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Cronarmerina - Aprile 2025

Il segno di vittoria

Le dita a V, alzando l'indice e il medio della mano, soltando da poco tempo indicano la VITTORIA. Inizialmente erano concepite come insulto, come oltraggio particolarmente volgare. In effetti il gesto aveva lo stesso significato che noi conferiamo al dito medio alzato, e ha ovviamente una storia. Il gesto nacque nel 1415 quando ad Azincourt (Passo di Calais - Francia) gli arcieri inglesi di Enrico V inflissero una memorabile batosta ai cavalieri francesi di Carlo VI, in quello che fu probabilmente l'episodio più famoso della guerra dei cent'anni. La sera precedente la battaglia Enrico V arringò i suoi soldati rispolverando un antico spauracchio, raccontando che i francesi avrebbero fatto ai prigionieri quello che i barbari infliggevano agli arcieri romani catturati: l'amputazione del dito indice e medio. L'effetto fu corroborante, l'indomani la cavalleria francese fu sommersa da una pioggia di precisissime e inesorabili frecce inglesi, con gli arcieri che iniziarono a mostrare in segno di sfida l'indice e il medio sollevato di fronte ai loro nemici sconfitti. Senza contare che la V stava per Enrico V, il re che li aveva condotti alla vittoria e che era meglio ricordarglielo. Da qui il gesto divenne sinonimo di offesa, con buona pace di chi attribuisce al segno V una matrice araba, impiegato con chiaro riferimento sessuale all'organo femminile che si avvicina al naso, simbolo del membro maschile. Tutto ciò sino alla Seconda Guerra Mondiale quando il politico belga Victor de Laveleye (1894-1945) chiese ai Belgi di scegliere la lettera "V" in segno di battaglia, essendo la prima lettera di VICTOIRE (vittoria) in francese e di VRIJHEID (libertà) in olandese. Fu l'inizio dell'introduzione della "V" come VITTORIA adottato da noti uomini politici come Winston Curchill e Richard Nixon, o da tanti sportivi più o meno "campioni"!  

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it     

 

