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Gaetano Masuzzo

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Stemma Paternò-Castello ad Aidone

Chiesa di San Giovanni Evangelista, Aidone

Stemma Famiglia Paternò Castello sul portone d'ingresso della chiesa

Stemma Famiglia Paternò Castello, Palazzo Biscari, Mirabella Imbaccari

Quando ho parlato della chiesa di San Giovanni Evangelista di Aidone, risalente ai primi decenni del XIII secolo, avevo descritto, nel limite del possibile, gli stemmi che esistono sul portone d'ingresso alla chiesa. Anche se ridotti male perché logorati dal tempo, ero riuscito a individuarne due dei quattro. Uno dei due è quello posto sulla chiave di volta del portale, ovvero la croce bianca a otto punte su campo rosso dei Cavalieri di San Giovanni Battista di Gerusalemme, adottato da quando i Cavalieri si stabilirono sull'isola di Malta nel 1530; l'altro è il primo a sx, molto somigliante a quello della famiglia Crescimanno di Piazza. Quelli che ritenevo indecifrabili erano il primo da dx, inquartato: nel 1° e nel 4° di rosso alla croce d'argento, nel 2° e nel 3° d'azzurro all'aquila spiegata d'oro, probabile stemma di un Gran Maestro dell'Ordine gerosolimitano; e quello al centro, che guardandolo non attentamente, mi aveva suggerito di non azzardare supposizioni. Invece, l'altro giorno, durante l'ennesima passeggiata istruttiva per le strade della cittadina che ha tante peculiarità in comune con Piazza, mi sono dovuto ricredere. A quell'ora il sole battendo su di esso mi ha "illuminato", mostrandomi un chiaro esempio di stemma della famiglia Paternò Castello, una delle più nobili e antiche di Sicilia. Quella dei Paternò, dicendente dalla Casa Sovrana dei Conti di Barcellona e Provenza e da quella Sovrana degli Altavilla, aveva come capostipite Roberto d'Embrun (1050-1085 ca.) pronipote di Toda di Provenza contessa di Embrun e di Bernardo Tagliaferro conte di Besalù. Egli, sceso in Sicilia intorno al 1070 al seguito del Gran Conte Ruggero, si distinse per tale coraggio nella conquista della cittadina di Paternò che ne ottenne la signoria feudale e il nome. Roberto fu inoltre insignito dal Gran Conte dei feudi di Aylbacar e di Buccheri assumendo un'importanza tale che il suo stemma "Barcellona", di rosso a quattro pali d'oro attraversato da una banda d'azzurro divenuto anche quello dei Paternò (quello nella metà di sx delle foto in mezzo e in basso), fu posto accanto a quello del Gran Conte Ruggero e a quello della Città di Catania sull'architrave del Duomo di Catania. Nel XVII secolo la linea dei Paternò diventa Paternò-Castello per il matrimonio nel 1553 tra Don Angelo Francesco Paternò IV barone di Aragona etc. e Francesca Castello dei baroni di Biscari (ex casale saraceno Odogrillo, oggi Acate - Rg, in possesso di Gugliemo Raimondo de Castellis poi solo Castellis e infine Castello dal 1478). Infatti, è il primogenito di Don Angelo Francesco e di Francesca Castello, Don Orazio Paternò (+1614) ad aggiungere, per la prima volta al suo, il cognome della madre, Castello, divenendo Orazio Paternò Castello V barone di Aragona etc. e I barone di Biscari. Nel 1633 il figlio di Orazio, Agatino, diventa il I principe di Biscari col diritto di mero e misto imperio. Lo stemma dei Castello era d'azzurro al castello di tre torri d'oro, come quello nella metà di dx delle foto in mezzo e in basso. Ora, in quella che considero l'enciclopedia ecclesiastica piazzese, Storia Ecclesiastica della città di Piazza Armerina, 1988, del grande storico gen.le Litterio Villari, tra Le ultime notizie sulla Commenda di San Giovanni Battista di Piazza a pp. 178 e 179, troviamo come commendatori siciliani: «Seguì intorno al 1740 frà Michele Paternò dei baroni di Raddusa e di Destra. Questi, nato a Catania nel 1706 da Vincenzo Paternò-Trigona e da Anna Bonajuto-Paternò, aveva la nonna piazzese - Silvia Trigona Marchiafava di Spitalotto - e quindi contava a Piazza molti parenti fra i Trigona e gli Starrabba. Ammesso nell'Ordine quale cavaliere novizio [...], giovanissimo ottenne la recevittoria di Augusta e quindi la commenda di Piazza. Qui giunto, diede inizio a grossi lavori di abbellimento della chiesa; [...] curò l'incisione di lapidi-ricordo, su una delle quali è scritta la data (a. 1764). [...] Ultimo commendatore fu frà Francesco Paternò-Castello, ricevuto nella religione nel 1749. Occupò la carica di Ammiraglio e di Piliere d'Italia dal 2 dic. 1779 al 28 nov. 1780, oltreché godette le rendite delle commende di S. Maria del Tempio di Caltagirone, di S. Giovanni di Barletta e del S. Sepolcro di Brindisi». Alla luce di questa premessa, che dimostra lo stetto rapporto tra le Commende dei due centri abitati e la famiglia Paternò, mi piace pensare che, tra le tante cose che legano queste due cittadine, si possa aggiungere anche quest'altro tassello araldico-gerosolimitano legato a un componente dell'illustre famiglia Paternò-Castello, Cavaliere e Commendatore titolare alla fine del Settecento sia della Commenda di San Giovanni Battista di Piazza sia di quella di San Giovanni Evangelista di Aidone.

