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Cronarmerina - Novembre 2024

Sodalizio dei Calzolai

U màstr scarpèr cu döi carösi e primi du '900

Sodalizio dei Calzolai

Il Sodalizio dei Calzolai, che comprendeva anche quello dei Conciatori di pelli e dei Calzettieri, è tra i più antichi Sodalizi della nostra Città. Addirittura dobbiamo andare indietro sino al 1253 ca. quando, dopo il loro arrivo, i Padri Domenicani iniziano la costruzione della chiesetta dedicata a San Domenico e alla Madonna del Rosario e fondano il Sodalizio dei Calzolai, Conciatori e Calzettieri, dedicandolo ai Santi Crispino (non Cipriano¹) e Mercurio². Questo Sodalizio si unisce nel 1550 all'altro degli Artigiani, sempre fondato dai Domenicani, nella vicina chiesa di S. Vincenzo, che proprio in quegli anni inizia a essere costruita. La zona dove viene edificata la chiesetta di S. Domenico è quella oggi occupata dal Seminario Vescovile, che doveva essere in passato un'area dov'erano presenti molti di questi laboratori tutti inerenti alla lavorazione del cuoio. Le concerie in quella zona sfruttano soprattutto l'acqua delle sorgenti del Piano Patrisanto, ma col passare del tempo, diventando più grandi, si spostano nella parte più bassa e periferica della città (quartiere Canali) dove arriva più acqua anche da altre sorgenti. Infatti, poco distante dal Seminario, esiste la via Calzettieri altrimenti detti Calzettai. Le botteghe dei calzolai erano quasi sempre di piccole dimensioni perché non avevano bisogno di grossi macchinari, tutt'al più una macchina da cucire, quando andava bene, così gli artigiani erano soliti mettersi davanti la porta col loro banch'tteddu a travagghiè a söla cu a lesna e u tr'ncètt dopo averla battuta col martello dalla testa piatta. Quando il lavoro prosperava c'era questo detto tra gli artigiani: A sti témpi bàtt a söla! (in questo periodo si batte sulla suola). Prima i calzolai erano numerosissimi, una porta sì e una no, perché le scarpe e gli scarponi cu i tàcci, quando i pìcciuli lo permettevano, si risuolavano diverse volte, non come oggi che le gettiamo appena occorre 'nsuprataccu, e se la famiglia era numerosa non era raro passarle al fratello minore, e questo avveniva anche per l'abbigliamento. La nostra Città era piena d scarpèri, o in piazzese più recente scarpàri, ma la zona a più alta densità era l'odierna via Marconi. I scarpèri o cr'v'sèri (in siciliano cruvisèri dal francese antico courvoisièr derivato da corvois = cuoio di Cordova) erano così tanti che la via prese il nome anche di Cr'v'sarìa ridotto a Cas'varìa, Crasvarìa, Corbisarìa ovvero Strada dei Calzolai.

¹ Nel marzo del 2018 ho riscontrato l'errore di copiatura, effettuato a suo tempo dallo storico Litterio Villari, nel riportare quanto da lui appreso dal manoscritto Chiese conventi ed istituti di Filantropia in Piazza di Alceste Roccella. Questi, infatti, aveva scritto «Sodalizio dei SS. Crispino e Mercurio» e non, come riportato dal Villari, dei «SS. Cipriano e Mercurio». In effetti San Crispino è ricordato come protettore dei calzolai e dei conciatori perchè come il fratello, San Crispiniano, aveva scelto di fare il calzolaio.