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Famiglia Paternò

Di rosso a quattro pali d'oro attraversato da una banda d'azzurro
La famiglia Paternò discende dalla Casa Sovrana dei Conti di Barcellona e Provenza e da quella Sovrana degli Altavilla. Il suo capostipite è Roberto d'Embrun (1050-1085 ca., il cui stemma è come quello della Casa Sovrana di Barcellona) che nel 1070 segue il Gran Conte Ruggero in Sicilia e per aver conquistato la cittadina di Paternò, ne assume la signoria feudale e il cognome, oltre ai feudi e casali di Buccheri e di Aylbacar. Dal XIII sec. i Paternò sono insigniti di un vasto numero di baronie e dall'inizio del '600 anche di titoli principeschi e ducali. Nel nostro territorio i Paternò sono presenti dai primi decenni del '400 in tre feudi: Imbaccari, Raddusa e Spedalotto.
Paternò di Imbaccari Sottano
Il feudo di Imbaccari Sottano è posseduto dal 1424 da Gualtiero de Paternò, nel 1503 da Francesco Paternò e nel 1520 da Blandinello Paternò. Nel 1579 se ne investe Giuseppe Paternò insieme al feudo di  Baldo e di Piana di Minnelli (pertinenze di Imbaccari) e nel 1585 vende Imbaccari Sottano alla famiglia Gaffori. Nel 1610 ottiene per Baldo la "licentia populandi" dandogli il nome di Mirabella, in onore della famiglia Mirabella alla quale appartiene la moglie Eleonora. Nel 1624 Giacinto succede al padre Giuseppe e decide di trasferire il nuovo borgo dal feudo di Baldo a quello più in alto di Imbaccari Sottano, per problemi climatici e ambientali. Dopo aver iniziato la costruzione nel nuovo sito nel 1630, acquista definitivamente Imbaccari Sottano dai Gaffori e col comune di Platia chiude la vertenza nel 1635 pagando 200 onze. Nel 1650 ca. eredita i feudi il nipote Gualtiero e poi i figli di questo, Giuseppe e Francesco Maria. Quest'ultimo, senza figli, vende Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella a Trigona Luigi nel 1693 e Baldo al fratello Geronimo Paternò nel 1714. Quest'ultimo, nel 1730, dopo aver recuperato Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella nel 1734 vende tutti i 3 feudi a Vincenzo Paternò Castello principe di Biscari (l'investitura è del 1737). Alla sua morte, nel 1739, i feudi passano al suo primogenito, Ignazio Paternò Castello Scammacca principe di Biscari detto il Grande. L'ultimo della famiglia Paternò Castello che erediterà i beni di Mirabella nel 1897 è Ignazio, che frazionerà il feudo in piccoli appezzamenti e donerà sia il Palazzo baronale (1928) che il terreno per la costruzione delle Scuole Elementari (1930), prima di entrare tra i Chierici Regolari di S. Paolo detti PP. Barnabiti.   
 Paternò di Raddusa e Imbaccari Sottano
Nel 1503 Francesco Paternò, barone di Imbaccari Sottano, si investe anche del feudo di Raddusa. A Francesco succede Giacinto. Il secondogenito di questi, Vincenzo Maria Paternò Celestri, illustre cittadino piazzese, professore di diritto presso l'Univ. di Catania e Giudice della Gran Corte Civile del Regno, prima acquista nel 1648 il feudo di Recalcaccia e poi riceve nel 1656, dal nipote Gualtiero Paternò, i feudi di Raddusa e Destra. Rimasto vedovo si fa prete e lascia al figlio Giacinto il feudo Recalcaccia e all'altro, Francesco Maria, Raddusa e Destra. Quest'ultimo si sposa con Silvia Trigona dei baroni di Spedalotto e lascia al figlio, Vincenzo Paternò Trigona, Raddusa e Destra dei quali ne risulta barone nel 1713. Dagli sposi Francesco Maria e Silvia Trigona derivano, dopo oltre un secolo, i Paternò di Spedalotto. Ritornando a Giacinto, barone di Recalcaccia o Spinagallo (SR), questi ha una figlia, Eleonora, che sposa Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Il loro primo figlio Vincenzo, nel 1713, risulta barone di Raddusa e Destra. Dopo circa ottant'anni, nel 1790, Vincenzo Maria Paternò è barone di Raddusa e Destra.
Paternò di Spedalotto
1790 Onofrio Paternò è barone di Spedalotto, Gallitano, Alzacuda e Sofiana. 1838 Emanuele Paternò Ventimiglia è marchese di Spedalotto e nel 1848 diventa ministro nel governo siciliano indipendente di Ruggero Settimo. Sempre nel 1848 Vincenzo Paternò Trigona è marchese di Spedalotto e pretore di Palermo e fa parte del Comitato Generale della Rivoluzione.  
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina     
 
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Fontana c.da Rabugino-Donna/n. 6

 
 
Questa fontana si trova in una campagna di contrada Rabugino¹. L'acqua fuoriesce da una testa di CULÒVRIA murata di recente, forse dopo l'asportazione della precedente. L'acqua che esce va prima in una piccola vasca a forma di conchiglia, poi si raccoglie in una grande vasca ottagonale. Oltre all'ampiezza della vasca, colpisce l'inclinazione verso l'interno dei bordi in pietra, probabilmente per favorire il lavaggio degli indumenti alle donne che approfittavano della grande portata d'acqua. Immersa tra i tròfi d giardìng è così grande perché doveva b'v'rèr una grande distesa d n'zzòli. U giardìngh aveva bisogno di molto lavoro durante l'anno e veniva irrigato almeno 20 volte: u travàggh era traff'cös ma ntr' aöst e s'ttèmbr dòp a scutulàda ggh'era a cugghiùa a cui partecipava tutta la famiglia, rànni e p'ccìddi.

