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Cronarmerina - Novembre 2024

Famiglia Cagno

Stemma Cagno¹ nel palazzo di via Marconi
 
La famiglia Cagno, di origine lombarda, risulta presente a Plasia già nel 1237 ca. Nel 1401 si registra Lorenzo de Cagno, 1479 don Arrigo Cagno arcidiacono (alias luogotenente del Vescovo) di Plasia, 1520 Archita de Cagno è iscritto alla Mastra Nobile, 1541/1555 Giulia Cagno è monaca nel monastero delle Benedettine di S. Agata ed è insignita di santità dal Vescovo di Catania. 1557 don Vincenzo di Cagno è Cappellano e Nicola de Cagno è giurato e il suo nome si trova inciso in un piccolo stemma a sx del portareliquie in argento del XVI sec., proveniente dalla chiesa di S. Andrea, mentre a dx è inciso un altro stemma col nome della moglie, Camilla Trigona. 1562 il nobile frate francescano Girolamo Cagno costruisce il cappellone e le cappelle a sud della chiesa di S. Pietro, 1571 Francesco Cagno filosofo, medico, poeta e storico (esiste un suo volume di filosofia del 1541 nella biblioteca comunale), 1584 Blasco de Cagno si sposa con donna Epifania Crescimanno, 1598 le sorelle Elisabetta e Grazia Cagno appartengono al Terz'Ordine Francescano Secolare e sono amiche della famiglia della Serva di Dio suora del Terz'Ordine Francescano Arcangela Tirdera. 1598 Francesco Cagno è il cancelliere soprintendente ai pagamenti dei lavori per la nuova Chiesa Madre, 1607 don Giovanni Andrea Cagno è il preposito che firma l'atto di demolizione del Vescovado, per ampliare la fabbrica della nuova Chiesa Madre. 1610 Gerolamo Gaetano Cagno e, nel 1648, Carlo Cagno sono membri della Compagnia di Gesù. 1651 Tomaso e 1736 Baldassare Cagno sono Padri Teatini, 1655 Anna Maria Cagno è suora nel Monastero di S. Anna, 1752 donna Liboria Trigona e Cagno è baronessa di Montagna della Donna e proprietaria di terre nelle contrade Giacchino e Cannata. 1759 Maria Crocifissa Cagno è badessa del Monastero di S. Giovanni Evangelista e costruendovi il dormitorio, ormai in rovina, lo riedifica a due piani. 1778 Grazia Cagno è proprietaria di terreni a Torre di Pietro e Serracollo. 1816 il dottor Giovanni Cagno e Giuseppe Cagno sono consulenti urbani (consiglieri comunali). Sino ai primi dell'Ottocento nell'odierna via Roma esisteva una casa privata di proprietà dei coniugi Innocenzio Bonifazio e Maria Cagno denominata "Hospitio vocato della Nunciata". La famiglia Cagno, dopo quelle dei Tirdera e dei Miccichè, di cui esiste ancora lo stemma in alto sull'arco, fu la titolare della IV cappella a dx della chiesa di S. Pietro, Pantheon della Città. Oltre allo stemma nella foto, ne esiste un altro inerente a questa famiglia. Si trova in piazza Garibaldi/piazzetta Fundrò, proprio sopra l'entrata dell'odierno Caffè del Centro. È uno stemma tondo diviso in due parti, nella sx è inciso un cane con corona, nella dx lo stemma della famiglia Villanova, probabilmente le antiche famiglie proprietarie dell'edifico nel XVI secolo, prima della famiglia Tirdera. Dopo quest'ultima l'edificio passò al Comune, che poi lo concesse ai monaci Benedettini Cassinesi, provenienti dal borgo Fundrò nel 1612.
 
¹ Alla fine del 2017, consultando il manoscritto Storia di Piazza Famiglie nobili dell'avvocato Alceste Roccella (1827-1908), alla voce "n. 23 Cagno", a proposito del blasone di questa nobile famiglia, si legge "Il blasone di questa famiglia consistea in uno scudo a fondo bianco con una fascia rossa trasversale nel mezzo e nella parte superiore era una stella aurata e nella parte sottostante un cane. La casa baronale de Cagno era nella strada Crivisaria oggi Garibaldi e confinava col soppresso convento dei benedettini fino la via Sette Cantoni". Pertanto, senza alcun dubbio il palazzo è quello con lo stemma nella foto, ma lo stemma non è bipartito assieme a quello dei Trigona nella parte alta, ma è lo stemma esclusivo della famiglia Cagno, senza altre famiglie.
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it    