² L'11 agosto del 2012 il quadro, rappresentante il Santo di autore ignoto del 1609, è stato presentato al pubblico, presso la Pinacoteca Comunale di Piazza Armerina, grazie al vescovo Pennisi a cui il quadro appartiene e che ha voluto condividere l'opera con i cittadini e i turisti. «All’inizio si pensava che il dipinto raffigurasse San Mercuriale tradizionalmente indicato come il primo vescovo di Forlì, successivamente si è giunti alla conclusione che si tratta di San Mercurio un santo militare che visse in Cappadocia. Sembra che l’artista abbia ripreso  il modo di dipingere molto diffuso in Sicilia intorno al quattrocento, in particolare del pittore Filippo Paladini, ponendo il santo al centro e raffigurando ai lati delle scene della sua vita» in <https://www.startnews.it/startmobile/stampanews.asp?key=6021> ultima lettura 19/10/2021. Da qualche anno il quadro rappresentante San Mercurio si trova nella sede originaria, ovvero in un altare minore a dx della navata della chiesa di San Vincenzo Ferreri. La presenza di San Mercurio nell’intitolazione del Sodalizio, della statua e di un quadro in un altare della chiesa, si spiega perché “Mercurio”, nella mitologia romana, è il dio dei commerci e, in quella greca, corrisponde a Hermes figlio di Giove, dio, tra le altre cose, dei viaggiatori, dei pastori e mandriani, dei poeti, dell’astuzia e del commercio. San Mercurio fu un martire soldato scita, decapitato intorno al 250 d.C. perché, assurto al grado di generalissimo dell’esercito romano, non ripudiò il suo battesimo e che, più di cent’anni dopo, nel 363, la leggenda dice che fu l’uccisore di Giuliano l’Apostata per ordine della Vergine Maria. Il culto del Santo venne nell’Italia meridionale assieme ai Bizantini nel VII secolo, quando portarono con sé i resti di San Mercurio e di altri santi, per essere aiutati nella vittoria contro i Longobardi. Il secolo successivo lo troviamo venerato, assieme ad altri cavalieri celesti (S. Demetrio e S. Giorgio), dai Longobardi prima e dai Normanni dopo, durante la prima Crociata. (cf. Giovanni Mascia, San Mercurio, chi era costui?, in “Il bene comune”, pp. 90-95, <http://www.toro.molise.it/public/news/foto/sanmercu.pdf> ultima lettura 15 gennaio 2019). 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

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1777 - 6° titolo della Città

 
L'ingresso del Senato dalla via Cavour
L'anno 1774 scolpito sull'arco

 6° Titolo di Senato

Nel 1777 la nostra Città, che da 42 anni è sotto il regno dei Borboni, ottiene da re Ferdinando IV di Borbone III di Napoli e III di Sicilia, detto re Nasone, il titolo di Senato (anche se questo titolo è già presente in un documento del 1671 riferendosi alla Corte Giuratoria). Nell'Isola già godono di questo titolo 9 città, tra le quali, oltre alle maggiori di allora, Caltagirone, Lentini e Cefalù. Successivamente avranno questo titolo anche Nicosia, Sciacca e Noto. In questi quattro decenni Platia con un ospedale, un orfanotrofio, un monte di Pietà, 34 baroni, diversi conti, 2 marchesi, 2 duchi e un principe tra i suoi 16.000 abitanti, è ritenuta tra le maggiori città della Sicilia e occupa il 23° posto nel Braccio del Parlamento Siciliano, riservato alle città demaniali, col titolo di Opulentissima. Nonostante le continue carestie e pestilenze che si abbattono sulla popolazione, data la sua posizione strategica, la Città è in grado di sopportare economicamente lo svolgimento della Mostra della Milizia, che vede ogni volta la presenza di 12.000 uomini provenienti da tutta la regione, ospitati dentro e fuori le mura. Probabilmente tra i tanti meriti, questo è il principale che influisce favorevolmente sulla concessione del titolo. Mentre vengono espulsi dal Regno i Gesuiti, con notevole danno per gli studenti che frequentano il nostro "Collegio-Seminario", viene ultimata la cupola della nuova Chiesa Madre. La sede del Senato è nell'ex sede della demolita Loggia Comunale e conferisce il privilegio ai Giurati che passano da 4 a 6, di chiamarsi Senatori tra i quali uno assume il titolo di Patrizio. Il primo Patrizio è il conte Vincenzo Starrabba, fratello di Gaetano principe di Giardinelli, ambedue fondatori del paese di Pachino nel loro feudo di Scibini tra il 1756 e il 1760.
Gaetano Masuzzo/www.cronarmerina.it       
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Chiostro francescano di S. Pietro

Plastico del complesso francescano di S. Pietro
Plastico del chiostro francescano di S. Pietro

