Gaetano Starrabba III principe di Giardinelli fondatore nel 1756 del paese di Pachino (SR)
CONVERSAZIONE PRESSO L’UNIVERSITA’ POPOLARE DEL TEMPO LIBERO “I. NIGRELLI” tenuta dal prof. Gaetano Masuzzo presso l'aula magna della SCUOLA MEDIA CASCINO l'8 FEBBRAIO 2017 ORE 17:30
“STORIA DELLA VIA GARIBALDI, PORTA PER PORTA - com’era e chi c’era dagli anni 40 ad oggi".
Parte Prima
Questa sera siamo qui per parlare della nostra tanto amata, agognata e ora abbandonata via più importante ed elegante della nostra Città. Probabilmente non basterà qualche ora, ma se non dovessimo completarla sicuramente ci rivedremo in un’altra occasione. Quando il centro abitato di Piazza iniziò l’espansione dal Monte Mira in basso verso Est, oltre che verso Sud (quartiere Canali), già esisteva il borgo Patrisanto (nei pressi dell’odierna piazza Teatini) fuori le mura. Questo borgo era caratterizzato per la presenza di numerosi edifici religiosi sorti lungo i secoli. I più importanti, senza considerare il convento dei Padri Domenicani poi Seminario Vescovile, erano i due monasteri femminili con le rispettive chiese (delle Clarisse con la chiesa di Santa Chiara e delle Benedettine con la chiesa di San Giovanni Evangelista) e la chiesa di San Lorenzo conosciuta anche come la chiesa dei Teatini e il vicino grande edificio della Casa dei Padri Teatini. A poche decine di metri la Commenda di San Giovanni Battista e poi la chiesa di Santo Stefano. Le 2 vie che collegavano il piano del Borgo (che a poco a poco era diventata la “piazza del Borgo” poi “piazza Maggiore” e dal 1569 piazza Pescara in onore del viceré di allora che la fece sistemare, e dal 1860 piazza Garibaldi) con questi importanti edifici religiosi erano: quella chiamata “stràta â fera” strada della Fiera, per la fiera che si svolgeva ogni anno dal 18 ottobre (giorno che si festeggia S. Luca) sino alla metà di novembre e chiamata appunto Fiera di San Luca oggi via Umberto, e una lunga strada, stretta come la prima, di quasi 200 metri. Questa nella prima parte di circa 50/60 metri (l’odierna via Marconi), per la presenza di numerosi calzolai o cr’v’sèri, come venivano chiamati nella nostra lingua galloitalica, fu chiamata Cas’varìa con tante varianti: Cras’varìa, Creviserìa, Corbisarìa, Cr’v’sarìa, tutte derivanti dal nome iniziale di cr’v’sèri, in siciliano curviseri, derivante dal francese antico courvoisier, derivato a sua volta da corvois, come si chiamava il ‘cuoio di Cordova’, città spagnola rinomata nella lavorazione di ottimo cuoio. Il nome più antico che abbiamo della seconda parte della via di ca. 200 metri, che oggi chiamiamo via Garibaldi è quello de “a stràta du Prìnc’p”. Questo nome iniziò a circolare all’inizio del Settecento, qualche anno dopo la costruzione del palazzo che oggi si trova di fronte il grande edificio delle Suore di Maria Ausiliatrice. Il grande palazzo fu costruito dal piazzese Vincenzo Starrabba Capitano di Giustizia della Città (da considerare come l’odierno Sindaco di nomina regia) barone di alcuni feudi nei pressi di Siracusa (Bimìsca, Belludìa e Scibìni) che nel 1711 ricevette dal Re il titolo di Principe di Giardinelli, un feudo nei pressi di Agrigento. La foto rappresenta il nipote del principe che nel 1756 fondò nel suo feudo di Scibìni l’odierno paese di Pachino. Perciò, i Piazzesi di allora vollero chiamare la strada in quel modo in onore del proprio concittadino Principe. Questo nome lo mantenne sino a quando i Sabaudi ci vennero a “liberare” dai Borboni, da allora si chiama via Garibaldi, come la Piazza, il Teatro e la Villa. Questa via, decennio dopo decennio, divenne assieme alle odierne vie parallele e di uguale larghezza, Mazzini e Umberto, la strada più frequentata e ricca di attività commerciali, soprattutto perché 1°) era una strada quasi pianeggiante al contrario delle prime importanti strade del centro abitato sempre ripide (via Crocifisso, via Monte, via Cavour, via Vittorio Emanuele); 2°) non aveva il gran traffico di carri in entrata e in uscita della via Mazzini, appunto per questo chiamata a Carrèra, ed era più diritta della via Umberto, a stràta â fèra. Si può benissimo dire che divenne presto un prolungamento di tutte le attività commerciali della Piazza Garibaldi in espansione verso la parte fuori le mura a Est verso la “zona nuova delle Botteghelle” tanto che si decise di abbattere la porta di San Giovanni Battista (una delle sette porte della città da me individuate). Non c’era abitante o commerciante o artigiano che non ambiva di avere l’abitazione o un locale, anche se un bugigattolo, con l’ingresso sulla via più schic della Città. Infatti, se la via Mazzini era la strada di passaggio e quindi piena di attività artigianali: falegnamerie, calzolerie, macellai, barbieri, marmisti, gessai, alimentari; se la via Umberto era la strada dei mercanti, soprattutto di tessuti, di scarpe e di terraglia, la via Garibaldi era la strada delle orologerie e gioiellerie, dell’abbigliamento e dei tessuti, delle librerie e delle cartolerie, degli articoli da regalo e dei casalinghi, delle ferramenta e dei mobili, in seguito anche degli elettrodomestici. Senza contare che vi si trovavano, anche se in periodi diversi, due cinema, l’Olimpia (muto) e il Plutia, il miglior ristorante della Città, il Plaza, il Centralino dei telefoni, due tabaccherie, due farmacie, un bar, una gelateria, una fabbrica di gazzose, i primi supermercati, due banche, l’asilo e i laboratori di ricamo, cucito e di pianoforte delle monache Benedettine prima e delle Suore di Maria Ausiliatrice poi. Forse perché non molto larga ci spiega la presenza di una sola chiesa delle 100 cittadine, quella di San Girolamo, poi trasformata in altre attività che vedremo tra poco. Nella mia continua e appassionata osservazione, oltre all’arco Crescimanno col portale gotico-catalano del Quattrocento (come quelli in via Monte, via Mandrascate, piazza Teatini), ho trovato alcune curiosità in questa via: quattro nel primo tratto che va dall’Arco Platamone alla Via Enrico De Pietra e una nel rimanente tratto. La prima si trova al n. civico 36. Si tratta della lapide che ricorda che qui c’era oltre 150 anni fa, un posto di polizia borbonico con relativa camera di sicurezza (piccolo carcere rispetto a quello grande nel castello aragonese). La seconda è la presenza di diversi pilastri di porte d’ingresso a falsa squadra dal n. 50 (dove c’era la Signora Lalletta per intenderci) al n. 58, la terza è l’anno scolpito 1655 sul pilastro destro al numero civico 68 e, su questo, l’anno 1838 sulla trave del balcone al primo piano del palazzo. Infine la data 1762 sul portale d’ingresso al n. 103, quasi a confermare i periodi di espansione verso Est: l’Arco gotico-catalano del 1400, 1655, 1762. (continua nella Parte Seconda)
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