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Cronarmerina - Aprile 2025

Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/11

Mons. Michele Pennisi XI vescovo della Diocesi di Piazza Armerina dal 2002 al 2013

Ricordi e fatti inediti/11

Alla ricerca del nuovo Vescovo per Piazza Armerina
Nel 2002 con la dipartita del X vescovo di Piazza Armerina, Mons. Vincenzo Cirrincione, la Diocesi, per così dire, rimase orfana del grande padre. Sia il clero che i diocesani non avevano idea di chi potesse fare il nuovo capo della chiesa locale, allora informarono P. Carmelo della situazione che si era venuta a creare in Diocesi e a Piazza Armerina. Egli assicurò che avrebbe fatto del suo meglio per donare un buon pastore alla sua diocesi di origine. In quel periodo P. Carmelo insegnava al Pontificio Istituto Orientale, dove i sacerdoti più meritevoli frequentano l'università per poi diventare, possibilmente, vescovi. Proprio lì aveva conosciuto il sacerdote Michele Pennisi, originario di Caltagirone (CT) poco distante da Piazza Armerina. Gli parlò e gli chiese di accettare la nomina a vescovo per la diocesi di Piazza, che aveva tanto bisogno di un personaggio degno di rivestire tale importante incarico. Il nostro aspirante vescovo accettò e diede la sua disponibilità. P. Capizzi allora informò l'autorità di competenza in Vaticano e il futuro vescovo fu nominato ufficialmente tale. In seguito avvenne la consacrazione nella Cattedrale di Piazza Armerina. In quei giorni mi trovavo in ferie, anzi, il giorno della consacrazione, avevo deciso di rientrare a Belluno, ma mio fratello, telefonicamente, mi pregò di assistere alla cerimonia, considerando il fatto che lui non poteva partecipare per questioni di salute (infatti da lì a qualche mese venne a mancare). Quel giorno per Piazza Armerina è stata una grande festa, la Cattedrale era stracolma di persone, c'erano tante autorità religiose e civili, tra cui tre cardinali e alcuni vescovi. Finita la cerimonia ritornai a casa anche un po' stanco e il giorno seguente ritornai a Belluno.

Lettera a sua Eccellenza Vescovo della Diocesi di Piazza Armerina
Eccellenza Monsignor Vescovo,
sono Salvatore Capizzi, fratello del compianto Gesuita Padre Carmelo, io vivo nel bellunese da circa 5Oanni, sono un sottufficiale dell'Esercito in pensione. Visitando il sito internet del Comune di Piazza Armerina, ho notato che tra i personaggi illustri della città non esiste il nome di mio fratello. Credo che Lei abbia conosciuto Padre Carmelo Capizzi e sia informato di quanto lustro ha dato al suo paese natio a Roma e in Italia con le sue opere religiose, letterarie e universitarie. Da ricordare anche quanto ha fatto per Piazza, che era intenzione del capoluogo della Provincia (Enna) di spogliare la città dei vari servizi e della stessa Diocesi, per trasferire tutto nel Comune di Enna. Mi rivolgo a Lei con fiducia, sperando di vedere al più presto il nome di mio fratello tra i personaggi illustri di Piazza Armerina, magari anche dedicandogli il nome di una via o piazza.
Nel ringraziarla  per quanto Lei potrà fare Le porgo cordiali saluti, Salvatore Capizzi, Limana, 04 agosto 2010.

Carmelo da giovane aveva un sogno
Carmelo da giovane aveva un sogno nel cassetto: fare il missionario. Fra tutte le cose che mio fratello avrebbe voluto fare, c'era la possibilità di fare il missionario. Egli avrebbe voluto girare il mondo per conoscere  la vita e i costumi dei popoli e nello stesso tempo mettere in pratica la sua missione che era quella di convertire al cattolicesimo le persone, ma tutto ciò non gli fu permesso e il motivo e presto detto. I superiori non ritennero necessario mandarlo in giro per il mondo ma tenerlo in Italia e quindi in Europa, dove la sua presenza era più utile e redditizia, sia per lo studio che per l'insegnamento. Da ciò si capisce che il nostro sacerdote non aspirava a una vita comoda e tranquilla, ma era sempre pronto a sacrificarsi per gli altri e per la gloria di Dio. Infatti da quando egli si era ammalato di cuore ed era stato operato di bay-pass (4 per la cronaca), lavorava sempre di più, non si risparmiava e non si fermava mai, come risulta dai vari documenti. Fino a quando il suo cuore cedette definitivamente il 5 dicembre del 2002.

continua in Racconti inediti su P. Carmelo Capizzi/12

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No alla chiusura dell'ospedale

