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Cronarmerina - Aprile 2025

Il Borgo Rurale/Villaggio Pergusa-1

Il tipo di casa del Villaggio Pergusa con due alloggi grandi

La piazza del Villaggio Pergusa con l'obelisco a sx e la Casa del Fascio a dx

1
Il progetto di Pergusa risale al 1935, nel contesto della bonifica della zona del lago omonimo. La realizzazione del progetto fu perseguita con determinazione dal Prefetto di Enna, l’avellinese Ascanio Marca, già prefetto di Ragusa. Il lago di Pergusa è l’unico bacino lacustre naturale esistente in Sicilia (con l’eccezione dei bivieri, che più che laghi erano paludi), anche se di tipo endoreico, non alimentato da immissari. Anche esso era attorniato da una palude prima di venire bonificato e la zona del lago era già stata classificata nel 1933 come comprensorio di bonifica integrale. Il progetto di bonifica, comprendente la realizzazione di una strada, di opere di contenimento delle acque, di banchine sulle rive del lago oltreché le opere idrauliche ed agrarie volte ad eliminare le zone paludose, era stato redatto dal Genio Civile di Enna. Nell’ambito di tale progetto venne inserita la realizzazione di un Borgo Rurale, con il duplice scopo di dare una casa a diverse famiglie ennesi, e di portare gli agricoltori sul territorio bonificato. Quindi non è un villaggio costruito per gli operai della bonifica e successivamente adattato, Pergusa venne costruita per i contadini anzi, le case vennero realizzate prima dei servizi. Uno degli intenti dichiarati fu allora quello di avvicinare il contadino a vaste estensioni di terre fino allora faticosamente coltivate; ancora una volta, quindi, si perseguiva il fine di stabilire le dimore degli agricoltori in prossimità dei podere. I lavori di bonifica, iniziati nel maggio del 1935 furono portati a termine nell’ottobre successivo. Le prime diciotto case, anche se precedono la realizzazione degli edifici di servizio, vennero in realtà completate all’inizio del 1936. Gli alloggi delle case di Pergusa erano di due tipi: uno più piccolo ed uno più grande che aveva un vano in più. Ogni costruzione comprendeva due alloggi, con ingressi indipendenti, e con annesso un orto di 1000 metri quadri. Conseguentemente anche le case erano di due tipi, di cui uno formato da due alloggi piccoli ed un altro da due alloggi grandi (foto in alto). A tutte le finestre erano applicate reti antimalariche. Il progetto, che, come su accennato, aveva come scopo anche quello di dare una casa vera ad alcune famiglie di Enna, di cui due quartieri erano interamente costituiti da grotte, fu in parte finanziato, con fondi personali, da Mussolini, il quale mise a disposizione £ 500.000 per la realizzazione delle case. Il Prefetto Manca ne fu l’interlocutore diretto per quel che riguardò la gestione dei fondi, e comunicò a Mussolini il completamento dei lavori con una missiva datata 4 aprile 1936. (tratto da VoxHumana, La Via dei Borghi.31)

(continua)

Dello stesso tema: Borghi Rurali Fascisti in Sicilia/2; Borghi Rurali Fascisti in Sicilia/3; Borgo Rurale Cascino/1; Borgo Rurale Cascino/2.

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Presentazione "Canto a Villarosa"

Prof. Luigi Di Franco, Villarosa 1952

Domani, venerdì 27 maggio alle ore 18, presso il Museo Diocesano, avrà luogo la presentazione del libro del prof. Luigi Di Franco "Canto a Villarosa".