¹ Con una e-mail Pippo di Giorgio mi ha precisato che la contrada dove si trova questa gebbia è conosciuta, soprattutto tra gli ultrasessantacinquenni, come la chiamavano suo nonno e suo padre, contrada Donna. Pertanto la chiameremo Fontana di Rabugino-Donna.

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Canadesi al piano Duilio

La delegazione canadese e il Sindaco
Il 93enne capitano Scherry ATKINSON con la moglie
Onore ai caduti di piano Duilio
Il diploma di commemorazione 1943-2013

Le foto riguardano <<la commemorazione dell'eroismo e del sacrificio dei soldati canadesi che hanno combattuto per la liberazione della Sicilia nel 1943>> che si è tenuta il 26 luglio 2013 nella nostra Città ad opera della delegazione canadese e del Sindaco di Piazza Armerina. La commemorazione fa parte delle numerose celebrazioni della cosidetta "Operazione Husky" grazie alla realizzazione del progetto al quale si è dedicato per oltre sette anni Steve GREGORY del Canada Company.

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Dopo 70 anni sappiamo chi sono

Il maggiore Billy POPE e il ten.col. Ralph CROWE
 
Dopo 70 anni, siamo in grado di dirvi chi sono i due canadesi nella ormai arcinota foto scattata la mattina del 16 luglio 1943. Molto probabilmente i due militari si trovavano all'inizio dell'odierna via Machiavelli provenendo da Gela, all'altezza del muretto che prima delimitava la Villa Arena dallo stradale, poco prima dell'odierno negozio di materiale edile "Vitali". La foto, scattata dall'anticarrista Scherry ATKINSON, oggi capitano che si trova a Piazza nella delegazione canadese all'età di 93 anni, ritrae a sx il maggiore Billy POPE e a dx il tenente colonnello Ralph CROWE. Tutti facevano parte del "ROYAL CANADIAN REGIMENT" e mentre il Capitano fotografo è oggi a Piazza fra noi, l'ufficiale di sx morì il giorno dopo nella furiosa battaglia di Valguarnera, mentre quello di dx morì una settimana dopo nella battaglia altrettanto cruenta di Nissoria. I due ufficiali morti sono sepolti nel cimitero canadese di Agira (EN). 
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Lapide nascosta del vescovo Sturzo

 

Grazie alla segnalazione di Alessio Pace abbiamo conosciuto l'esistenza di questa epigrafe, accanto a una modesta edicola con un piccolo quadro con stampa della Sacra Famiglia, ma non per questo meno importante. Infatti, si tratta molto probabilmente di una lapide recuperata da altro sito e sistemata dopo na cantunera scendendo a dx e sotto un balcone di via Sotto Santa Chiara, cioè a non più di 70 metri dalla centralissima via Umberto. Le cose più interessanti sono due: a) riporta una preghiera di Mario Sturzo, VII vescovo della nostra Diocesi dal 1903 al 1941, di cui è iniziato il processo canonico di beatificazione e canonizzazione; b) la preghiera è di liberarlo dal "contagio della moda". Di quale moda si tratta? Forse della "moda" di essere fascisti, visto il contesto temporale in cui era vissuto con non poche difficoltà, specie di carattere politico e filosofico? Inoltre, con l'occasione, desidero evidenziare, appena ci si allontana di qualche metro dalle vie Mazzini, Garibaldi e Umberto, l'enorme degrado e abbandono delle vie vicine. La manutenzione e la pulizia sono ormai un ricordo lontano e ancora non siamo a livello di terzo mondo grazie alla buona volontà di qualche residente. Uno di questi mi diceva che la via Santa Chiara non è per nulla secondaria, come potrebbe sembrare, visto che viene usata molto spesso dalle "carovane" di turisti che la percorrono per tagliare per la via Roma e quindi raggiungere gli autobus lasciati al piano Sant'Ippolito o davanti l'Hotel Villa Romana. E come se non bastasse, continua il residente, è veramente vergognoso vederli fotografare le "bellezze" in mostra, vero vanto di un sito UNESCO da portare via come ricordo! Io, dal canto mio, oltre a queste due foto, ne ho fatte altre, veramente disgustato e amareggiato, dagli sportelli aperti delle finestre della mia classe dell'ex Istituto Magistrale, rimasto scandalosamente "BOMBARDATO" durante l'ultimo sbarco di gente incompetente, superficiale, incivile, spudorata e chi più ne ha più ne metta! Basta guardare le condizioni del portone sulla via Umberto per capire come noi Piazzesi "tuteliamo" i notri gioielli! Altro che sito UNESCO, sito BISTRATTATO! Gaetano Masuzzo.cronarmerina.it 

