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Gaetano Masuzzo

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Rivelazioni dal Chiostro di S. Pietro/2

Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/2

(continuazione da Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/1) Nell’affresco presente sulla parete sud del chiostro nel Convento di San Pietro di Piazza Armerina è rappresentato Fra' Leonardo da Porto Maurizio, al secolo Paolo Girolamo Casanova (nella foto un Vero Ritratto...). Il futuro Santo nacque il 20 dicembre 1676 dal matrimonio tra il capitano di marina Domenico Casanova e Anna Maria Benza a Porto Maurizio, che insieme a Oneglia forma l’odierna Imperia in Liguria. Dopo aver frequentato gli studi superiori di Lettere e Filosofia a Roma presso i PP. Gesuiti, a 21 anni venne ammesso al noviziato nell’Ordine Francescano dei Riformati detto “della riformella” o “degli scalzati” nella stessa città, prendendo il nome di Leonardo e ordinato sacerdote nel 1702. Chiese inutilmente di essere mandato missionario in Cina, ma dal 1709 al 1730 scelse il convento toscano di Monte alle Croci presso San Miniato, come centro delle sue missioni itineranti, cui affiancò la cura per i ritiri di San Francesco al Palco in Prato e Santa Maria dell'Incontro presso Firenze, luoghi destinati da lui a offrire periodi di vita contemplativa a tutti i religiosi impegnati nell'apostolato. Di questi ritiri in Etruria fu superiore per nove anni, scrivendone anche le costituzioni (ecco come si spiega Hetruriam Caenobiorum dell'affresco nel chiostro francescano di San Pietro). Fu chiamato a Roma da Clemente XII nel 1730, e da allora iniziò i viaggi per le missioni popolari in varie parti dello Stato pontificio, del Granducato di Toscana, della Repubblica di Genova e del Regno di Napoli. Le missioni popolari predicate da fra' Leonardo furono 343, svolte nell'arco di 44 anni, insieme con un numero imprecisato di predicazioni temporalmente più brevi. La sua predicazione aveva qualcosa di drammatico e di tragico, spesso al lume delle torce e con volontari tormenti ai quali fra' Leonardo si sottoponeva, ora ponendo la mano sulle fiaccole accese, ora flagellandosi a sangue. Folle immense accorrevano ad ascoltarlo e rimanevano impressionate dalla sua bruciante parola, che richiamava alla penitenza e alla pietà cristiana: "È il più grande missionario del nostro secolo" diceva Sant'Alfonso de' Liguori (1696-1787) e spesso l'uditorio intero, durante le sue prediche, scoppiava in singhiozzi. Nel lungo itinerario del suo apostolato, attraversò tutte le regioni dell'Italia settentrionale e centrale, acquistando fama e meravigliando positivamente gli innumerevoli fedeli, compresi i cardinali e papa Benedetto XIV (citato nell’affresco), che l’ascoltavano estasiati le sue orazioni. Nella predica sulla piana della Chiesa della Pace a Bisagno (GE), raccomandò di porre sopra le porte delle proprie case l’effigie di Gesù e Maria che richiama, appunto, il motto Viva Gesù e Viva Maria nell'affresco del chiostro, mentre l’oggetto quadrato, tenuto in alto nell'affresco, è un quadretto con l’immagine della Madonna alla quale era molto devoto. La stessa raccomandazione venne fatta per l'affissione sulle porte di tutte le città e terre murate della Liguria. Dopo aver completato le missioni a Lucca e a Pistoia, nel 1744 si recò in Corsica dove si vivevano momenti difficili per le insurrezioni separatiste contro la Repubblica di Genova. (continua in Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/3)

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Rivelazioni dal Chiostro di S. Pietro/1

Il grande affresco LA SENTENZA DI CAIFA dietro le colonne del lato Sud del Chiostro di S. Pietro

L'affresco raffigurante SAN LEONARDO DI PORTO MAURIZIO (1676-1751)

Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/1

Dopo l’inaugurazione dell’ex Convento Francescano di San Pietro avvenuta il 14 maggio scorso, ho avuto la possibilità di visitare e ammirare il chiostro del XVI secolo nel suo insieme e, in particolare, il bellissimo e straordinariamente inconsueto affresco da tutti intitolato LA SENTENZA DI CAIFA (foto in alto, dietro le colonne del lato sud). Molto probabilmente dovevano essere affrescate tutte le pareti delle quattro gallerie del chiostro, ma a noi sono arrivati purtroppo solo questi. Già sono stati scritti alcuni articoli che ci spiegano l’affresco nel suo insieme, e altri ne verranno per la descrizione dei particolari, ma io sono stato attratto in particolar modo da quello enigmatico che sta immediatamente alla sinistra de La Sentenza, nella foto tra le prime due colonne di sx, sopra una porta. Come si può notare dalla foto in basso è il più malandato¹, ma si riescono a distinguere: il grande medaglione color giallo ocre, con dei mazzi di fiori ai lati in alto, simile a quello sulla dx del grande affresco, su una porta che racchiude una finestra; una figura di frate rivolto verso dx che tiene un oggetto di forma quadrata in alto; le parole “Viva Gesù Viva Maria” tra l’arco del medaglione e la testa del frate; una serie di parole a stampatello poste in sei righe e, per finire, il grande numero “2” tra le parole delle ultime tre righe in basso. In un primo momento, leggendo le ultime tre parole dell’ultimo rigo “DIE 26 NOVEMB” mi è sembrato di trovarmi davanti alla raffigurazione del Beato Fra' Innocenzo Milazzo osservante morto nel Convento Francescano di Santa Maria di Gesù proprio il 26 novembre 1595 e di cui ho raccontato la sua vita in diversi post a partire dal 10 Ottobre 2013 su questo sito. Ma le altre parole, quelle risparmiate dal tempo e dalla negligenza che ci contraddistingue, mi portavano da un’altra parte non avendo alcuna attinenza con la storia di fra' Innocenzo. Ripresa la ricerca e dopo tanti tentativi, avendo come spunti più nitidi oltre la data di morte anche il luogo “OBIIT ROME”, le parole “PORTU MAURITIO”, “HAETRURIAM CAENOBIORU...” e “BENEDICTU IV”, scopro che si tratta del frate francescano riformato e sacerdote SAN LEONARDO DA PORTO MAURIZIO nato a Porto Maurizio (Imperia) il 20 dic. 1676 e morto a Roma il 26 nov. 1751. Ecco spiegate le parole poco leggibili e incomprensibili che leggevo erroneamente “I FONABDI” invece di “LEONARDI” ovvero “LEONARDO DI PORTO MAURIZIO”. Da ciò si può dedurre che l'affresco sia databile dopo il 1751, anno della sua morte, considerando che nell'affresco è chiamato ancora SERVO DI DIO e non BEATO (nel 1796) né SANTO (nel 1867). (continua nei post Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/2 e Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/3)

¹ Cliccando su Conventi francescani sfortunati/1 potete rendervi conto com'era ridotto in una foto del Febbraio 2012.
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Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/4

Ricordi e fatti inediti/4

Salvataggio di una ragazza tedesca
Un giorno Carmelo, di ritorno dalla Germania negli anni Sessanta, sul treno incontrò due malfattori napoletani che ritornavano in Italia col foglio di via, perché persone indesiderate. Fin qui niente di strano, però con loro c'era pure una ragazza tedesca che i due cercavano di circuire per portarla con loro a Napoli e metterla sulla strada della prostituzione. Uno dei due gli si rivolgeva dicendogli: “Padre, lei che parla bene il tedesco, dica a questa ragazza che io la voglio bene e che la voglio sposare”. Carmelo gli rispose di stare tranquillo che ci avrebbe pensato lui. Così dicendo, fece un cenno alla ragazza per seguirlo fuori dallo scompartimento. Si appartarono un po' ed egli spiegò alla ragazza con chiarezza qual era la situazione alla quale lei rischiava di andare incontro, e concluse con una raccomandazione: <<Se vuoi seguirli fallo pure, però ricordati che sei destinata a fare la donna di strada ed essi saranno i tuoi sfruttatori. Quindi, pensaci bene, io intanto avviso la polizia>>. La ragazza tornò al suo posto e cambiò atteggiamento rispetto a prima. I due malviventi compresero l’intromissione e iniziarono a minacciare il sacerdote che, imperterrito, se ne stava appoggiato alla parete con le mani in tasca mentre essi l'affrontavano. Allora, senza perdersi d’animo, pensò di spaventarli intimando loro così: <<State attenti, io sono siciliano e il coltello lo tengo sempre in tasca>>. Da lì a poco fortunatamente arrivò la polizia. Per concludere: i due furono arrestati e consegnati alla polizia italiana, mentre la ragazza venne rispedita in Germania mentre ringraziava tanto il suo salvatore.