Il sottotitolo della raccolta di componimenti poetici, “Poesie ai 250 anni del mio paese”, di Luigi Di Franco, Professore ordinario di  Filosofia e Storia presso il Liceo Scientifico “Vito Romano” di Piazza Armerina, offre al lettore la chiave di lettura del pregevole testo “Canto a Villarosa”. Esso è dedicato “Agli attuali inesistenti: i villarosani”. Prima dei cenni storici essenziali sulla cittadina di Villarosa, l’autore cita tre scrittori, che, a buon diritto, “collegano” Di Franco alla grande tradizione letteraria siciliana: a) “Ho che tu sia benedetto, bianco cavaliere! Ma dicci chi sei, e perché tieni chiusa la celata dell’ elmo…”. Italo Calvino, “Il cavaliere inesistente”; b) “Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire sé stesso, assolversi o condannarsi…”. Gesualdo Bufalino, “L’ isola al plurale”, in “La luce e il lutto”; c) “Guardando i bambini nel parco, il Vice commissario de “Il cavaliere e la morte” aveva pensato preoccupato al loro domani… “, M.Freni, ”Verso la vacanza”.
Successivamente, nel “Canto a Villarosa”, possiamo dire che il poeta, già insignito di numerosi premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali, rappresenti la vicenda storica di tutto un popolo. I versi rimandano a compattezze liriche proprie dell’antica scuola poetica siciliana e rinviano al regno di gentilezza, dove la trama metro-sintassi evoca il ruolo di una poesia, che per prima vede il valore fondante della vita. In queste poesie, secondo antichi inserti alla Giacomo da Lentini, riprendono vita i segni della culla materna dove si perpetua l’isola d’oro del cuore umano. (Abstract di presentazione)

Antonino Scarcione   

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Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/2

Salvatore Capizzi, fratello di P. Carmelo S.J.

Ricordi e fatti inediti/2

Gli esami di ammissione al Ginnasio
Quando Carmelo completò le scuole elementari, si preparò per gli esami di ammissione per accedere al ginnasio. Gli esami per lui furono un trionfo, sbalordì la commissione e non solo. Rimasero meravigliati anche i genitori degli altri esaminanti che dicevano: <<Guarda un po', il figlio di un povero contadino che riesce molto bene, mentre i nostri, ai quali non manca nulla, fanno tanta fatica>>.
                                        
Carmelo entra in Seminario
In seguito Carmelo manifestò il desiderio di entrare in Seminario per farsi prete. Il Parroco Don Rosario Carbone, al quale mia madre aveva chiesto consiglio, si pronunciò negativamente, perché, secondo lui, il ragazzo era povero e di strada e quindi non era degno di frequentare tale istituto. In ogni modo, mia mamma non si arrese e andò a parlare con il Vescovo che, bontà sua, si espresse favorevolmente. Mio fratello entrò in Seminario frequentando i primi due anni con ottimi risultati e, dopo, fu indirizzato a Bagheria dove c’era il Seminario riservato al noviziato dei Gesuiti. In questo istituto si trovò molto bene e quindi si dedicò sempre di più allo studio, accattivandosi la simpatia e la benevolenza dei superiori.

Carmelo torna in paese
E' cosa nota che i giovani che entravano a far parte dei Gesuiti o di altri ordini religiosi, non tornavano a casa dai genitori, se non per casi eccezionali, quale, per esempio, la morte di un componente della propria famiglia. Nostra madre Giuseppina, impossibilitata ad affrontare il viaggi per mancanza di denaro, per poter vedere e abbracciare il proprio figlio gli scrisse una grossa bugia, gli disse che papà Biagio era in grave pericolo di vita e quindi necessitava la sua presenza. Saputa la notizia, Carmelo informò immediatamente i superiori che gli concessero la possibilità di tornare al suo paese per qualche giorno. Partì subito alla volta di Piazza Armerina. Noi tutti, sapendo che stava arrivando, andammo alla stazione ferroviaria ad attenderlo, mancava solamente papà. Quando il treno si fermò in stazione egli scese e tutti notammo che aveva il viso pallido e triste. Subito, come prima cosa, chiese alla mamma di papà. Lei, naturalmente gli rispose che papà stava bene e che era in campagna a lavorare. A questa risposta, lui rimase male e rimproverò alla mamma che lei aveva commesso un grosso peccato. Lei, senza scomporsi, gli rispose: <<Tu non ti devi preoccupare, questo peccato è mio e me la vedo io con il Padre Eterno>>. Intanto arrivammo a casa e tutti i parenti e amici che sapevano del suo arrivo venivano a trovarlo. Rimase a Piazza per circa tre giorni e in quel poco tempo andò a visitare in bicicletta i mosaici della Villa del Casale e a fare una visita al Vescovo in Seminario, dove, tra l'altro, fu ospitato per quelle sere che rimase a Piazza. Dopo ritornò a Bagheria, sicuramente felice anche lui perché papà stava bene di salute, aveva rivisto i fratelli, i parenti, gli amici e anche i luoghi della sua infanzia. Continuò a studiare per laurearsi a Messina e nel frattempo fu mandato ad Acireale per fare il prefetto di camerata e nello stesso tempo l'insegnante ai ragazzi del Collegio Pennisi.