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Edicola n. 58

L'Edicola Votiva n. 58 è quella che si trova in via Iaci. È una via poco conosciuta se non da chi risiede da quelle parti, pur essendo a un passo dal piano Demani (ex largo Gaffore barone del Toscano) e dalla via Cavour, zona una volta conosciuta col nome d' Sànta R'sulìa, cuore palpitante della Ciàzza sino agli anni Settanta. Poi, con l'espansione verso est, il mercato ortofrutticolo e alimentare subì un crollo che decretò l'eliminazione di tutte gli esercizi commerciali che esistevano fuori e dentro i locali dell'ex Centrale Elettrica a nafta, ex Palestra Ginnica, ex Chiesa e Convento Carmelitano di Santa Rosalia, sorto nella prima metà del Seicento. Noi di una certa età ricordiamo con un pizzico di nostalgia il nostro "Centro Commerciale" all'aperto con l'immensa (era l'impressione che dava a noi piccoli) pescheria dove  s'incartavano sàrdi, m'rrùzzu e gammarèddu nei grandi còppi di cartapaglia gialla. Ritornando alla nostra Edicola, possiamo dire che è tenuta bene con una grata in ferro che custodisce la Sacra Famiglia in gesso. La via è intitolata alla famiglia che abitava nei pressi, quella degli Iaci o Jaci baroni dei feudi Magnini e Feudonuovo e, nel 1641, anche del Casalotto. Questa nobile famiglia abitò anche nel palazzo da Calata û Collegiu, come ci ricorda il grande stemma sul portone del palazzo costruito da uno dei pochissimi duchi di Piazza, Desiderio Sanfilippo duca di Grotte. Della famiglia Jaci c'è lo stemma anche nella chiesa del Carmine.

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Fontana Bivio Capodarso/n. 64

Siamo in territorio tra le province di Enna e Caltanissetta. Questa è la Fontana n. 64 a pochi metri del Bivio Capodarso. È molto semplice e si nota appena svoltando a sx per andare verso Pietraperzia, provenendo da Enna. Prima che mi mettessi a censire le fontane/abbeveratoi non l'avevo notata, anche perché spesso coperta da auto di pendolari in sosta e dall'immancabile trascuratezza che impera sulle nostre strade. Questo territorio anche se si trova molto distante dalla nostra città, faceva parte del feudo in possesso di un lontano concittadino, Vincenzo Crescimanno I barone di Capodarso e barone di Bubutello nei primi anni del Settecento. Ai più non dice alcunché, ma se dico Piano Barone o Ciàngh Baròngh qualcuno drizza le orecchie. Infatti, il largo che c'è tra la piazza Garibaldi e la discesa dell'Itria è stato intitolato proprio a questo famoso antenato. Grazie ad Alceste Roccella possiamo sapere che il barone era <<amico e precursore del Metastasio e costui ricevea dal Crescimanno i tema sui vari melodramma che scrisse. Poeta celebrato nella parte erotica e melodrammatica con rima leggiadra e scorrevole... i suoi carmi furono lodati dai poeti contemporanei e dal pontefice di cui il Capodarso godea immensa stima. Morendo nel 1752, i suoi manoscritti furono involati dal medico Arena di Aidone, suo intimo amico e confidente>>. Un'ultima cosa, il toponimo "Capodarso" probabilmente deriva dal colore "bruciato, arso, rosso" che hanno le colline a picco sulla valle solcata dal fiume Imera meridionale. Girando su internet ho trovato notizie interessanti sul Ponte Capodarso, una tra tante è che il primo ponte fu costruito nel 1553 per ordine di re Carlo V d'Asburgo, sì proprio quello che diede a Plaza, come veniva chiamata la nostra città allora, il titolo di Civitas Opulentissima (Città Ricchissima) nel 1516. Dopo cinque secoli mi sembra di non meritarcelo proprio questo titolo reale.  