NO AL DEPOTENZIAMENTO DELL'OSPEDALE E ALLA CHIUSURA DEL PRONTO SOCCORSO
Comunicato Stampa
L' UFFICIO PER L'ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, le Associazioni UCIIM, FIDAPA, CIF, QUARTIERI STORICI, LEGAMBIENTE di PIAZZA ARMERINA, ITALIA NOSTRA, ARCHEO CLUB, AIAS, UNIVERSITA’ DEL TEMPO LIBERO “I. NIGRELLI”, ROTARY CLUB,POLISPERTIVA ARMERINA(PALLAVOLO) TEAM 79, GROTTACALDA e FUTURA(BASKET), NEXT LEVEL (CALCIO) e ARMERINA CALCIO  riuniti in Assemblea Straordinaria, presso i locali della nuova Curia, allarmati dalle notizie di stampa, facendo tesoro dell'apprensione e preoccupazione dei Vescovi della Sicilia,
DENUNCIANO il tentativo maldestro, tutt'ora in corso, di depotenziare le strutture sanitarie in Sicilia, ivi compreso quello del Pronto Soccorso dell'Ospedale Civile "Chiello" di Piazza Armerina, negando, così, il diritto alla salute dei cittadini, garantito dalla Costituzione Italiana,
FANNO APPELLO altresì, alle competenti Autorità Cittadine, Provinciali, Regionali e Nazionali, affinché sia scongiurato questo infelice tentativo, "giustificato" da esigenze di mera razionalizzazione della spesa sanitaria nazionale. Ciò, in quanto non si tiene conto, ad esempio, delle precarie condizioni della viabilità nella Sicilia interna, nè, tanto meno, della presenza nel territorio dei numerosi turisti, provenienti da ogni parte del mondo, oltre 600 Mila, che ogni anno visitano il centro storico e i rinomati mosaici della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, dichiarati patrimonio UNESCO, fin dal 1997. Nonché della presenza del carcere mandamentale, i cui ospiti resterebbero del tutto privi di struttrure sanitarie, a cui hanno pieno titolo, in eventuali situazioni di emergenza. Platealmente, si ignora e disattende, inoltrre, la doverosa tutela della salute dei cittadini dei centri viciniori, quali Aidone, Barrafranca, Mirabella Imbaccari, Pietraperzia, Raddusa, S.Cono e Valguarnera. Fanno proprio il documento della Conferenza Episcopale Siciliana, in cui si afferma, perentoriamente, che «il depotenziamento delle strutture sanitarie in Sicilia che garantiscono ai cittadini il diritto alla salute e la paventata chiusura di alcuni presidi ospedalieri, destano apprensione e preoccupazione», auspicando «che i criteri di riorganizzazione della sanità siano ispirati alla dignità della persona umana, salvaguardando le zone disagiate e periferiche della nostra regione» e non da parametri, esclusivamente, economici di risparmio.
Per il Comitato Don. Antonino Scarcione, Piazza Armerina, 15-09-2016

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Edicola n. 42

Questa è l'Edicola Votiva n. 42 ed è quella situata in via Villarosa che collega via Castellina con via S. Giorgio, nella parte bassa del quartiere Castellina. La nicchia dove si intravedono, oltre a un vasetto con fiori in plastica, due statuette di gesso, quella a sx la Madonna dell'Immacolata Concezione e a dx, più grande, la Madonna con Bambino, è stata ricavata su un muro di una casa (o garage) a un solo piano e, devo dire, che è tenuta bene avendo pure uno sportellino in ferro col vetro. Però, guardandola bene da vicino mi sono accorto che come sfondo c'è un quadro fatto a mano e firmato, S. S... 12/10/1995, (non so dirvi se a olio) che rappresenta San Giorgio che uccide il drago. Ovviamente è chiara la coincidenza, in quanto quella zona di Piazza è chiamata San Giorgio, perché appunto lì esisteva una chiesetta dedicata a quel Santo. A pochi metri da questa edicola prima c'era un antico abbeveratoio di cui non si sa che fine abbia fatto e non si hanno nemmeno foto. Da questo abbeveratoio iniziava la zona chiamata riàna, il canale oggi sotterrato, che raccoglieva le acque nere assieme a quelle del torrente Rocca proveniente dall'alto del quartiere Casalotto, per convogliarle verso l'Indirizzo con destinazione il mare di Gela.

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Dolce ma spinosa

Non c'è niente da fare, il ficodindia per noi Siciliani è un frutto che ci ispira così tanto che lo vedrei come stemma sulla bandiera della nostra Isola. Potrebbe essere una proposta (indecente?) tra le altre da fare a Palermo. Questa volta il frutto sacro agli Aztechi ha ispirato una poetessa piazzese sino ad ora sconosciuta ai più.

Dözza Sp’nusèdda

Sign’ dözza e savurösa,
sp’nusèdda, rascòsa rascòsa,
cu pènza a mi pènza a S’cìlia sciurösa
cìna d culöri e sciampagnösa.

Fui p’ tant’anni u “Pàngh di Puv’rèddi”
cunurtànn’s d f’cud’nèddi:
mattìna, mad’giörn e ‘mpùru a sera
prima d cum’nzè a travagghiè arrèra.

Sanguègna, Muscarèdda e Surfarìna,
cösti i qual’tà da f’cudìna;
u bèu sö d stà tèrra i matùra
e di so sciùri ogn bàggh s culöra.

Cöst è u frùtt savurös e profumâ
u ciù mèggh ch’ poi truvèr zzà.

Maritena Cremona


Traduzione

Dolce Spinosetta

Sono dolce e saporita,
spinosetta, pungente pungente,
chi pensa a me, pensa alla Sicilia profumata
piena di colori e briosa.