Dal plastico realizzato dagli alunni qualche anno fa e fotografato nell'antrone della Scuola Media "Cascino", si può avere un'idea di come dovrebbe tornare a essere il chiostro del Convento Francescano dei Frati Minori Osservanti di San Pietro. Il convento fu costruito a partire dal 1502, due anni dopo che fra' Michele da Piazza, dei frati Osservanti del Convento di S. Maria di Gesù, aveva fatto richiesta di altri locali più vicini al paese per i novizi, dato il cospicuo aumento delle vocazioni e le precarie condizioni di quello lontano dalla Città. I lavori furono inaugurati dal frate laico fondatore Ludovico da Caltagirone (come si legge nella piccola lapide a sx dell'altare maggiore). Dopo settanta anni, nel 1578, da Osservanti i frati francescani diventano Riformati, ovvero degli Osservanti ma più rigorosi e ottengono il permesso papale di continuare l'esperimento nei due conventi di Piazza oltre che nei due di Agrigento e in quello di Palermo. Pertanto i due di Piazza si confermano tra i più rinomati, prima dell'unica Provincia Francescana dell'Isola, poi della Provincia della Val di Noto, diventando in breve tempo "Seminari di Santità e di Dottrina" essendo fornite di ricche biblioteche con migliaia di pregevoli volumi, così preziosi e unici che non sono pochi quelli che vengono sottratti da chi vi può accedere, per qualsiasi motivo. A tal proposito potrebbe interessarvi la mia ricerca sulla grande epigrafe posta originariamente sulla porta di una delle due e oggi affissa alla Biblioteca Comunale (chiostro del Collegio dei Gesuiti), che ammonisce con bolla pontificia nel 1618, pena la scomunica e altro, chi ruba o danneggia i libri ivi custoditi, cliccando su L'Epigrafe della Biblioteca di Piazza.

cronarmerina.it

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Ma autonomi da chi?

Questa è la bandiera siciliana, adottata per la prima volta nel 1282 nelle fasi del Vespro siciliano, quando ci fu la sollevazione contro i Francesi. Il colore giallo indica la città di Palermo, quello rosso di Corleone. Al centro c'è la Trinacria, un essere con tre gambe. Il termine deriva dal nome che i Greci diedero alla Sicilia Trinakìa = Trinacrios (treis = tre e àkra = promontori: Capo Passero, Capo Peloro e Capo Lilibeo). Questo vessillo era accompagnato anche dal termine ANTUDO che sta per ANimus TUus DOminus cioè il coraggio è il tuo signore (non i francesi). Questa è storia del passato, più recentemente, il 15 maggio del 1946, con Decreto Regio (è questo che si festeggia oggi) c'è stata l'istituzione della Regione Siciliana con Statuto Speciale d'Autonomia. Ma AUTONOMIA da chi e con quali BENEFICI e per chi?

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

  • Pubblicato in Uomini
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6° e ultimo Santo Compatrono

6° Santo Compatrono di Piazza, Sant'Ignazio di Loyola

Nel 1605 i Gesuiti col contributo di 10.000 scudi del Comune e di molti ricchi cittadini, erigono una "Casa Professa". E' la terza in Sicilia e la prima a essere dedicata al fondatore della Compagnia di Gesù, lo spagnolo Sant'Ignazio di Loyola (1491-1556). Nove anni più tardi i Padri Gesuiti gli dedicano anche la chiesa vicina, quando ancora è Beato, verrà canonizzato Santo nel 1622. Nel frattempo, nel 1615, la "Casa Professa", con l'assicurazione del Comune di 12.000 scudi all'anno, si trasforma in "Collegio degli Studi" prima col quinquennio degli Inferiora, poi con gli altri 6 anni di Studium Artium et Naturalium, alla fine dei quali, dopo aver ottenuto il Boccalaureato si consegue il Magistero o Dottorato. Tutto ciò sino al 1689, anno in cui coi proventi dell'eredità del padre Gesuita don Antonino Chiarandà, insieme a quelli di altri due Padri piazzesi, si istituisce l'Università degli Studi con l'aggiunta di altri 6 anni di Studia Superiora, altrimenti chiamati Seminario Generale di Teologia. In questi altri sei anni le materie studiate spaziano dalle Sacre Scritture alla Medicina, dalla Fisica alla Retorica, dal Diritto alla Matematica. Al termine dei primi tre anni si viene dichiarati Maestri d'Arte, alla fine degli ultimi tre anni Dottori in Teologia. Il terribile terremoto del 1693 causa non pochi danni al Collegio e alla Chiesa, ma con spese ingenti verranno ricostruiti definitivamente nel 1725. E' durante l'inaugurazione che i cittadini di Platia proclamano loro compatrono e protettore (il 6°) il Santo a cui è dedicata la Chiesa restaurata. Nel 1767 il Collegio con l'Università viene chiuso per l'espulsione dei Gesuiti dal Regno delle Due Sicilie, ma dopo 13 anni riapre sotto la direzione dei Padri Domenicani prendendo il nome di "Regia Accademia degli Studi". I Padri Gesuiti ritorneranno soltanto nel 1804 per volontà di re Ferdinando IV di Borbone.
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Sodalizio dei Becchini e/o Bastasi