 

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1781 Turisti tra leggende e verità

Piano Teatini oggi
Un turista eccellente della fine del Settecento ci parla di quello che aveva visto nell'allora Piano Teatini e, a tal proposito, mi sembra opportuno riportare la traduzione dal Calendàri fait ad â ciaccësa di Lucia Todaro dal titolo
"L'égua û görgh nër"
"L'acqua del Gorgo Nero"
 
Il Gorgo Nero era una grande sorgente nel Piano dei Teatini, di acqua nera con la puzza di zolfo. Prima c'era un bosco, la sorgente (chiamata il Vico) e una piccola cappella col dipinto della Madonna, chiamata La Madonna del Gorgo Nero...; poi, negli anni, il bosco sparì, fu costruita una chiesa più grande che col tempo divenne quella dei Teatini; nel piano rimase una croce, sopra un cumulo di pietre. La fontana, dopo, fu sotterrata da sterro. Questa acqua, insieme a quella delle altre due, lì vicino, nei tempi, erano cercate dalle donne per tanti motivi. Se c'era da vedere tra due persone chi diceva la verità e chi no... si gettavano nell'acqua due pezzi di carta: quello che restava a galla era di quello che diceva la verità. E poi l'acqua puzzolente faceva vedere come era composta una donna: se con la puzza dello zolfo... si sconcertava... voleva dire che aveva perduto... l'onore; se era in stato interessante, si sconvolgeva tutta e non poteva più aver figli. L'acqua delle altre due fontane (una era nei pressi della porta di S. Giovanni Battista) faceva questo effetto: se si beveva in una, si diventava fertili, se si beveva nell'altra... subito... si diventava sterili !  

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

 

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Domenicani a Piazza, le prime scuole

Oggi 1 Febbraio, tra i Santi che si celebrano ce n'è uno che a Piazza portò l'Ordine dei Domenicani, il Beato Reginaldo d’Orleans. Nato in Francia nel 1180 diventa collaboratore di S. Domenico e in Sicilia, nel 1218, ottiene il preciso impegno dai Magistrati Urbani di Messina, Siracusa e Placia¹, di avere la concessione di chiese con pertinenze terriere e la costruzione dei locali da destinare ai Monaci Domenicani chiamati anche Padri Predicatori. Questi costruiscono nella nostra Città il loro Convento, un anno dopo la morte di S. Domenico di Guzmàn (1221) dove oggi c’è il Vescovado e il Seminario. Quello di Placia è il secondo convento ad essere fondato dopo quello di Messina e prima di quello di Augusta (ex Xifonia). Nel convento ha sede il primo istituto ad essere aperto sia ai religiosi che ai laici, lo Studio Pubblico, che cura l’istruzione successiva alla Scuola Urbana². I giovani più dotati vengono inviati a conseguire la laurea presso gli “Studi Generali” di Napoli, Bologna e Padova. Nella zona donata dal Magistrato Urbano all’Ordine Domenicano, esiste già la chiesetta della Madonna delle Grazie, un dismesso ospizio, il bosco della Tachùra, nonché i “calcinari o conzerie” lungo il torrente Tacùra. Alla fine del '200 il convento/ospizio verrà ingrandito e allo stesso tempo si darà inizio alla costruzione di una nuova chiesa dedicata a S. Domenico e alla Madonna del Rosario. La piccola chiesa della Madonna delle Grazie verrà compresa nel peristilio del cenobio, rimanendo aperta al culto col nome del domenicano S. Pietro Rosini Martire da Verona (1203-1252), primo martire dell’Ordine Domenicano e compatrono di Napoli, inquisitore contro gli eretici, ucciso da questi mentre era in viaggio per Milano (nella foto l'ingresso alla chiesetta).
 