Fui per tanti anni il “Pane dei Poveri”
consolandosi di ficodindia:
mattina, mezzogiorno e pure al sera
prima di cominciare a lavorare di nuovo.

Sanguigna, Muscaredda e Surfarina,
queste le qualità del ficodindia;
il bel sole di questa terra li matura
e dei suoi fiori ogni baglio si colora.

Questo è il frutto saporito e profumato
il migliore che puoi trovare qui.

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Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/10

Ricordi e fatti inediti/10

A pochi giorni dalla morte del X Vescovo della nostra Diocesi Mons. Vincenzo Cirrincione, morto il 13 febbraio 2002, il Padre Gesuita piazzese Carmelo Capizzi esprime, sulla rivista dell’Ordine La Civiltà Cattolica, tutte le sue perplessità al perenne “pio sogno” degli Ennesi per avere la Diocesi nella loro città.  
«La diocesi di Piazza Armerina e un pio sogno di Enna, Marzo 2002 - La morte di Mons. Vincenzo Cirrincione (13 febbraio ultimo scorso) ha lasciato la diocesi di Piazza Armerina “vedova”. In questi giorni di “vedovanza” (con termine tecnico si direbbe “sedivacanzaa”), un giornalista ennese torna a ripetere che a Enna si accarezza un vecchio sogno: come capoluogo di provincia essa dovrebbe avere finalmente la sua diocesi. Ne avrebbe un diritto sacrosanto, pensa ed insinua il predetto giornalista anche se non lo dice apertamente. Qualche anno fa, invece, un suo èmulo fu più esplicito e patetico, anzi più categorico, nel proclamarlo. Naturalmente, la diocesi di Enna dovrebbe essere quella di Piazza Armerina, ottenendo, come primo passo, la nomina di Enna a con-cattedrale di Piazza. Poi verrebbe il resto per via di eliminazione. L’argomento ribadito dal nostro giornalista a questo proposito è uno solo e tutt’altro che nuovo. Enna, come egli ha ripetuto alcuni giorni fa, sarebbe in Italia “l’unico capoluogo di provincia che non ha sede vescovile” (La Sicilia, domenica 17/2/2002, art. "IN ATTESA DELL’11° VESCOVO"). Sia detto una volta per tutte: tale argomento è semplicemente falso e forse fondato su una velata dimenticanza (non diciamo ignoranza) dei fatti. Come appare da un testo ufficiale riedito ogni anno in Vaticano, l’Annuario pontificio, in Italia abbiamo non solo numerose sedi diocesane, che non sono capoluoghi di provincia, ma anche un certo numero di capoluoghi di provincia che non sono sedi diocesane. Se ne contano sei: Imperia in Liguria; Verbania – Pallanza in Piemonte; Varese, Sondrio e Lecco in Lombardia; Pordenone nel Friuli. Dunque Enna non è sola, ma … in buona e onorata compagnia. Su che cosa si fonda la predetta affermazione così ignara dei fatti? Che cosa suggerisce a Enna (più esattamente: a certi circoli ennesi insaziabili di potere) un’ambizione presentata piamente come aspirazione di “moltissimi cattolici”? Soddisfare questa aspirazione comporterebbe una nuova spogliazione truffaldina della “Città dei mosaici” a tutto vantaggio di un capoluogo, imposto alla Sicilia centro-meridionale da Mussolini per odio a Don Luigi Sturzo, già esiliato in Inghilterra, e a suo fratello Mario, vescovo appunto di Piazza Armerina fin dal 1903. Chi non è digiuno di storia locale sa infatti che nel 1926 la patria dei Trigona, uno dei casati più ricchi e potenti di Sicilia, di Prospero Intorcetta, primo traduttore in latino delle opere di Confucio, e dei generali Giuseppe Ciancio, comandante geniale del XIII Corpo d’Armata sul fronte Giulio, e Antonino Cascino, medaglia d’oro al valor militare, aveva undici mila abitanti in più della Castrogiovanni di allora. Soprattutto sa che era capoluogo del Distretto, del quale la futura Enna era semplicemente uno degli otto comuni componenti, sprovvisto di tanti uffici che Piazza Armerina già aveva da secoli. La risposta alle domande che abbiamo poste sarà sgradita a qualcuno, ma è facilissima e non ammette repliche. Il preciso “diritto” di Enna ad avere una diocesi propria si fonda su una premessa giuridica illusoria, mai esistita, cioè sulla necessità istituzionale di far coincidere in Italia il capoluogo di provincia coi capoluogo di diocesi. Nel Concordato del 1929 tale necessità non fu per nulla riconosciuta, ma si previde soltanto la convenienza di attuare, possibilmente, la predetta coincidenza caso per caso e sulla base di negoziati bilaterali delle due “Alte Parti contraenti” (art. 16). Le gravi difficoltà oggettive della materia e gli sviluppi politici generali susseguenti al 1929 resero lettera morta questo articolo del Concordato. Non se ne fece nulla. Il nuovo Concordato concluso il 18 febbraio 1984 è stato più spiccio: ha ignorato quella convenienza, stabilendo che “la circoscizione delle diocesi e delle parrochhie è liberamente determinata dall’autorità ecclesiastica” (art. 3 § 1). Le provincie sono dunque ignorate. In altre parole, la Chiesa e lo Stato italiano si sono mantenuti sempre più liberi di