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Cronarmerina - Marzo 2025

A sciunna/1

Se facessimo un sondaggio, tanto di moda in questo periodo, per sapere quanti ultracinquantenni hanno avuto tra le mani questo attrezzo, sicuramente toccheremmo percentuali altissime, oltre il 90%. Infatti, un altro attrezzo ludico di tanti decenni fa era la FIONDA o, come la chiamavamo noi, A SCIÚNNA. Si componeva di tre parti, tutte della stessa importanza. Prima di tutto A FURCÈDDA che era la parte in legno, se di pino meglio perché i rami più flessibili potevano essere piegati, dopo averli legati cu ferruf'latu e messi sul fuoco, tanto da fargli assumere la tipica forma a U, con il manico in basso a Y. La seconda parte era formata da due strisce di materiale elastico chiamati LEGACCI, nulla di più indicato di due fettucce di camera d'aria per bicicletta (quella per auto non era adatta perché più spessa e occorreva più forza per tenderla) da legare con estrema cura alle estremità della U. La terza parte era formata da un rettangolo di cuoio, di pochi centimentri di lato, con due fori dove si facevano passare i legàcci e che serviva a contenere il proiettile da lanciare dopo averli tirati indietro con forza, tipo tiro con l'arco.  Di solito questo cuoio si ricavava da vecchie scarpe o borse e borsette delle nostre madri. Anche se non faceva parte della sciùnna, un accessorio importantissimo erano "le munizioni" che si lanciavano. Dalla loro forma, peso e materiale dipendeva il risultato finale nel colpire il bersaglio che, 9 volte su 10, veniva mancato. Il proiettile più usato era quello a portata di mano, na p'trùzza meglio se 'n cutìcchiu d sciùm, molto più levigato e tondo.

► Domani la seconda parte.

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24 Maggio 1915

Il bersagliere Angelo Masuzzo, 1915
 
Il 24 Maggio 1915 l'Italia dichiara guerra all'Austria-Ungheria. Il nostro paese entra così nel vortice della Prima Guerra Mondiale, un vortice che in tre anni rischia di trasformarsi in una catastrofe militare con la disfatta di Caporetto e che solo l'eroica resistenza sulla linea del fiume Piave riesce a riscattare in modo vittorioso. Proprio all'epopea del Piave è dedicata la canzone patriottica di maggior successo nella storia italiana, La leggenda del Piave o La canzone del Piave, canzone che fra il 1943 e il 1946 è anche inno nazionale provvisorio. A scriverla è il maestro Ermete Giovanni Gaeta (Napoli 1884-1961) che rinuncia ai diritti d'autore e anche a tutti i premi ottenuti dalla canzone (per lo più medaglie d'oro) in favore dei reduci e degli ex combattenti del Piave. Alla fine del conflitto, Piazza contribuisce con il sacrificio di 270 soldati morti su un totale di 650.000 italiani morti. Tra i tanti che partono per il fronte, e i pochi che ritornano vivi, c'è mio nonno paterno, il bersagliere Angelo Masuzzo ('Ngiulìddu u bèrsaglier) classe 1893, del X Bersaglieri-Arditi. Porta con se il fucile che risulterà l'unica ricompensa (oltre alla medaglia di Cavaliere di Vittorio Veneto, dopo tanti anni) in quanto aspetterà invano il premio dell'assicurazione di 1.000 lire che sarebbe toccato a ogni reduce.  

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it  

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La fiera in Piazza Duomo

Nel 1838 la fiera esente da dazio chiamata Fiera Franca, di patronato della Chiesa Madre Cattedrale, viene portata al 22 maggio ed eseguita nel piano della Santa Cattedrale iniziando dalla Cantoniera del Vescovado. Questa è una delle rare occasioni per guardare e, se possibile, acquistare indumenti e attrezzi che possono servire nei prossimi mesi estivi, soprattutto per il lavoro nei campi. La fiera, che dura due settimane, è chiamata anche fiera del Santissimo Sacramento o del Corpus Domini (in giugno, la nona domenica dopo quella di Pasqua) e richiama molti mercanti anche da paesi lontani, perché non si paga la tassa per la vendita (dazio) che, invece, si paga nelle altre ogni volta che le merci entrano o escono dai centri urbani. La fiera sul Piano della Cattedrale si svolgerà sino al 1858, per poi spostarsi in altre zone della Città, come il Piano Sant'Ippolito, Piano del Patrisanto o dei Teatini, etc. Un'altra Fiera Franca è quella del bestiame che dal 1613  si svolge alla Bellia l'8 settembre, nell'occasione si festeggia la Madonna della Noce. Questa alla Bellia prima si faceva davanti la chiesa di S. Pietro, poi davanti la Commenda di S. Giacomo d'Altopascio (cimitero nuovo). Dalla Bellia poi si trasferirà al Piano Sant'Ippolito, infine all'ex SIACE. 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

