6

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Rivelazioni dal Chiostro di S. Pietro/3

Parte inferiore dell'affresco raffigurante S. Leonardo da Porto Maurizio nel chiostro di S. Pietro in Piazza Armerina (EN)

Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/3

(continuazione da Rivelazioni da chiostro di S. Pietro/2) Dopo essersi spostato nelle due riviere per continuare le sue prediche Fra' Leonardo di Porto Maurizio transitò per Genova, nel santuario di Santa Maria del Monte, dedicandosi ad intensi esercizi spirituali. In queste occasioni scrisse uno dei suoi Proponimenti, lettere e riflessioni spirituali sul raggiungimento della perfezione cristiana. Dopo la fine della primavera del 1745, partì da Genova e lasciata la Liguria attraversò tutte le regioni italiane sino all’anno giubilare del 1750, proclamato da papa Benedetto XIV, il bolognese Prospero Lorenzo Lambertini (menzionato al V rigo dell'affresco, 1675-1758, Papa dal 1740). Qui fece epoca la Via Crucis predicata da fra' Leonardo il 27 dicembre nel Colosseo. Era la prima volta che si celebrava un rito religioso nell'anfiteatro Flavio. Da quell'anno la pia tradizione si mantenne fino ai nostri giorni e ogni venerdì Santo il Papa compie personalmente il rito penitenziale. Quella prima Via Crucis ebbe anche un grande merito per l'arte: il Colosseo fino a quell'anno era servito da cava di pietra per altre costruzioni, ma dopo quella memorabile Via Crucis venne considerato luogo sacro, meta di devoti pellegrinaggi, e la sua demolizione si arrestò. Aggravatosi dopo l’ennesima Via Crucis in territorio bolognese, fra' Leonardo giunse a fatica a Roma dove morì nel convento di San Bonaventura al Palatino il 26 novembre 1751. Qui dovettero accorrere i soldati, per tenere indietro la folla che voleva vedere il Santo e portar via le sue reliquie. “Perdiamo un amico sulla terra - disse il Papa Lambertini - ma guadagniamo un protettore in Cielo”. Durante la sua vita il Santo fu apostolo delle Tre Ave Maria, preghiera che grazie a lui ebbe una grande diffusione, come la pratica della Via Crucis che egli istituì in moltissimi luoghi (ben 572). Inoltre, fu lui a proporre la definizione del dogma mariano dell'Immacolata Concezione, mediante una consultazione epistolare tra i Vescovi (Concilio senza spese). A tal proposito il papa Lambertini arrivò a preparare una Bolla, ma per varie cause il documento non venne mai pubblicato. Fu beatificato nel 1796 e canonizzato Santo nel 1867. Dichiarato Patrono dei Missionari nei Paesi cattolici nel 1923 è il Santo Patrono della Città di Imperia. Per quanto riguarda il grande numero “2” tra le ultime tre righe dell’affresco, si tratta semplicemente del numero dato a una cella dell'ex Convento di San Pietro a Piazza Armerina.

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