agire nel proprio àmbito circa le provincie e le diocesi, e la Chiesa ha rimaneggiato le diocesi (per lo più riducendole di numero) senza tener conto delle provincie. Essa ha dovuto badare non solo a tradizioni locali antichissime e molto complesse, ma soprattutto a motivi di convenienza pastorale, uno dei quali è la centralità e la facilità di accesso del capoluogo della diocesi rispetto al suo territorio. Ora tutti sanno che Piazza Armerina è al centro della sua diocesi e accessibile da ogni lato. Enna appollaiata e isolata su un terrazzo a 931 metri d’altezza sul mare, senza contare le difficoltà del suo accesso e i rigori del suo clima, verrebbe a trovarsi alla periferia nord della diocesi e sminuirebbe fortemente la funzionalità pastorale della curia vescovile allontanandola soprattutto dalla fascia meridionale (Niscemi, Gela, Butera, Riesi e Mazzarino), che comprende circa i due terzi della popolazione diocesana. Donde appare evidente l’inconvenienza, per non dire l’insipienza, del trasferimento sognato da certi circoli ennesi per puro amore di campanile. Tutti sanno o dovrebbero sapere che Enna, abusando con accanito egoismo delle istituzioni provinciali regalatele alla cieca da Mussolini, pratica fin dal 1926 verso Piazza Armerina la politica cinica del “mors tua vita mea”. Riflettendo su tante discriminazioni, emarginazioni e boicottaggi aperti o segreti, si ha l’impressione che Platia delenda! Sia il motto principale degli ambienti provinciali di Enna. Essi del resto, dimostrando un’ammirevole concordia e abiltà quando si tratta di trasformare in propri manutengoli e docili marionette certe “autorità” dello stesso Comune di Piazza Armerina, spesso, a quanto pare, politicamente ricattate e ingannate, e più spesso ancora comprate sottobanco col solito piatto di lenticchie. Quei circoli, in ogni caso, dimenticano la genesi problematica, per non dire autoritaria e losca, della provincia di Enna, che, a conti fatti, esercita solo una funzione parassitaria ed erosiva sui Comuni che la compongono: la funzione di un cancro istituzionale coltivato sulla pelle della povera gente. Lo confessò, apertamente, circa quindici anni fa, un suo sindaco democristiano, che nel frattempo ha fatto carriera. Del resto chi ha gli occhi e giudizio sano si domanda: perché mai la ex-Castrogiovanni, in 76 anni di godimento dei privilegi di capoluogo di provincia è riuscita soltanto a bloccare il suo territorio provinciale tra le aree più povere e depresse d’Italia? Perché mai la popolazione di Enna da circa 27.000 abitanti del 1926 si è fermata soltanto ai circa 28.300 abitanti di oggi? Ragusa, invece, fatta capoluogo di provincia nello stesso anno, ha almeno raddoppiato la sua popolazione, che oggi conta circa 75.000 abitanti effettivi. Data la posizione topografica di Enna, è superfluo porsi problemi di sviluppo urbanistico in vista di uno sviluppo globale della provincia. La costruzione di Enna Bassa è un ripiego disperato e per più versi un palliativo dispendioso, data la distanza e il dislivello che le separa dalla vecchia Castrogiovanni, dove si trovano gli uffici, le chiese, i conventi, il carcere e il cimitero. E finalmente ci si domanda per qual motivo Enna tenga gli occhi cupidi puntati sulla diocesi di Piazza Armerina e non su quella di Nicosia, che rientra ugualmente nel suo territorio provinciale, chiamato pomposamente “l’Ennese”; perché, infine, imitando gli islamici nel trattare i cristiani, Enna non sappia che cosa sia la reciprocità. Vuole da Piazza l’onore di essere sua con-cattedrale, ma non vuole restituirle o concederle nessun ufficio e nessuna risorsa di con-provincia, anzi cerchi di impoverirla, soffocarla e degradarla in tutti i modi. La gente di Piazza è costretta a inerpicarsi dispendiosamente a Enna per tanti servizi che potrebbe avere (e, fino a pochi anni or sono, aveva) a casa propria. Peggio ancora, la gioventù piazzese è costretta ad emigrare sottraendosi all’asfissia economica e occupazionale ormai cronica. Si pensi, ad esempio: Enna ha impedito che a Piazza Armerina si aprisse una sede distaccata dell’INPS, e l’ASL di Enna impedisce tuttora che lo stesso ospedale nuovo di Piazza Armerina abbia una sala di rianimazione. Tutti fatti e interrogativi lasciano indovinare la vera natura del pio sogno di certi ennesi, la cui gloria consiste soltanto nel farsi grandi riducendo Piazza Armerina a un paesaccio senza importanza, nonostante la splendida Villa Romana del Casale, la rara bellezza del suo sito e della sua struttura urbana, e l’apertura recentissima della Facoltà di Scienze del Turismo. Ma cambierebbe rotta politica e crescerebbe in efficienza amministrativa Enna, se – tanto per fare un'ipotesi – vi si trasferisse una sede diocesana? Dopo 76 anni di triste esperienza, tutto induce a dubitarne, se non a rispondere francamente di no. Carmelo Capizzi».