¹ Come si chiamava Piazza in quel periodo.
² Questa Scuola Urbana era stata insediata nel nuovo centro abitato sin dal 1163 per curare l'istruzione ai religiosi e a qualche nobile laico. La Scuola, diretta da un Arcidiacono, fu voluta dal Vescovo della Diocesi di Catania, a cui apparteneva la chiesa di Sant'Agata proprietaria del nuovo sito su cui era stato eretto il nuovo centro abitato di Placia. In questo modo l'istruzione fu aperta anche ai laici, perché i Normanni consideravano l'istruzione una problematica riservata esclusivamente ai religiosi delle tre etnie presenti in Sicilia, araba, greca e latina. Da considerare che sino ad allora, il centro abitato precedente di Anaor, sul Monte Naone, ricadeva, invece, nel territorio della Diocesi di Siracusa. Successivamente, nel 1332, sarà aperto un altro Studio Pubblico dai Carmelitani quando si trasferiranno dalla sede al Monte nella nuova sul Colle dell'Altacura, nei locali della Commenda lasciata libera dai Cavalieri Crociati Teutonici trasferitisi nel Nord-Est europeo.  
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Porte della Città/dei Catalani

Via Porta Catalano
 
Siamo arrivati alla quinta porta della Città, Porta dei Catalani o Catalana, oggi nei pressi di via Porta Catalano. Dalla Porta dell'Ospedale ci si arriva percorrendo tutta la via Roma (dalla chiesa di S. Barbara a salire prima chiamata Strada dell'Ospedale), arrivati in piazza Garibaldi subito a sx per Largo Capodarso (u Chianu Barun), via Mendozza, via Stradonello, via Porta Catalano. Si percorrono ca. 400 metri, che erano la lunghezza delle mura verso la valle, poi sito del quartiere Canali. Questo quartiere iniziò a essere popolato dal 1396, quando accolse gli abitanti scampati alla morte, dalla distruzione dei due casali Gatta (a pochi chilometri da Mirabella Imbaccari) e Polino (6 Km. ca. a Nord-Ovest da Piazza) ad opera del duca Martino I d'Aragona il Vecchio (1356-1410). In questo periodo il quartiere Canali già era abitato da famiglie di Ebrei che formavano la Giudecca, in fondo al borgo, anch'esso in costruzione, chiamato di S. Maria dell'Itria (gli Ebrei rimarranno per circa un secolo perché verranno espulsi nel 1492). Alla porta venne dato il nome di Catalana perché, proprio in quella zona della nostra Città, che allora era chiamata oltre che Plaza anche Terra Platie, esisteva dal 1383 ca. una nutrita colonia di gente proveniente dalla Catalogna col relativo consolato, l'unico della Sicilia interna. E' bene ricordare che la Sicilia era sotto dominio Spagnolo-Aragonese ormai da un secolo, pertanto era normale che popolazioni spagnole attraversassero il Mediterraneo in cerca di miglior fortuna, in terre sotto il loro dominio. Per circa tre secoli la porta Catalana era una delle due (in una pianta della Città del 1689 ne ho individuata una terza) aperte nelle mura, che cingevano il Monte dalla parte Sud-Ovest. Questa parte di Città insieme al Borgo Vecchio o Castellina, formavano la Città Vecchia, tutto il resto era fuori le mura, che si potevano oltrepassare solo durante il giorno perché la sera, all'imbrunire, venivano serrate. La porta successiva, sempre in senso orario, si trovava percorrendo altri 400 metri, sino ad arrivare a due passi da quella che sino al 1300 era la Chiesa Madre, la Chiesa di San Martino di Tours, protettore dei Normanni.
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Eccovi la V Meridiana

Convento francescano di S. Maria di Gesù, fondato nel 1418
La V Meridiana sotto il portico superiore del Convento
In seguito alla segnalazione di un amico, è stata trovata la V Meridiana di Piazza. E' quella che vedete nelle foto, al piano superiore del portico del Convento Francescano di S. Maria di Gesù. Non è in ottime condizioni come quelle incise sulla pietra di Fundrò, ma si riescono a distinguere le linee e qualche numero. E' ovvio che la meridiana servisse quando ancora non era stata fatta la copertura. Da una mia recente ricerca sui 5 Conventi Francescani di Piazza, mi risulta che i lavori "di riconfigurazione del doppio portico in facciata" del Convento di S. Maria di Gesù iniziarono nel 1578 e si conclusero nel 1624, anno inciso nell'arcata superiore della grande finestra a sx della facciata. Pertanto, questa meridiana sarà di quel periodo, se non prima, quindi potrebbe essere più antica delle altre. Ora rimango in attesa di scoprire dove sarà la VI Meridiana di Piazza.
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Soluz. Aguzzate la vista n. 14

 

Questo era difficilotto da indovinare! 