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8^ Veduta della Città

Veduta della Città nella II metà del 1700
Vista nuovamente da Est, ovvero dall'alto del borgo Casalotto, ma questa volta la Chiesa Madre è con la cupola, pertanto dovremmo trovarci a metà XVIII secolo. In alto a sx l'inconfondibile Castello Aragonese, verso dx dei palazzi con merli che precedono la Chiesa Madre. Subito sulla dx svetta un grande edificio con una torretta, probabilmente quello del Vescovado. Ancora a dx, ma più in basso, la grande chiesa di S. Francesco col suo alto campanile. Ma dietro se ne scorge un altro (?) con la bandierina svolazzante. Alla sx, dopo diversi grandi edifici, quello grande del Collegio e chiesa di Sant'Ignazio. In basso al centro la grande piazza Maggiore o Pescara sormontato dal Palazzo Senatorio, e in basso il grande campanile con ancora la guglia di S. Giovanni Evangelista. Alla sua dx il grande edificio della chiesa e convento dei PP. Agostiniani. Ancora più in basso la grande strada (oggi via Garibaldi) che arriva sino alla porta di S. Giovanni Battista, con la Commenda a dx, sempre in questa direzione ma lontano dalle mura, il Gran Priorato di Sant'Andrea. Non si distingue bene la chiesa di S. Stefano a sx della porta di S. Giovanni Battista, mentre è ben visibile in basso a sx quella del Carmine, col suo convento fuori le mura della Città.
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Ospedale di Piazza/4^ Sede 6° Nome

Il chiostro del convento di S. Francesco poi Ospedale Chiello
Nel 1771 il chierico Michele Chiello oltre a fondare un "Monte Prestami" (o dei Pegni) per combattere l'usura, dota di ricche rendite un nuovo ospedale che prende il nome di Ospedale Chiello (che poi rimarrà sino ai nostri giorni). Il nuovo ospedale si insedia nello stesso stabile dell'altro già esistente Ospedale di S. Giovanni di Dio dei Padri Fatebenefratelli. I due ospedali, che hanno distinte amministrazioni, operano dal 1780 come istituzioni complementari alla Facoltà di Medicina della Regia Accademia degli Studi di Piazza condotta da Padri Domenicani. Questi hanno sostituito i Padri Gesuiti espulsi dal Regno di Sicilia nel 1767, dopo 78 anni dall'istituzione dell'Università degli Studi che li ha visti, tranne che per i quattro anni di chiusura dovuta alla Controversia Liparitana (1715-1719), sempre alla sua guida. I due ospedali comprendono pochi posti letto, 8 al massimo, e in un locale accanto alla grande porta c'è la ruota di legno per gli esposti (trovatelli) con la campanella per avvertirne la presenza. Una ruota simile ancora è ben visibile all'interno a dx, dopo il portone d'ingresso, del Monastero delle Benedettine di S. Giovanni Evangelista.
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Reportage da vedere

Mario Noto
Una delle 22 foto della mostra
Ero indeciso tra i tanti titoli che potessero incuriosirvi a tal punto da convincervi ad andare a visitare la mostra fotografica nella nuova "Casa della Cultura" in via Garibaldi: L'Ovest di una volta, Il Sud nel dopoguerra, Ritorno al passato prossimo, Settanta anni fa, Due passi a Est, ma poi ho deciso altrimenti. Al nostro concittadino Mario Noto, autore di questi 22 scatti, risultato di diverse settimane di permanenza in quelle terre martoriate dalla guerra civile, oltre a confermargli la bella presentazione scritta da Concetto Prestifilippo "...Il reportage fotografico di Mario Noto, ha lo stesso valore eversivo delle indagini sociologiche del secolo scorso... i personaggi non hanno nazionalità. Non hanno nulla. Sono uomini sventurati. Sono l'insulto al falso mito di progresso. Sono brandelli di anime... Le inquadrature dei ritratti... non lasciano indifferenti... immortalano realtà rerefatte.", ho lasciato queste parole sul libro dei visitatori: "Guardando le tue foto, ho provato tanta invidia per non averle fatte io!". Sentiremo parlare molto di questo superfotografo al quale vanno i miei complimenti.  
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it 
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U carrözz