continua in Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/3

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Rivelazioni dal Chiostro di S. Pietro/3

Parte inferiore dell'affresco raffigurante S. Leonardo da Porto Maurizio nel chiostro di S. Pietro in Piazza Armerina (EN)

Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/3

(continuazione da Rivelazioni da chiostro di S. Pietro/2) Dopo essersi spostato nelle due riviere per continuare le sue prediche Fra' Leonardo di Porto Maurizio transitò per Genova, nel santuario di Santa Maria del Monte, dedicandosi ad intensi esercizi spirituali. In queste occasioni scrisse uno dei suoi Proponimenti, lettere e riflessioni spirituali sul raggiungimento della perfezione cristiana. Dopo la fine della primavera del 1745, partì da Genova e lasciata la Liguria attraversò tutte le regioni italiane sino all’anno giubilare del 1750, proclamato da papa Benedetto XIV, il bolognese Prospero Lorenzo Lambertini (menzionato al V rigo dell'affresco, 1675-1758, Papa dal 1740). Qui fece epoca la Via Crucis predicata da fra' Leonardo il 27 dicembre nel Colosseo. Era la prima volta che si celebrava un rito religioso nell'anfiteatro Flavio. Da quell'anno la pia tradizione si mantenne fino ai nostri giorni e ogni venerdì Santo il Papa compie personalmente il rito penitenziale. Quella prima Via Crucis ebbe anche un grande merito per l'arte: il Colosseo fino a quell'anno era servito da cava di pietra per altre costruzioni, ma dopo quella memorabile Via Crucis venne considerato luogo sacro, meta di devoti pellegrinaggi, e la sua demolizione si arrestò. Aggravatosi dopo l’ennesima Via Crucis in territorio bolognese, fra' Leonardo giunse a fatica a Roma dove morì nel convento di San Bonaventura al Palatino il 26 novembre 1751. Qui dovettero accorrere i soldati, per tenere indietro la folla che voleva vedere il Santo e portar via le sue reliquie. “Perdiamo un amico sulla terra - disse il Papa Lambertini - ma guadagniamo un protettore in Cielo”. Durante la sua vita il Santo fu apostolo delle Tre Ave Maria, preghiera che grazie a lui ebbe una grande diffusione, come la pratica della Via Crucis che egli istituì in moltissimi luoghi (ben 572). Inoltre, fu lui a proporre la definizione del dogma mariano dell'Immacolata Concezione, mediante una consultazione epistolare tra i Vescovi (Concilio senza spese). A tal proposito il papa Lambertini arrivò a preparare una Bolla, ma per varie cause il documento non venne mai pubblicato. Fu beatificato nel 1796 e canonizzato Santo nel 1867. Dichiarato Patrono dei Missionari nei Paesi cattolici nel 1923 è il Santo Patrono della Città di Imperia. Per quanto riguarda il grande numero “2” tra le ultime tre righe dell’affresco, si tratta semplicemente del numero dato a una cella dell'ex Convento di San Pietro a Piazza Armerina.