Villetta delle rose, poi Villetta Roma e Villetta Gen.le Ciancio¹
Sodalizio dei Becchini e/o Bastasi
Tra i tanti Sodalizi a Piazza c'era pure quello formato dai Becchini o Facchini o, come venivano chiamati nella nostra Città, Bastasi, termine probabilmente derivante dal greco bastazo = aiutare, sostenere, portare, sopportare, portare via, chi porta qualcosa sulle spalle; anche dal latino medievale vastasius e bastasius = facchino e dal latino tardo bastaga = bagaglio. Il termine poi fu usato anche per indicare un uomo rozzo, sgarbato, maleducato, maldicente, o una donna scostumata (anche caiòrda dall'ebraico hajordah = puzzola). La chiesa dove si riunivano era quella di Santa Maria dell'Udienza che, molto probabilmente (la via e la scalinata con questo nome lungo il primo tratto della via Roma lo confermano) esisteva sotto la villetta Roma (nell'angolo in basso a sx della foto). La chiesa era anche conosciuta, sino alla fine dell'Ottocento, come la chiesa dove sostavano, prima della definitiva sepoltura, i corpi dei galeotti fucilati a morte nel sovrastante piano Terremoto. I Becchini o Bastasi erano soliti sostare in Piazza Garibaldi sul marciapiede centrale chiamato Tabarè (perché sembrava un vassoio) con i loro ciumazzéddi (piccoli cuscini ricavati dai sacchi di juta) che servivano a proteggere le spalle su cui poggiavano i grossi pesi.
¹ Oltre a questi tre nomi, ne ha avuto un altro intorno agli anni 30: Villetta Francesco Crispi.
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7^ Veduta della Città

Disegno della veduta 1760 ca.

Eccovi un altro disegno della nostra Città più recente rispetto agli altri già proposti. Infatti, la veduta da Ovest ci mostra la Chiesa Madre finalmente sormontata dalla cupola. Se consideriamo che il maestro locale (non viene precisato se della nostra Città) Michele Boncardi, realizza nel 1760 il tamburo in mattoni che dovrà sostenere la cupola e che l'architetto catanese Francesco Battaglia la completa nel 1767, questo disegno molto probabilmente è di quel periodo. Oltre alla cupola risaltano in alto a dx il Castello Aragonese, sotto la Chiesa Madre la chiesa degli Angeli Custodi, più in basso la chiesa di S. Nicola (poi anche della Madonna della Catena), che in quegli anni minaccia rovina, e una grande porta, quella dei Catalani. In alto a sx il campanile della chiesa di S. Francesco. In quel periodo Platia conta 16.000 abitanti e dal 1735 non fa più parte del regno asburgico bensì del regno spagnolo dei Borboni. Il re spagnolo Carlo III di Borbone nel 1767 decreta l'espulsione dei Gesuiti dal Regno delle Due Sicilie. Nella sola Sicilia vengono chiusi ben 35 collegi gesuitici, tra questi quello di Platia eretto oltre centosessanta anni prima.