* Questo post verrà inviato all'Ufficio della Postulazione Curia Diocesana come segnalazione di documento relativo al Servo di Dio Mons. Mario Sturzo.  

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La conchiglia di S. Giacomo/Parte 2^

La conchiglia della capasanta o vieira in spagnolo
 
Sull'arco di una finestra del Duomo di Piazza Armerina
Sul campanile del Duomo di Piazza Armerina
Sul portone della chiesa Anime Sante del Purgatorio di Piazza Armerina

PARTE 2^

(dalla Parte 1^) Il legame tra la conchiglia e San Giacomo (il Maggiore) va ricercato sia nel racconto di un miracolo che evrebbe visto salvarsi un cavaliere caduto in mare che, invece di annegare, sarebbe riapparso nei pressi della barca sulla quale venivano trasportate le ossa del Santo, tutto ricoperto di conchiglie come se fosse rimasto sott'acqua per chissà quanto tempo, sia nella facile reperibilità della conchiglia in questione, chiamata volgarmente "capasanta", molto comune su quelle coste della Galizia, e dal mollusco contenuto molto buono e adatto ai frugali pasti dei pellegrini che presero l'abitudine di tenere la conchiglia in ricordo di quella lieta sosta in un cammino faticoso. Inoltre, la conchiglia presenta varie associazioni allusive a causa della forma suggestiva e della consistenza del mollusco che sono spesso indicati come simbolo dell'organo genitale femminile. Come tale, sin dai tempi più lontani diviene metafora della nascita e della vita e, nella tradizione cristiana, viene considerata nell'immagine del guscio come simbolo della tomba che racchiude, per questo la ritroviamo spesso sui portali e altari di chiese (vedi foto sopra scattate a Piazza). Come se non bastasse, la struttura dei raggi di questa conchiglia riporta inevitabilmente ai raggi della stella che indicò all'eremita il campo di sepoltura del Santo, un luogo posto al confine estremo del mondo, ultima terra prima dell'immenso oceano. Mentre Roma è il cuore pulsante della fede con la dimora del rappresentante di Dio in terra e Gerusalemme è la sede del Santo Sepolcro dove Cristo ha abbandonato le sue spoglie mortali, Santiago di Compostela è vista come un faro contro le tenebre degli abissi oltre la terra a ovest e una luce contro la minaccia della marea musulmana che preme da sud. Per questo ogni anno nella città galiziana si recono quasi 200.000 pellegrini, la maggior parte a piedi, per rinnovare il cammino verso la fede e la conoscenza interiore di ognuno che lo stesso Cammino "obbliga" a scoprire nel silenzio e nella solitudine di centinaia di chilometri. (Tratto da G. Staffa, 101 Storie sul Medioevo, N.C.Ed., ROMA 2012)

cronarmerina.it

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Allöra vìzi è!

 

Allöra vizi è!

Ormai dove ci si gira gira c'è na pala d f'cudìnnia estemporanea!