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Rivelazioni dal Chiostro di S. Pietro/2

Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/2

(continuazione da Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/1) Nell’affresco presente sulla parete sud del chiostro nel Convento di San Pietro di Piazza Armerina è rappresentato Fra' Leonardo da Porto Maurizio, al secolo Paolo Girolamo Casanova (nella foto un Vero Ritratto...). Il futuro Santo nacque il 20 dicembre 1676 dal matrimonio tra il capitano di marina Domenico Casanova e Anna Maria Benza a Porto Maurizio, che insieme a Oneglia forma l’odierna Imperia in Liguria. Dopo aver frequentato gli studi superiori di Lettere e Filosofia a Roma presso i PP. Gesuiti, a 21 anni venne ammesso al noviziato nell’Ordine Francescano dei Riformati detto “della riformella” o “degli scalzati” nella stessa città, prendendo il nome di Leonardo e ordinato sacerdote nel 1702. Chiese inutilmente di essere mandato missionario in Cina, ma dal 1709 al 1730 scelse il convento toscano di Monte alle Croci presso San Miniato, come centro delle sue missioni itineranti, cui affiancò la cura per i ritiri di San Francesco al Palco in Prato e Santa Maria dell'Incontro presso Firenze, luoghi destinati da lui a offrire periodi di vita contemplativa a tutti i religiosi impegnati nell'apostolato. Di questi ritiri in Etruria fu superiore per nove anni, scrivendone anche le costituzioni (ecco come si spiega Hetruriam Caenobiorum dell'affresco nel chiostro francescano di San Pietro). Fu chiamato a Roma da Clemente XII nel 1730, e da allora iniziò i viaggi per le missioni popolari in varie parti dello Stato pontificio, del Granducato di Toscana, della Repubblica di Genova e del Regno di Napoli. Le missioni popolari predicate da fra' Leonardo furono 343, svolte nell'arco di 44 anni, insieme con un numero imprecisato di predicazioni temporalmente più brevi. La sua predicazione aveva qualcosa di drammatico e di tragico, spesso al lume delle torce e con volontari tormenti ai quali fra' Leonardo si sottoponeva, ora ponendo la mano sulle fiaccole accese, ora flagellandosi a sangue. Folle immense accorrevano ad ascoltarlo e rimanevano impressionate dalla sua bruciante parola, che richiamava alla penitenza e alla pietà cristiana: "È il più grande missionario del nostro secolo" diceva Sant'Alfonso de' Liguori (1696-1787) e spesso l'uditorio intero, durante le sue prediche, scoppiava in singhiozzi. Nel lungo itinerario del suo apostolato, attraversò tutte le regioni dell'Italia settentrionale e centrale, acquistando fama e meravigliando positivamente gli innumerevoli fedeli, compresi i cardinali e papa Benedetto XIV (citato nell’affresco), che l’ascoltavano estasiati le sue orazioni. Nella predica sulla piana della Chiesa della Pace a Bisagno (GE), raccomandò di porre sopra le porte delle proprie case l’effigie di Gesù e Maria che richiama, appunto, il motto Viva Gesù e Viva Maria nell'affresco del chiostro, mentre l’oggetto quadrato, tenuto in alto nell'affresco, è un quadretto con l’immagine della Madonna alla quale era molto devoto. La stessa raccomandazione venne fatta per l'affissione sulle porte di tutte le città e terre murate della Liguria. Dopo aver completato le missioni a Lucca e a Pistoia, nel 1744 si recò in Corsica dove si vivevano momenti difficili per le insurrezioni separatiste contro la Repubblica di Genova. (continua in Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/3)

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Rivelazioni dal Chiostro di S. Pietro/1