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Altro aidonese in un quadro in Biblioteca

Ritratto Giuseppe RANFALDI, aut. ignoto, XIX sec., Bibliot. Com.le, Piazza Armerina

L'opera scritta di Giuseppe Ranfaldi, 1884

Nel post di qualche settimana fa, avevo parlato della presenza nella Sala della Mostra del Libro Antico, nella Biblioteca Comunale di Piazza Armerina, del ritratto di Rosario RANFALDI, dottore in legge, lettere e filosofia, poeta e storico nato nella vicina Aidone nel 1766 e morto nel 1833. Subito dopo la pubblicazione dell’articolo, il prof. Marco Incalcaterra aveva precisato che oltre a questo quadro ce n’erano altri tre che ritraevano membri della stessa famiglia, uno lo stesso storico Rosario, un altro, accanto e della stessa dimensione, un prelato della famiglia e uno molto più grande che ritraeva Giuseppe RANFALDI (nella foto¹). Dal volume del prof. Vincenzo FIORETTO, Le Stelle fulgide di Aidone dalle origini ai tempi moderni, PARUZZO Editore, CALTANISSETTA 2010, apprendiamo a p. 91 che <<Ranfaldi Giuseppe Andrea nacque ad Aidone il 4 febbraio del 1821. Da giovane fu mandato a studiare nel seminario di San Rocco, a Palermo, dove intraprese gli studi classici con grande profitto. Di lui fu scritto: “Giuseppe Andrea Ranfaldi nacque da genitori culti ed agiati… Alla scuola a niuno (era) secondo”. A Palermo rimase molti anni e quando ritornò in Aidone era già laureato in medicina. Poco tempo dopo andò a Napoli dove esercitò, con tanta stima, la professione medica. Essendosi ammalato di epilessia e di paresi al braccio destro, ritornò in Aidone dove aiutò i diseredati e gli ammalati, con i suoi beni e con la medicina. Egli era storico, poeta satirico, letterato e filosofo, ma, quando gli Aidonesi gli portarono monete, vasetti storici, pezzi di mosaici ed altri reperti archeologici, provenienti dalla contrada chiamata Serra d’Orlando, per saperne la provenienza ed il valore, egli incominciò a studiare archeologia, leggendo quello che era stato scritto sulla numismatica e sulla storia antica sicula, greca e romana… Da questo studio venne fuori il bel volume intitolato “Ricerche storico-critiche sulle cose di Sicilia antica, vertenti alla illustrazione di una diruta città sicula”. Quest’opera fu pubblicata nell’anno 1884, a spese del Comune (foto in basso²). Il Ranfaldi consacrò questa opera agli Aidonesi Gaetano Scovazzo, Filippo Cordova, Lorenzo Calcagno, glorie recenti. Egli scrisse anche molte memorie scientifiche per l’Accademia Gioenia di Catania, di cui era corrispondente. Ranfaldi Giuseppe Andrea morì ad Aidone, a 45 anni, il giorno 18 giugno 1866>>. Dallo scritto non appare alcuna relazione con Rosario RANFALDI, ma l’anno di nascita di Giuseppe (1821) non la esclude del tutto, anche perché si parla di “genitori culti ed agiati” che “fu mandato a studiare a Palermo… dove rimase molti anni” e Palermo fu la città “dove dimorò per molto tempo” anche Rosario Ranfaldi. Per quanto riguarda la presenza dei quadri di questa famiglia aidonese a Piazza Armerina, riporto quanto comunicato dal prof. Incalcaterra: <<In biblioteca ci sono quattro ritratti di Ranfaldi. Due sono della stessa persona di cui tu hai parlato, il terzo è per intero e ritrae Giuseppe Ranfaldi, il quarto è di un canonico Ranfaldi. Sono in biblioteca perché furono ceduti al Comune durante la sindacatura di Nigrelli da un privato che li possedeva in quanto trovati nella casa acquistata da eredi della famiglia Ranfaldi. Fui io stesso che feci sapere al sindaco Nigrelli di questi quadri e della volontà di alienarli. Io ho conosciuto personalmente alcuni dei Ranfaldi che stavano a Piazza in questo cugini in secondo grado di mia nonna materna. Uno degli ultimi diretti discendenti non vive più in Sicilia>>.   

¹ La foto non mostra la parte inferiore del quadro per risaltare maggiormente il ritratto molto scuro in ambiente con poca luce. Nella parte mancante del quadro che si presenta molto deteriorata, in basso a dx, sembra esserci un volume con delle parole, una di queste pare che sia "Ranfaldi".  

² La foto dell'opera scritta da Giuseppe Ranfaldi del 1884 è stata inserita nell'aprile del 2018, perché recuperata in un secondo momento dall'amico Pino Farina e da lui postata su facebook.

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