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U bèu Palazzètt da B'ddìa

Com'era il Palazzetto dello Sport "Giuseppe Sammarco" prima del crollo nel 1988

Com'è oggi il Palazzetto dello Sport in c.da Bellia

Per tutti i Piazzesi sportivi e non, il crollo del Palazzetto di Piazza Armerina in contrada Bellia, intitolato all'avvocato Deputato Regionale nonché Sindaco della nostra Città On.le Giuseppe Sammarco, fu come un fulmine a ciel sereno. Nessuno, mai e poi mai, si sarebbe aspettato questo vero e proprio cataclisma sportivo in un paese da sempre affamato di strutture sportive di un certo livello. Nonostante la presenza di squadre di pallacanestro e di pallavolo militanti in campionati maschili e femminili di indubbia importanza a livello regionale e nazionale, mai Piazza aveva avuto nel suo territorio una struttura così funzionale, accogliente ed efficiente, anche se veniva criticata la distanza dal centro abitato. Era invidiata da tutti gli sportivi ospiti, soprattutto dopo l'installazione del parquet in legno che ne aveva arricchito l'estetica, proteggendo finalmente le articolazioni dei giocatori agevolandoli negli spostamenti limitandone i traumi. Chi vi scrive ha avuto il piacere di giocare, di allenare, di arbitrare e di assistere a incontri memorabili, sino alla sera precedente alla catastrofe. Mai si è venuta a sapere con certezza la causa reale del crollo avvenuto il 5 luglio del 1988, nessun colpevole forse "perché il fatto non sussiste" come si vede nella foto! E, come al solito, "còm vol Déu" continua a "piovere sul bagnato". Fatto sta che dopo l'installazione di un grosso aspiratore sulla sommità della cupola più grande, per eliminare l'umidità durante i match affollati, la struttura costruita nel 1978 con la tecnica del pallone che gonfia una rete metallica colma di cemento, implose. Per questo motivo di condensa, già esisteva una calotta in vetro-resina, come quella che si vede sulla cupoletta accanto degli ex spogliatoi, di m 3,5 di diametro compreso il telaio, che veniva alzata e abbassata all'occorenza con un motorino elettrico, ma si ritenne che non bastasse, infatti si scivolava di continuo. Se la grande cupola fosse ceduta su se stessa un giorno prima, saremmo rimasti in oltre 400 tra le macerie. Non ci sarebbe stato bisogno di estrarci dalle rovine, troppo costoso e pietoso. Sarebbe bastata una colata di cemento (anche depotenziato, come si usa dalle nostre parti) coperta dalla solita lapide, con i nomi degli ex sportivi ed ex spettatori rimasti lì sotto, per le future commemorazioni con i soliti pianti e discorsi di rito. Ed ecco che il nostro poeta pochi giorni dopo l'accaduto, ancora esterrefatto e scioccato, scrive questa poesia in galloitalico a futura memoria. Ancora oggi u bèu palazzètt è lì, crollato e mai ricostruito, a fare "bella mostra", e non posso fare a meno di guardarlo amaramente quando vado a farmi la solita partitina a tennis sui campi limitrofi. Un altro esempio di inettitudine piazzese... se ce ne fosse stato bisogno.

U Palazzètt du sport

Avev’mu ‘npalazzètt ch’era ‘namör,
Cu s’ f’r’màva ddà föra a talièlu,
Sbarraccàn l’öggi, s’ fasgèva u cör,
‘Ntrasèn’ggh pöi truvàva ‘ngiòiellu:

‘Mpav’mént ch sp’cchiliàva com l’ör,
Tr’bùni v’stùi d ddègn r’f’nù
Furmàv’nu döi pàlchi d’anör
Unna s’tà non t’ r’fr’ddàva u cù.

Fu fàit pi mèr’ti di nostri atléti
Ch giuàv’nu ‘ntémp all’ègua e o vént,
Èra u vantamént di ciaccësi tutti
E a ‘nvìdia ntâ S’cìlia e o Cunt’nént.

Ch ggh l’avèva désg’anni d vìta!
O cìncu d giugnétt all’impenzàda,
St’ bèu palazzètt, stànch d stè addrìtta
Trabuccà còm ‘nscècch fràcch ntâ cianàda.

Appèna u sèpi, ch m’ pars vèru:
<<S’ ggh su ancöra addrìtta costruziöi
ch s r’gòrd’nu o Cònti Ruggèru,
e st’òpra d’avànt’aièr cad aöi?

Ma chi ggh scattià ‘na bòtta d vént?
O ch fu ‘na scòssa d t’rr’mòt!>>
I pumpéri ch stànu ddà acànt,
Cu dd bòtt, u p’gghiànu böngh u mòt.

Vulèva èss punt’ddà st cubulöngh
E ggh ‘mp’nnìnu ‘ncantàr d ddampiöi
E a fìna, u mutör pa v’ntulaziöngh
D cu nan èr’nu stìgghi söi.

Nan cadì p’cöss! Ghhià dèss a casiöngh
‘Nasg’ddàzz röss ch s ggh puzzà,
Avénn a r’s’tènza du cartöngh,
U tètt nan pot ciù e s scaccià.