(8^ Veduta della Città)

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Famiglia Jaci

D'azzurro al leone d'oro tenente con la branca anteriore una palma di verde e con la sinistra una spada volta in giù e inflitta in uno scudo, il tutto in oro.
La famiglia Jaci (alias Iaci) è originaria di Valenza (non viene precisato se trattasi della città spagnola o del comune in provincia di Alessandria, una volta facente parte della marca del Monferrato), portata in Sicilia da Arnaldo regio segretario nel 1339. 1409 Francesco è mastro notaro della Gran Corte e ottiene la terra di Jaci (non specificato il sito). La famiglia de Jaci (o de Jacio, di Jace) è presente già nel 1510 a Pietraperzia e nel 1514 a Convicino (poi Barrafranca). 1455 Giovanni de Jachi è priore carmelitano a Mazzara. 1520 la famiglia Jaci è presente ad Aidone ed è iscritta alla Mastra Nobile a Pulice (come veniva chiamata allora la nostra Città). 1538 Giovanni Filippo Jaci concede una piccola casa colonica e un piccolo appezzamento di terra in cotrada Rambaldo a dei frati Francescani Cappuccini. 1596 Girolamo di Jaci senior compra i feudi Baccarato e Fargiuni. 1610 Giovanni Francesco ottiene il titolo di barone di Feudonuovo (c/o Aidone). 1630 ca. Domitilla Sanfilippo è vedova di Giacinto Jaci e la figlia, Pelagia, sposa nel 1633 Diego Platamone barone di Pòjura. 1638 Girolamo di Jace junior è proconservatore di Mazzara, giurato e capitano di giustizia della nostra Città nel 1629 e nel 1641 è barone del Casalotto che vende nel 1681. Nel XVII secolo la famiglia Jaci è la più cospicua di Aidone. 1702 Agostino Iaci senior è barone e giurato. 1736 Bartolomeo Iaci è padre gesuita docente nel Collegio della Città. 1743/44 Paolo Jaci barone di Feudonuovo è giurato. 1752 Agostino Iaci junior barone di Feudonuovo e Magnini è giurato della Città nel 1760 è capitano di giustizia, nel 1771 è anche barone di Vallegrande, nel 1791/92 è senatore e nel 1799 è patrizio. 1802/1803 Benedetto Jaci barone di Feudonuovo e Magnini è senatore, nel 1812 fa parte della corrente che accetterebbe la concessione da parte del Re della Costituzione del 1812. 1804/1805 Giuseppe Iaci-Tedeschi barone di Feudonuovo è tra i senatori che accolgono a Piazza il re Ferdinando II e nel 1816 è tra i consulenti (consiglieri comunali), nel 1819 è secondo eletto quindi coadiutore del Sindaco e nel 1837/39 è decurione (consigliere comunale). 1827 Agostino Iaci-Genova barone di Feudonuovo è secondo eletto nell'amministrazione comunale e nel 1837 è decurione (consigliere comunale) e nel 1839 è decurione 2° eletto. Nei primi anni del Novecento il titolo di barone di Feudonuovo è di Benedetto Iaci il quale, sposato con Margherita principessa di Rosso di San Secondo-Palermo, non ha eredi e pertanto alla sua morte il titolo passa nel 1927 al fratello Giuseppe. Da questi il titolo passa al primo dei suoi 3 figli, Agostino, Donato e Benedetto. Agostino, avendo avuto due figlie, alla sua morte passa il titolo a suo fratello Donato che, a sua volta, lo trasmette al primo dei suoi 4 figli maschi, Giuseppe, Ermanno, Giovanni ed Enrico. Alla morte di Giuseppe, che ha avuto solo 2 figlie, il titolo è passato al primogenito di Ermanno, Stefano, attuale barone. A Piazza esiste una via dedicata a questa famiglia, via Iaci, che da piano Demani va a Scalazza S. Veneranda e, inoltre, â calàta û Cullègg (di fronte la farmacia Gurreri) c'è il Palazzo della famiglia Jaci. E' quello costruito dal duca Desiderio Sanfilippo poi passato alla famiglia Genova di Cutomino e nel 1705 alla famiglia Jaci. Infatti, sul mascherone dell'arco del portone si può ammirare il loro bellissimo stemma. Inoltre, ho trovato uno stemma nella chiesa del Carmine. Gaetano Masuzzo/www.cronarmerina.it
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