U carrözz
Ed eccovi subito una foto d 'n carrözz che mi è stata inviata affettuosamente e celermente da un assiduo visitatore del blog. Era proprio così il mezzo di trasporto ludico tanto usato negli anni '60, e anche prima, per le strade di Piazza. Per l'uso erano indicate soprattutto le strade in discesa, e nella nostra Città, tutta in collina, non mancavano di certo e c'era l'imbarazzo della scelta: via Cavour, via Itria, via S. Stefano, via Castellina, via Roma, via Monte. Bastavano due tavole di legno, di cui una molto più larga, e tre cuscinetti (sempre difficili da reperire) e voilà il mezzo di locomozione bello da fare invidia. Le tecniche per montare sul bolide a spinta era due: a) da seduti, ma la guida tirando u rumaneddu come redini era alquanto difficoltosa, specie nelle curve ad alta velocità, ma, in cambio, dava la possibilità di "viaggiare" in due; b) da sdraiati, a pancia in giù, dove si potevano raggiungere facilmente le velocità da slittino su ghiaccio e anche il più vicino pronto soccorso, cioè u sp'tàl Chiellu! Perché, una volta partiti, il problema era come frenare a quella velocità in presenza di qualche ostacolo fermo, come 'na cantunera, o uno mobile, come u zìu cu scèccu! Di solito per frenare si usavano i talloni per la prima tecnica, le punte dei piedi per la seconda, per la gioia dei calzolai! Grazie all'amico che ci ha fatto rivivere l'ebbrezza di quella velocità incosciente.
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1411 - La regina Bianca di Navarra

Castello di Pietratagliata o dei Gresti

Nel maggio del 1411 la regina vicaria Bianca di Navarra (1387-1441), vedova di re Martino I d'Aragona detto il Giovane, trovandosi ad Assoro, dopo aver fatto tappa presso il castello di Pietratagliata nella foto (si trova tra Aidone e Raddusa), approva i Capitoli per la Terra Placie o Universitati di Plaza che in questo periodo conta 8.000 abitanti. Queste nuove regole vanno a integrare quelle già in uso presso la nostra Città come, per esempio, quella che per trattare questioni di grande interesse prevede la riunione del Consiglio Civico Generale, sempre dietro autorizzazione del Re. Il Consiglio, composto da 400/500 cittadini, si riunisce presso la Chiesa Madre dedicata a S. Maria Maggiore, unico edificio in grado di accogliere tale gran numero di persone. Diciannove anni prima i due sovrani hanno completato la costruzione del Castello Aragonese, che è stato realizzato dopo aver trasferito il convento francescano preesistente dove c'era stato sino ad allora il Vecchio Castello di Placea. Il borgo che era nato ai piedi di questo Vecchio Castello aveva già preso il nome di Castellina, poi uno dei quattro quartieri storici della Città. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

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Famiglia Lancia o Lanza

D'oro al leone coronato di nero, linguato di rosso, con la bordatura d'argento e di rosso
La famiglia Lancia o Lanza discende da Ernesto duca di Baviera che, nel 970 ca., è nominato il capitano dalla grande Lancia, da ciò il cognome. I figli di questi vengono in Italia, precisamente in Lombardia e nel napoletano. Il capostipite della famiglia in Sicilia è Bonifacio Lancia signore d'Anglona. Per quanto riguarda il nostro territorio nel 1300 Ugo Lancia è feudatario di Imbaccari Superiore, dei Censi e Decime dei Mulini di Platie, di Bessima, di Castania, di Castelminardo e, nel 1342, aderente al partito catalano. Il figlio Blasco Lancia è feudatario di Mongiolino (Mineo), Ficarra, Galati e Longi. 1330 ca. Cesarea Lancia dei conti di Caltanissetta sposa il duca Giovanni d'Aragona (1317-1348). 1340 Nicolò Lancia è sindaco della Città e appoggia il partito catalano del duca Giovanni e nel 1342 è stratigoto (ufficiale di nomina regia). 1342 Barbara, unica figlia di Blasco, è baronessa di Imbaccari Sup. e va in sposa a Bernardo di Villardita. 1356 Corrado, fratello di Blasco, è barone di Sinagra e Blasco, privato del feudo e del castello di Mongiolino, si trasferisce nei suoi feudi di Ficarra, Sinagra, Brolo, Galati e Longi, siti in territorio di Patti (Me). Da re Federico III di Sicilia Blasco ottiene il feudo e il castello di S. Teodoro presso Troina. Avverso al partito chiaramontano è nominato nel 1358 capitano di Platie, ma ribellatosi al Re viene spogliato dei feudi di Brolo, Ficarra, Sinagra e S. Teodoro. Nel 1362 si adopera per la pace, chiamata appunto "pace di Piazza", e viene reintegrato nei suoi beni. Nel 1391 gli vengono nuovamente confiscati i beni ma nel 1393 gli vengono restituiti. 1392 a Pietruccio, figlio di Corrado, i sovrani aragonesi (Martino il Giovane e Bianca di Navarra) lo privono dei suoi beni feudali, ma dopo 6 anni riottiene l'investitura di Sortino (Siracusa), terra della madre, Caterina de Moac. Gaetano Masuzzo/www.cronarmerina.it
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