È il ritratto in altorilievo del medico e matematico Giovanni Francesco de Assaro (m. 1593) presente nel sarcofago nella cappella di famiglia, la prima a sx, della Chiesa di San Pietro. Il nobile padre di Laura, poi andata sposa al barone Marco Trigona, viene ricordato anche perché, prima di firmare la pace imposta dal viceré de Vega col futuro suocero, Giovanni Francesco Trigona, nel 1555 nella Chiesa Madre di Plaza, aveva fondato al Monte, nei pressi dell'odierna via Milazzo, il Ritiro delle Donne Pentite e Ripentite (a Palermo, in via Divisi, in quel periodo nasceva un analogo ritiro, quelle delle Repentite, da "Ree Pentite" prostitute diventate monache). Altra opera benefica fu quella di aiutare finanziariamente, nel 1590, l'Orfanotrofio di Santa Maria degli Angeli, sito nell'odierna via Orfanotrofio, trasferitosi 150 anni dopo, accanto alla Commenda di San Giovanni Battista.

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Ricordi d'inverno

Inverno
***
C’è freddo lassù, su quei monti
coperti d’un bianco mantello,
c’è freddo là presso le fonti
ov’esita il timido agnello.
 
Il gelo già spezza quei rami
 che persero tutte le foglie;
di tutti i più piccoli stami
le tremule piante son spoglie.
 
Un pallido raggio di sole
appare nell’etere bianco,
racconta la nonna le fole,
ma l’occhio suo languido è stanco.
 
C’è freddo nel cuore di tutti
sopiti in un dolce tepore,
due animi ardon fra tutti
che scalda la fiamma d’amore.
 
                  Salvatore Tigano
 
Piazza Armerina 18/01/1956
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Doveroso da parte mia

Campo di concentramento di Dachau
Oggi mi è sembrato doveroso fare una ricerca in Biblioteca Comunale, per trovare i nomi dei nostri concittadini che hanno vissuto questa terribile esperienza nei campi di concentramento. Questo è il minimo che io possa fare, mettere i loro nomi per ricordarli:
 - TREBASTONE Calogero, coltivatore diretto, nato a Piazza A. il 23/07/1922, deportato a Dachau nel Settembre 1943, trasferito a Mauthausen nel Dicembre dello stesso anno, muore il 31 Marzo 1945.
- MONASTERI Filippo, bracciante agricolo, nato a Piazza A. l'8/8/1911, deportato a Dachau nel Settembre 1943, muore a Piazza A. nel 1989.
- RESTIVO Domenico, minatore e bracciante agricolo, nato a Piazza A. il 10/10/1922, deportato a Buchenwald nel Giugno del 1944, muore a Piazza A. nel Settembre del 1992.
- ROCCAZZELLA Rosario, sarto e coltivatore diretto, nato a Piazza A. 13/10/1916, deportato a Buchenwald nel Febbraio del 1945, muore a Piazza A. nell'Aprile del 1975.
- MILITELLO Rosario, falegname, nato a Piazza A. il 14/4/1925, internato a Bolzano, deportato a Mauthausen nel Gennaio del 1945, sopravvissuto di cui non si sa se attualmente in vita.
- ARNO Carmelo, pastore, nato a Piazza A. il 13/2/1919, giunge a Dachau nel Settembre del 1943, non si sa se deceduto nei lagher o se sopravvissuto al 1945.
- DOMINA Liborio, muratore, nato a Piazza A. il 24/12/1916,deportato a Dachau nel Settembre del 1943, a Mauthausen nell'Agosto del 1944, non si sa se deceduto o se sopravvissuto al 1945.
 
*Fonte della ricerca: Giovanna D'AMICO, I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945, Sellerio editore, Palermo, 2006.

 

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Mostro di una Culòvria!

La Culòvria nella vasca abbeveratoio dell'Altacura
La Culòvria in un'aiuola alla Villetta Ciancio o Villetta Roma
La Culòvria (in tutto il suo spendore!) al Chiostro dei Gesuiti