Il grande affresco LA SENTENZA DI CAIFA dietro le colonne del lato Sud del Chiostro di S. Pietro

L'affresco raffigurante SAN LEONARDO DI PORTO MAURIZIO (1676-1751)

Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/1

Dopo l’inaugurazione dell’ex Convento Francescano di San Pietro avvenuta il 14 maggio scorso, ho avuto la possibilità di visitare e ammirare il chiostro del XVI secolo nel suo insieme e, in particolare, il bellissimo e straordinariamente inconsueto affresco da tutti intitolato LA SENTENZA DI CAIFA (foto in alto, dietro le colonne del lato sud). Molto probabilmente dovevano essere affrescate tutte le pareti delle quattro gallerie del chiostro, ma a noi sono arrivati purtroppo solo questi. Già sono stati scritti alcuni articoli che ci spiegano l’affresco nel suo insieme, e altri ne verranno per la descrizione dei particolari, ma io sono stato attratto in particolar modo da quello enigmatico che sta immediatamente alla sinistra de La Sentenza, nella foto tra le prime due colonne di sx, sopra una porta. Come si può notare dalla foto in basso è il più malandato¹, ma si riescono a distinguere: il grande medaglione color giallo ocre, con dei mazzi di fiori ai lati in alto, simile a quello sulla dx del grande affresco, su una porta che racchiude una finestra; una figura di frate rivolto verso dx che tiene un oggetto di forma quadrata in alto; le parole “Viva Gesù Viva Maria” tra l’arco del medaglione e la testa del frate; una serie di parole a stampatello poste in sei righe e, per finire, il grande numero “2” tra le parole delle ultime tre righe in basso. In un primo momento, leggendo le ultime tre parole dell’ultimo rigo “DIE 26 NOVEMB” mi è sembrato di trovarmi davanti alla raffigurazione del Beato Fra' Innocenzo Milazzo osservante morto nel Convento Francescano di Santa Maria di Gesù proprio il 26 novembre 1595 e di cui ho raccontato la sua vita in diversi post a partire dal 10 Ottobre 2013 su questo sito. Ma le altre parole, quelle risparmiate dal tempo e dalla negligenza che ci contraddistingue, mi portavano da un’altra parte non avendo alcuna attinenza con la storia di fra' Innocenzo. Ripresa la ricerca e dopo tanti tentativi, avendo come spunti più nitidi oltre la data di morte anche il luogo “OBIIT ROME”, le parole “PORTU MAURITIO”, “HAETRURIAM CAENOBIORU...” e “BENEDICTU IV”, scopro che si tratta del frate francescano riformato e sacerdote SAN LEONARDO DA PORTO MAURIZIO nato a Porto Maurizio (Imperia) il 20 dic. 1676 e morto a Roma il 26 nov. 1751. Ecco spiegate le parole poco leggibili e incomprensibili che leggevo erroneamente “I FONABDI” invece di “LEONARDI” ovvero “LEONARDO DI PORTO MAURIZIO”. Da ciò si può dedurre che l'affresco sia databile dopo il 1751, anno della sua morte, considerando che nell'affresco è chiamato ancora SERVO DI DIO e non BEATO (nel 1796) né SANTO (nel 1867). (continua nei post Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/2 e Rivelazioni dal chiostro di S. Pietro/3)

¹ Cliccando su Conventi francescani sfortunati/1 potete rendervi conto com'era ridotto in una foto del Febbraio 2012.
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Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/1

Salvatore Capizzi, fratello di P. Carmelo S.J.