Il nostro cervello? Una cassettiera
Quando l'accompagnavo su per le montagne per andare a visitare Cortina o altre località rinomate delle Dolomiti frequentatissime da turisti, spesso incontravamo Americani, Inglesi, Tedeschi, Francesi. Bene, mio fratello parlava speditamente con tutti, a ognuno nella propria lingua. Io, nella mia ignoranza, molto sorpreso, gli chiedevo come facesse a parlare con tutti, senza fare confusione. Egli pazientemente mi rispondeva che: <<Il nostro cervello è simile a una cassettiera dalla quale al momento opportuno puoi aprire un cassetto dal quale prendere quello ti fa comodo>>. Secondo me questo ragionamento lo può fare tranquillamente soltanto chi ha studiato e conosce bene le lingue.

continua in Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/5

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Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/3

P. Carmelo Capizzi S.J. (1929-2002)

Ricordi e fatti inediti/3

Un Piazzese prova a corrompere l’insegnante
In quegli anni (n.d.r. 1953/54) chi frequentava il Collegio Pennisi erano i figli dei benestanti o comunque quelli che potevano pagare. Tra i ragazzi c'erano due fratelli, figli di un Piazzese, che a scuola uno era bravo e meritava la promozione, l'altro invece non andava bene e quindi non poteva essere promosso. Il padre dei due studenti prima della fine dell'anno scolastico si recò ad Acireale presso il Collegio per incontrare gli insegnanti ed informarsi sul'andamento scolastico dei propri ragazzi. In quel frangente chi riceveva i genitori era proprio P. Carmelo (n.d.r. fratello di Salvatore che racconta). All'inizio, tutti e due parlarono delle solite cose, ma poi vennero al dunque. L'insegnante parlò chiaro e disse come stavano effettivamente le cose e cioè uno meritava di essere promosso, l'altro invece no. Se l'avessero promosso, sarebbe stato un male per il ragazzo stesso che, a suo dire, non avrebbe sopportato il peso dell'anno successivo. In ogni modo, Carmelo disse al suo interlocutore di portarsi indietro il pacco che aveva con sé, perché né lui né la casa non ricevevano regali del genere. Era evidente che il signore, mio concittadino, voleva corrompere mio fratello per avere la promozione del figlio. Questo fatto non mi fu raccontato da mio fratello, sia chiaro, ma da mio cognato che, casualmente, incontrò il signore di cui sopra, cioè il papà dei due ragazzi, il quale, avendo saputo che il suo interlocutore si chiamava Capizzi anche lui, chiese se per caso era parente del gesuita padre Carmelo Capizzi, al che mio cognato rispose : “Sì, mi chiamo anch’io Capizzi e con padre Carmelo siamo cognati perché ho sposato la sorella”. Allora il signore raccontò la storia di cui sopra e gli confessò il fatto del pacco regalo parlando molto bene di Carmelo, dicendo che il suo comportamento era stato giusto e corretto e che un uomo così non l'aveva mai incontrato. Questo fatto per noi familiari è stato sempre un motivo di orgoglio.

Don Carbone chiede scusa
E' consuetudine che quando un giovane viene ordinato sacerdote, una delle prime messe la celebra nella sua parrocchia di origine e Carmelo in quella occasione si recò  a Piazza Armerina nella sua parrocchia di origine (n.d.r. San Filippo al Casalotto) e lì celebrò. Il Parroco era ancora don Rosario Carbone, che bontà sua, durante l'omelia ebbe il coraggio e la bontà di chiedere scusa pubblicamente a mio fratello per quello che aveva detto 18 anni prima. In quella circostanza chi scrive era presente.

continua in Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/4

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