Il termine Culòvria (o Culòrvia, Culòfria, Culòfia, Culòvia, Culòriva, Culòrva, Biddìna, dipende dalla provincia siciliana) è in genere riferito alle grosse femmine della Natrìce (volgarmente: biscia dal collare), mentre nel vocabolario di Fonti troviamo Còlubro, che in Wikipedia è chiamato Còlubro lacertino o Còlubro di Montpellier (Malpolon monspessulanus). Questo è un serpente non sempre velenoso, ampiamente diffuso nella regione mediterranea. Appartenente alla famiglia dei colùbridi (Colubridae) è il più grande serpente opistoglifo (che possiede denti scanalati nella regione posteriore dei mascellari) europeo. Questo grosso serpente, in alcuni esemplari adulti, può superare i 220 cm di lunghezza, sebbene di norma sia più piccolo e raramente superi i 180 cm, quindi non raggiungono le dimensioni di cui parlano i contadini. Diciamo che in Sicilia trovarne una superiore ai 150 cm è quasi un’impresa, e quindi sono spesso soggetto di dicerie ed esagerazioni. Le sue dimensioni considerevoli, consentono al còlubro lacertino, di catturare una gran varietà di prede, sebbene le preferenze varino in base all'età e alle dimensioni stesse degli individui: da giovane l'alimentazione si basa su lucertole e piccoli sauri, ma crescendo la dieta si arricchisce di sauri più grossi, topi, ratti, uccelli di terra e addirittura conigli, catturati all'interno delle loro tane. A Piazza esiste una¹ scultura in pietra raffigurante una culòvria cavalcata da un putto alato. La scultura era posta nella fontana-abbeveratoio dell’Altacura, nel sito odierno del distributore di benzina (nella foto in alto appare già mancante di putto alato). Quando la fontana fu eliminata, la scultura fu spostata nella prima aiuola (foto in mezzo) di fronte l’entrata della Villetta Ciancio (o Villetta Roma) rimanendo sino al 1980, finché, sindaco di Piazza Ignazio Furnari, fu trasferita nel chiostro dei Gesuiti (Biblioteca Comunale) dove si trova ancora nell’angolo a sx (foto in basso). Per finire non si può non parlare della Biddìna (dall’arabo grosso serpente d’acqua). Con questo termine si voleva intendere un mostro terribile con bocca e occhi rossi, un piccolo drago o serpente di diversi metri, con una mole tale da poter inghiottire in un solo boccone un agnello o addirittura un piccolo uomo. Numerosi i racconti legati a questo rettile-mostro, soprattutto da parte di anziani, che nelle serate invernali intrattenevano i loro nipoti che ascoltavano con gli occhi sbarrati, al posto di TV, PC, DVD, DDT e video giochi vari.

 
¹ In un primo momento voci di anziani avevano fatto credere che le sculture fossero due.
 
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Famiglia Branciforti

D'azzurro al leone coronato d'oro sostenente con le gambe del davanti uno stendardo rosso, astato di nero, caricato da tre gigli d'oro, svolazzante a sinistra. Nella punta a destra due zampe mozzate d'oro poste a croce di Sant'Andrea


L’antichissima famiglia Branciforte/i venne in Italia verso l’anno 800 al seguito di Carlo Magno da cui ricevette la città di Piacenza, dove il Casato si distinse per onore e grandezza. Nel 790 Obizzo, alfiere generale delle milizie carolinge, subisce l’amputazione delle mani a difesa della bandiera, per la quale gli vale l’appellativo di De Branchiis Fortibus, da allora chiamato Obizzo Branciforti, ricambiato con Terre e Castelli nel Piacentino. Nel 1300 da Piacenza la famiglia arriva a Platie e Stefano è il I barone di Mazzarino e Gallizzi nonché maestro razionale del Regno. Subito dopo Raffaello è il II barone di Mazzarino e castellano di Piazza. Nel 1398 Nicolò I conte di Garsiliato IV barone di Mazzarino e capitano di Plaza, diventa barone del Casalotto e di altri 9 feudi. Gli eredi, in seguito ad acquisti e a matrimoni, diventano titolari anche dei feudi: 1415 S. Cono e Gibiliusi, 1540 ca. Tavi (poi Leonforte), Melilli e Cammarata, 1550 Castiglione, 1556 Fessima e Pietratagliata, 1591 Barrafranca, Militello, Terra di Occhiolà (poi Grammichele), 1600 ca. Butera, Pietraperzia, 1610 Tavi-Leonforte (con Nicolò Placido I Branciforti fondatore), 1676 Terra di Occhiolà (diventa Grammichele con Carlo Maria Branciforti fondatore). Nel 1598 Francesco Branciforti permuta il borgo Casalotto con i giurati di Platea, in cambio dei diritti sulle acque del fiume Gela per i suoi mulini posti sotto Mazzarino. Nel 1638 Ottavio Branciforti è il vescovo della Diocesi di Catania, della quale Platea fa parte, e visita la Città. Questa famiglia, insieme a poche altre (4 o 5) residenti a Piazza, è fondamentale per l'evolversi della vita civile e militare di tutta la regione, a iniziare dai secc. XV e XVI.
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