Nel mese di marzo scorso ho pubblicato 5 post sul Profilo bio-bibliografico del gesuita piazzese P. Carmelo Capizzi (1929-2002). A distanza di qualche mese vi propongo alcuni Ricordi e fatti inediti riguardanti sempre la vita di P. Carmelo, ma raccontati dal fratello minore Salvatore (nella foto). Questi, nato a Piazza Armerina il 26 maggio del 1939, 5° dei nove figli (il 6°, il 7° e l'8° sono morti durante la II Guerra Mondiale, mentre la 9^ ha 71 anni) dopo aver  studiato per prendere la licenza media a Catania presso il Collegio dei Gesuiti, si è arruolato nell'esercito per frequentare la scuola militare, prima a Spoleto e poi alla Caserma “Cecchignola” a Roma. Trasferito a Belluno, ha fatto la carriera di Sottufficiale col grado di Maresciallo Maggiore Aiutante nel corpo degli Alpini sino al 1991, quando è stato collocato in pensione. Sposato per 32 anni con una bellunese, dalla quale ha avuto due figli che gli hanno donato tre nipoti, adesso è vedovo da 19 anni e vive a Belluno.

Salvatore Capizzi attraverso la pubblicazione di questi ricordi e fatti inediti sulla vita del fratello maggiore Carmelo, gran parte dei quali venuti a sapere dalla propria madre perché lui era più piccolo di dieci anni, vuole fare conoscere ai propri concittadini oltre l'alta statura intellettuale e morale, anche la forte personalità e la profonda umanità che potrebbero non trasparire dal Profilo bio-bibliografico di P. Carmelo.

Ricordi e fatti inediti/1

La cicatrice perenne
Come risulta dall'autobiografia, mio fratello nacque a Piazza Armerina il 14 luglio del 1929, da famiglia povera, primo di nove figli. Nostro padre era bracciante agricolo e nostra madre casalinga. Quando Carmelo cominciò ad andare a scuola, si capì subito che era un bambino molto intelligente a cui piaceva tanto studiare e soprattutto leggere. Leggeva tutti i libri che gli capitavano sotto mano, memorizzava tutto grazie alla sua portentosa memoria visiva. Per poter acquistare qualche libro, escogitava qualsiasi espediente e da bambino, per guadagnare onestamente qualche soldo, andava persino a raccogliere le nocciole, dato che a quei tempi a Piazza abbondavano i noccioleti. Quando c’era la fiera del bestiame nella nostra città il 28 e il 29 maggio al piano Sant’ Ippolito, lui si procurava una brocca d'argilla, la riempiva d’acqua fresca e la portava in fiera per dare da bere ai mandriani in cambio di qualche soldo. Fu proprio in una di queste circostanze che, mentre mio fratello porgeva da bere a un signore in sella al suo cavallo, l'animale irrequieto con uno scatto repentino si girò dandogli un morso sul viso, provocandogli una ferita che iniziò a sanguinare copiosamente. Il mandriano, preoccupato dell'incidente, a grande velocità e con lo stesso cavallo, portò Carmelo all'ospedale, dove gli furono praticate le cure del caso dandogli tre punti di saturazione al mento. Quella cicatrice rimase perenne.

continua in Ricordi e fatti inediti su P. Carmelo Capizzi/2

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1925 I Commercianti a Piazza/16 e ultimo

L'ex Caffè MODERNO di Marino Calogero & Figlio oggi Caffetteria Marconi

(dal Post 15)

Siamo arrivati all'ultimo elenco delle Ditte presenti a Piazza nel 1925, compilato grazie al recupero di una copia dell'Annuario Generale Commerciale delle Ditte della Sicilia e delle Calabrie. Alla fine troviamo anche l'elenco dei Medici-Chirurghi che esercitavano nella nostra Città.

TORRONI

MINACAPELLI GAETANO & FIGLIO¹

nel riquadro sottostante

PREMIATA FABBRICA DI TORRONE

GAETANO MINACAPELLI & FIGLIO

via Garibaldi n. 22 - Piazza Armerina


CHINACAPELLI SALVATORE²

MARINO CALOGERO & FIGLIO³

nel riquadro sottostante

CALOGERO MARINO & FIGLIO

Piazza Armerina

Premiata Fabbrica Torrone e Gelati da campagna

Caffè Moderno - Pasticceria Sorbetteria


TRATTORIE

DI BENEDETTO PIETRO4

EXCELSIOR4

GALATI GIOVANNI4

nel riquadro sottostante

HOTEL E RISTORANTE EUROPA

Piazza Garibaldi - Piazza Armerina

Salsamenteria e generi alimentari Giovanni Galati


VETERINARI

MUSQARA' ROS. CAV. UFF.5


ZOLFI

MARINO B.