Öra putöma dì ch f’nì bòna,
S’ non s ggh truvà nudd dda s’ràda,
Cèrt fu u vulèr da nòstra Patröna
A scungiurè u p’rìcu da fr’ttàda.

S’alivòti a gaddìna fa l’ov vàpr
Nan è ch s’àda purtè a da féra,
‘N st’ mönn gghè cu s’ röd u ddàbr
E cu ‘mp’dùgghia da mattìna a séra.

Öra tutti niàuti n’auguröma
Ch nan su scòrd’nu st palazzètt,
Ch s’ ‘nterèssa ‘mpèzz ross d Ròma
E chi sportìvi pònu avér r’zzètt.

Sìddu u fànu fè, nan v’avè cunfönn
P’ decìd còm àda v’nì st tètt,
S’ non s tròva nudd cu sa fè tönn
Annèv’n o s’cùr, fasgèlu rètt!

S’àda annè pèrs, gghè l’ov du sciànch ch’è böngh,
Jé d’sgèss d sfrutèlu còm s po’,
v’dè sìddu u putè p’gghiè sangh sangh
E purtèlu o paìs, p’ p’sciarö!

Francesco Manteo
 
Traduzione

Il palazzetto dello sport
Avevamo un palazzetto che era un amore,
Chi si fermava là fuori a guardarlo,
Spalancando gli occhi, si rincuorava,
Entrandoci poi, trovava un gioiello:

Un pavimento che splendeva come l'oro,
Tribune rivestite di legno rifinito
Formavano due palchi d'onore
Dove seduto non ti raffreddava il sedere.

Fu fatto per i meriti dei nostri atleti
Che giocavano un tempo sotto l'acqua e il vento,
Era il vanto dei piazzesi tutti
E l'invidia in Sicilia e al Continente.

Che ce l'aveva dieci anni di vita!
Il cinque luglio all'improvviso,
Questo bel palazzetto, stanco di stare all'impiedi
Cadde come un asino fiacco nella salita.

Appena lo seppi, che mi sembrò vero:
<<Se ci sono ancora in piedi costruzioni
che risalgono ai tempi del Conte Ruggero,
e quest'opera dell'altro ieri cade oggi?

Ma che vi s'abbattè un colpo di vento?
O fu una scossa di terremoto!>>
I pompieri che stanno lì accanto,
Con quel botto presero un gran spavento.

Occorrevano i sostegni per questo cupolone
Ma vi appesero un quintale di lampioni
E alla fine, il motore per la ventilazione
Da chi non aveva tanta esperienza.

Non crollò per questo! La causa gliela diede
Un uccellaccio grosso che vi si posò,
Avendo la resistenza del cartone,
Il tetto non ne potè più e si schiacciò.

Ora possiamo dire che finì bene,
Se non vi si trovò nessuno quella serata,
Certo fu il volere della nostra Patrona
A scongiurare il pericolo della frittata.

Se talvolta la gallina fa l'uovo senza guscio
Non è che si deve portare al mercato,
In questo modo c'è chi si rode il labbro
E chi imbroglia dalla mattina alla sera.

Ora tutti noi ci auguriamo
Che non si scordino questo palazzetto,
Che si interessi un pezzo grosso di Roma
E che gli sportivi possano avere sistemazione.

Se sarà ricostruito, non dovete confondervi
Per decidere come rifare il tetto,
Se non si trova nessuno che sappia farlo tondo
Andate per il sicuro, fatelo retto!

Se deve andare perduto, c'è l'uovo accanto che è buono,
Io direi di sfruttarlo come si può,
Vedete se lo potete prendere sano sano
E portatelo al paese, per pisciatoio!

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Fontana Valguarnera/n. 49

Questa è la Fontana/Abbeveratoio Valguarnera n. 49 e si trova all'ingresso Est del centro abitato di Valguarnera Caropepe, quando si proviene da Dittaino. E' a pochi metri dalla via Stazione che porta appunto alla Stazione Ferroviaria ridotta, ormai, in pessime condizioni e, per giunta, a pochissimi metri da abitazioni e condomìni. Avrei voluto pubblicare una foto della Stazione, ma è proprio così mal ridotta che non me la sono sentita per rispetto di tanti Carrapipani¹ che amano la loro cittadina e di tanti che prima passavano di là sulle Littorine. In condizioni migliori invece si trova l'antico abbeveratoio e come si può vedere dalla foto è mantenuto pulito sia all'interno che all'esterno. La vasca frontale che doveva accogliere l'acqua sgorgante da un canale sembra recente, l'altra molto grande invece è quella originale che veniva attorniata da muli, asini e da qualche raro cavallo. 

¹ Anche Valguarneresi.