Questa in via Sotto Santa Chiara, su un balcone di una casa disabitata. Accontentandosi dell'acqua piovana,

riesce a crescere rigogliosa, méggh d n'campàgna 'n mi!

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La conchiglia di S. Giacomo/Parte 1^

Il bordone, bastone del pellegrino con la zucca a fiaschetta
 
PARTE 1^
Sfogliando i resoconti delle vite degli uomini del Medioevo, presto o tardi ci si imbatte in una figura che, al pari del cavaliere, ha una forte componente evocativa: il pellegrino. Il pellegrinaggio è una pratica alla quale si dedicano tutti, dai sovrani ai più poveri, isolati o in gruppi si spostano seguendo gli itinerari che conducono a Roma, a Gerusalemme o a Santiago de Compostela, attratti dal potere delle sacre reliquie e dalle loro qualità salvifiche. Si rafforza attraverso il pellegrinaggio l'idea dell'uomo in permanente avanzata verso la morte, metafora del cammino della vita. Questo incedere si concretizza nella polvere dei sandali, nel cappello a larghe tese (pètaso), nella borsa a tracolla, nel bastone con la zucca a fiaschetta (bordone), nel mantello e, cosa più emblematica, nella CONCHIGLIA. Questa è correlata al culto di San Giacomo e dunque al paese di Santiago, al quale venne aggiunta la parola Compostela perché intorno all'800 d.C. un eremita, avendo visto ogni notte una stella illuminare un campo, si mosse, dopo aver sognato San Giacomo, verso quella direzione, sino a giungere nel luogo di sepoltura del Santo presso il "campo della stella" (Compostela). Naturalmente questa è una leggenda, ma di fatto Santiago diventa nel giro di pochi anni una meta assai visitata da torme di fedeli, pur di riuscire ad appendere sul cappello la conchiglia, a testimonianza dell'impresa. (Tratto da G. Staffa, 101 Storie sul Medioevo, N.C.Ed., ROMA 2012) (continua)
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
 
 
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Antichi falegnami di Piazza/2

Il poeta-falegname Carmelo Scibona (1865-1939)
 
Continua (dalla parte 1^) l'elenco dei falegnami "antichi" che lavoravano nella nostra Città tra gli anni '30 e '40. Eccovene altri in ordine alfabetico: Giurbino Mario, Guarnaccia poi commerciante di ferramenta, Guarnera, La Vaccara, Manteo, La Versa Giuseppe (padre di Cateno tra i Moderni Falegnami), Lunardo/Leonardo Vincenzo (1825-1859)1, Leonardo Primo (fratello di Vincenzo, 1803-?)1, Leonardo Filippo (1858-1926)2, Marino Albanese Gaetano e il figlio Marino Liborio (Bobò) in via Roma 108, Marino Nitto, Marino Gino, Marino Angelo ('Ngiulìddu), Masuzzo Gino e il fratello Masuzzo Rosario (Sasà) in via Roma 58/60, Marino Mario in via Crescimanno, Mellia Filippo, Orlando Calogero (Calòriu) in via Udienza, Paternicò P'ppinu, Paternicò Lilliddu, Parasole Salvatore (Totò), Polizzi Filippo largo Salvatore, Paolo (Tigna?), Rinaldo, Rinaldo figlio del primo, Rinaldo forse parente dei primi due, Roccazzella Giuseppe via Padova, Sardeo, Scarcella Filippo via Mazzini 61, Scibona Carmelo (nella foto), Scibona parente del primo, Speciale Michele forse in via Mazzini, Speciale Alfredo e Speciale Concetto e Speciale Giovanni figli del primo, Suffanti Peppino, Termine.
 
Trisnonno di Massimo Leonardo che me lo ha segnalato il 24/3/2023.
2 Bisnonno di Massimo Leonardo che me lo ha segnalato il 24/3/2023.
* Sullo stesso tema su questo sito: Moderni Falegnami di Piazza

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