MARINO C.

MESSINA & c.


ESERCENTI DELLE MINIERE

SOCIETA' GENERALE DEI SOLFI

(Esercizio miniere zolfo di Grottacalda e Pietragrossa)

TRIGONA AVV. GIUSEPPE

(Proprietario miniere zolfo: Severino Tramontana, Severino Acquedotto, Severino Camerone, Severino Mezzogiorno, Severino VIII Sezione, Severino Sezioni Riunite in territorio di Castrogiovanni)


ESERCENTI INDUSTRIE METALLURGICHE E MECCANICHE

ACCARDI ROSARIO

(Costruzioni in ferro)

CALTAGIRONE SALVATORE

(Costruzioni in ferro)

MARINO GIUSEPPE

(Costruzioni meccaniche)

PRINCIPATO GIUSEPPE

(Costruzioni meccaniche)


MEDICI CHIRURGHI

Arena Carlo

Bonifazio Alessandro

Brighina Francesco

Giusto Pasquale

La Cara Annunziato

La Malfa Salvatore

Parisi Giuseppe

Ranfaldi Antonio

Roccella Federico

¹ Il figlio si chiamava Filippo. Gaetano l'abbiamo anche negli elenchi dei CAFFETTIERI. Poi si trasferirono in via Marconi 34 oggi "Tabacchi Santoro".

² Qui c'è un errore di stampa, doveva essere MINACAPELLI, lontano cugino di Filippo Minacapelli. L'abbiamo anche nell'elenco dei CAFFETTIERI.

³ Il figlio si chiamava Oreste e gestivano il BAR MODERNO che prima era in via Mazzini e poi si spostò in via Marconi 26/28, oggi "Caffetteria Marconi".

4 Li troviamo anche nell'elenco ALBERGHI.

5 Errore di stampa, doveva essere MUSCARA'. Forse era un parente del generale Achille Muscarà.

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Fontana Parco Ronza/n. 44

Questa è la Fontana del Parco Ronza n. 44 del censimento di cronarmerina. Si trova lungo il viale principale dopo l'ingresso al Parco della Ronza gestito dal Dipartimento Aziende Regionali Foreste Demaniali della Sicilia. Tutta in pietra, è stata costruita dai dipendenti del parco che è situato a 8 Km ca. da Piazza Armerina sulla S.S. 117bis a 800 metri sul livello del mare. La statale lo separa dall'ex stazione ferroviaria della tratta a scartamento ridotto Dittaino-Piazza-Caltagirone che era la prima stazione subito dopo la ripida salita dai 600 m s.l.m. di Valguarnera, quando la littorina era costretta a utilizzare la cremagliera. Il parco è costituito da varie piante, soprattutto eucalipti d'importazione che dovevano servire all'industria di produzione della carta. Le varie zone del parco offrono aree attrezzate con barbecue, tavole e panche in legno o pietra, altre aree per i più piccoli con altalene e dondoli, una grande voliera, diverse specie di animali in recinti e una grande vasca con tartarughe. A 700 m dall'ingresso, percorrendo la Regia Trazzera Portella-Ronza, si possono ammirare delle rocce calcaree scolpite dal tempo chiamate Pietre Incantate o Pietre Ballerine con sembianze umane. Ultima notizia: il parco si trova a metà strada, a 2 Km ca. in linea d'aria, dall'antico borgo Fundrò a Sud-Ovest e dall'altrettanto antico borgo Rossomanno, sul monte omonimo a 885 metri s.l.m. a Nord-Est. Da qualche mese il parco è chiuso per <<LAVORI DI MANUTENZIONE>> che non si sa quanto dureranno, lasciando per ora tanti amanti del picnic all'aperto, piazzesi e non, "orfani" di un gran bel polmone verde.