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Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/9

Ricordi e fatti inediti/9

Per P. Carmelo Capizzi tra i vari titoli anche l’appellativo di “Dotto”
L’altro giorno, guardando tra i libri della mia piccola biblioteca, in cerca di qualche notizia/ricordo su mio fratello Carmelo, scoprì di possedere un volume che egli stesso mi aveva lasciato tanti anni fa, L’antipapa Niccolò V, Rieti, Il Velino, 1978, scritto dal Sacerdote Giovanni Maceroni¹ in occasione del 650° anniversario dell’incoronazione (n.d.r. avvenuta a Roma nel maggio 1328). Con una certa curiosità, sfogliai alcune pagine e notai nella prima la seguente dedica scritta a mano: <<Roma, lì 29/07/1982. Al dotto e Rev.mo professore C. Capizzi E.S., offro con vivo senso di stima di sicura ammirazione per lui e per il Rev.mo Ordine di cui fa onorevole parte. F/to Don Giovanni Maceroni>>. A pagina 178, sempre dello stesso libro, ho trovato alcune frasi con cui il Maceroni dichiara la sua grande soddisfazione per il giudizio positivo sul suo lavoro segnalato nelle pagine della rivista quindicinale "La Civiltà Cattolica" formulato dal dotto Recensore C. Capizzi, che a sua volta dichiara: <<Rileviamo che l’autore non ha dato l’ultima mano alla sua dotta fatica>>. Al che l’Autore risponde: <<Sapere che La Civiltà Cattolica considera il mio lavoro “dotta fatica”, è un giudizio che va molto al di là di quanto io potessi sperare da una critica obbiettiva, seria e competente>>. Inoltre, a pag. 201 del volume su citato, è scritta la recensione de La Civiltà Cattolica firmata da C. Capizzi (n.d.r. nella foto il frontespizio della rivista quindicinale della Compagnia di Gesù-Gesuiti La Civiltà Cattolica anno 1979) 
¹ Mons. Prof. Giovanni Maceroni è Presidente Istituto Storico “Massimo Rinaldi”, Responsabile degli Archivi Unificati della Diocesi di Rieti, Fondatore Direttore Responsabile e Redattore del Periodico “Padre, Maestro e Pastore” di Rieti nonché Curatore del sito ufficiale del Quotidiano on line della Diocesi di Rieti “Frontiera”.

Il Gesuita Carmelo Capizzi predicatore, conferenziere e congressista
Carmelo Capizzi oltre ad essere Sacerdote, Professore, Scrittore, Letterato, Storico, Ricercatore, Poliglotta, era anche Predicatore, Conferenziere e Congressista di fama, possiamo ben dire, mondiale. Infatti, egli veniva spesso chiamato a tenere delle conferenze in ogni parte d'Italia e anche del mondo. Una volta mi raccontò di essere stato invitato ad un congresso a Vienna, proprio nel famoso Palazzo dei Congressi di Vienna, dove i vari capi di stato discussero per il ripristino dei confini già esistenti prima dell'arrivo di Napoleone Bonaparte. Quale Rettore dell'Accademia Angelica Costantiniana di Lettere, Arte e Scienze, fu invitato a fare un giro di conferenza negli Stati Uniti d'America dal Presidente Generale della stessa accademia, prof.ssa Stefania Angelo Comneno di Tessaglia. Quest’ultima fu accompagnata dal figlio, Manuele Ferrari Angelo Comneno, Amministratore della rivista “Studi sull'Oriente Cristiano”. I tre personaggi partirono alla volta degli U.S.A. e il soggiorno durò circa dieci giorni. Mio fratello Carmelo, per raggiungere le varie località destinate alle conferenze, doveva viaggiare in aereo, e certamente per lui fu una fatica non indifferente, se consideriamo il fatto che stava ormai tanto male di salute. Comunque, nonostante lo stress e la stanchezza, per lui fu  una grande soddisfazione. Per quanto mi ricordo, per ben due volte, fu invitato anche a Belluno per tenere delle conferenze presso il Circolo Ufficiali della fu Brigata Alpina “Cadore”. Gli argomenti trattati, se non vado errato, erano “Storia della conquista  delle colonie nell'Adriatico e vicinanze” e “Storia del Triumvirato con Manin Daniele e Tommaseo Nicolò”. L'uditorio era formato oltre che dall'autorità Militari e Civili anche da un fotlo pubblico e per dimostrare quanto detto, questa volta ho delle foto che unisco.

Carmelo assediato, si fa per dire, dalle prostitute in piazza S. Maria Maggiore
In quegli anni, mio fratello aveva sede nel Pontificio Istituto Orientale in Piazza Santa Maria Maggiore a Roma, dove insegnava e quindi la sua vita si svolgeva nella zona. Una sera mentre si recava presso una famiglia di amici che l'aveva invitato a cena, passando dalla piazza, sentì una voce romanesca di una donna che gli diceva: “Padre anamo?”. Carmelo, senza mezzi termini, rispose: “Sei troppo bella per me”. Da premettere che in quegli anni e forse anche adesso, Roma era popolata da tantissime prostitute, in ogni lampione ce n'era una e la sera, quando si faceva buio, la piazza si animava di tante donne che aspettavano qualche cliente o qualche passante da adescare. Mio fratello sarebbe stato uno di questi. Ora, tornando in dietro alla risposta che diede il prete, la donna del lampione vicino non l'aveva capito e chiese alla collega : “Cosa ti ha risposto?”. E quell'altra ripeté ciò che Carmelo aveva detto, che lei era troppo bella per lui. Allora, tutte due in coro gli gridarono: “Sei tu troppo bello per noi!”. Il discorso finì lì, ognuno andò per la sua strada, o meglio, mio fratello si diresse a casa dei suoi amici, dove l'attendevano, mentre le donne rimasero
a far compagnia ai lampioni nell'attesa di altri passanti o clienti.