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I tre stemmi nel Monastero di Sant'Anna

Stemma Agostiniano sul portone principale esterno, Monast. Sant'Anna

Stemma Agostiniano sulla porta interna, Monast. Sant'Anna

Stemma della famiglia Trigona sull'arco absidale, chiesetta di Sant'Anna Vecchia

Nel Monastero di Sant’Anna a Piazza Armerina vi sono tre stemmi, uno appartenente alla famiglia Trigona sull’arco absidale dell’antica chiesetta di Sant’Anna Vecchia (foto in basso) prima segreteria delle Scuole Elementari, oggi Sala Conferenze, due appartenenti all’Ordine Agostiniano. Uno di questi ultimi è scolpito sulla pietra arenaria ed è posto sull’arco del portone d’ingresso principale (foto in alto), l’altro in stucco sull’arco di una porta interna (foto in mezzo). Per i due stemmi che si riferiscono all’Ordine Agostiniano, a cui appartenevano le monache del Monastero di Sant’Anna, originariamente dedicato alla Congregazione di Santa Brigida, c’è da dire che ognuno ha delle caratteristiche che non si trovano nell’altro. In quello esterno oltre al cuore fiammeggiante, rappresentante l’amore quale principio fondamentale della vita umana ed evangelica, e trafitto da una freccia, in riferimento all’espressione di Sant’Agostino nelle Confessioni <<hai ferito il mio cuore con il tuo amore>>, troviamo anche la mìtria (dal greco mìtra = fascia, benda per il capo) detta anche mitra o mitrea, usata dai Vescovi nelle celebrazioni liturgiche. In questo caso, la mìtria è sovrapposta allo stemma dell’Ordine, come simbolo di Dignità Ecclesiastica assegnata probabilmente quando il papa Urbano VIII diede, nel 1642, l’autorizzazione alla mutazione da Ritiro della Congregazione di Santa Brigida fondato nei primi anni del secolo, in Monastero di Agostiniane (il VII in Sicilia). Nello stemma all'interno, invece, si trovano oltre al cuore fiammeggiante trafitto, altri due elementi importanti per l’Ordine Agostiniano che non sono presenti nel primo. Uno è il libro in riferimento all’esperienza interiore di Sant’Agostino con effetto sconvolgente della Parola di Dio, visualizzata nella figura del Libro Sacro quale è appunto la Bibbia. Il secondo è la cintura (o cintola) di cuoio con fibbia. Nel XVI secolo si diffuse una leggenda che faceva risalire l'adozione della cintura a un episodio miracoloso che aveva come protagonista Santa Monica, madre di Agostino. Dopo la morte del marito Patrizio, si rivolse in preghiera a Maria mostrandole il desiderio di imitarla anche nel modo di vestire dopo l'ascesa al cielo di Gesù. La Vergine, accontendandola, le apparve coperta da un'ampia veste di stoffa dozzinale, dal taglio semplice e di colore scuro, ossia in un abito totalmente dimesso e penitenziale. La veste era stretta in vita da una rozza cintura in pelle che scendeva quasi sino a terra. Maria, slacciatasi la cintura, la porse a Monica per consolarla e sostenerla nelle ansie causate dalla vita piena di tribolazioni di suo figlio, Agostino. Inoltre, le raccomandò di portarla sempre, chiedendole, anche, di invitare tutti coloro che desideravano il Suo aiuto ad indossarla perché avrebbe garantito, a quanti l'avessero imitata, la sua protezione e consolazione in quanto simbolo di forza e costanza nella fede.  

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