continua in Racconti inediti su P. Carmelo Capizzi/10

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Edicola n. 41

L'Edicola Votiva n. 41 nel cerchio indicato dalla freccia

L'Edicola Votiva n. 41 si trova in un luogo in completo stato di abbandono, la piazzetta Itria (foto in basso). E' un quadro con l'immagine della Madonna Immacolata Concezione posto a 4 m ca. di altezza, alla sinistra del portone della Chiesa dedicata alla Madonna dell'Itria¹, la Madonna venerata in tutti i territori sotto l'influenza dei Bizantini. La chiesa di fine Cinquecento-inizio Seicento, è rimasta chiusa al culto dal dicembre del 2007, quando in seguito alle forti piogge subì il crollo dell'ala posteriore prospiciente la via Itria (a destra nella foto in basso). Dopo aver visto una fotografia degli anni Cinquanta, dove la Madonna Immacolata è portata in processione lungo la salita Itria, è facile dedurre che questa Edicola/Quadro è da mettere in relazione a questa periodica consuetudine sacra di una volta.

¹ Itria è l'abbreviazione dell'antichissimo titolo bizantino di Odegitria o Odigitria che i gli imperatori di Costantinopoli diedero alla Madonna come "guida nel cammino della vita" (Madonna del Buon Cammino).

N.B. Dimenticavo di dirvi che a sinistra del quadro si trova l'edificio della canonica della chiesa dell'Itria. In questo edificio, sulla facciata, si trova uno dei due stemmi papali esistenti a Piazza Armerina. Mentre ci siete potete leggervi anche la prima parte di uno dei due stemmi papali a Piazza.

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A f'cudìna

Tutti i Siciliani conosciamo la prelibatezza di questo frutto che, in un certo senso, rispecchia il nostro carattere. Fuori pieno di spine, dentro gustoso e succulento. Resistente alla siccità e adattabile ad ogni condizione metereologica, soddisfa i "terroni" ma anche i "leghisti" più sfegatati, a patto, però, che non li mangino con tutta la scòrcia, come qualche volta è accaduto. Una volta frutto che integrava discretamente l'alimentazione dei Piazzesi, oggi frutto considerato un vero e proprio dessert. Ma attenzione, è consigliato mangiarlo moderatamente e assieme al pane per le infàuste conseguenze sulla regolare "viabilità".

A f'cudìna
Ntè  campàgni a f'cudìna
Fa a part da r'gìna.
Pò nt'chì n' l'ar'n'àzz
Mènz i prè e ntò t'rròzz
Fa 'nfrùtt accuscì dözz
Ch' delìzia u canarözz.
 
O sanguìgna giàuna o vérd
A qual'tà nan a pèrd
Si mangiàva u v'ddàngh
Ch' t'ràva u zzappöngh
A mattìna a diùngh
Cu mènz guast'ddöngh    
Ntà so fàcci avèva u fò
Ntè bràzzi a valìa du bò.

Quànn s' mett'nu 'n fiòr
Mòstr'nu anègghi còm l'or
Pöi russènu appèna fàiti
Còm e gòti dî p'cciòtti
Ma nan s' fànu basgè
P'rchì t' fànu sp'nè.

Ggh'ànu spìni sòvra i pàli
L’è trattè cu assài cuatèli
Ggh'ànu l'òsci mènz a pöppa
Cu n'abùsa pöi 'ntòppa.
 
A bontà ggh'anu d'a gént
Ch' tant dòna e nan vò nènt
Pàr'nu mài st'nn'cchiàdi
Ch' ti pròz'nu carriàdi
'Npccà par quànn ntà tròffa
Su ddasciàdi a fè a mòffa.
 
Còsta piànta ama u sö
Unna u ièlu nan ggh pò
E zzà ch ggh n'è assài
Càudi sù i s'c'liài.
 
Francesco Manteo

Traduzione
Il ficodìndia
Nelle campagne il ficodìndia
Fa la parte della regina
Può attecchire nella sabbia
Fra le pietre e nell'incolto
Fa un frutto così dolce
Che delizia la gola.
 
O sanguigna gialla o verde
La qualità non la perde
Se li mangiava il villano
Che tirava la zappa
Al mattino a digiuno
Con mezzo panone
Nella sua faccia aveva il fuoco
Nelle braccia l'energia del bue.

Quando si mettono in fiore
Mostrano anelli come l'oro
Poi rosseggiano appena maturi
Come le gote delle giovani
Ma non si fanno baciare
Perché ti fanno spinare.

Hanno spine sopra le pale
Li devi trattare con assai cautele
Hanno i semi in mezzo alla polpa
Chi ne abusa poi si tappa.
 
La bontà hanno della gente
Che tanto dona e non vuole niente
Sembrano mani distese
Che te le porgono abbondanti
Un peccato sembra quando nel cespuglio
Sono lasciati a marcire.
 
Questa pianta ama il sole
Dove il gelo non resiste
E qua che ce ne sono assai
Caldi sono i siciliani.

* In questo sito il post dedicato a questo Frutto sacro agli Aztechi

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