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Cronarmerina - Marzo 2025

Poeti al Museo

Testa, Platania e Libertino

Nella foto i tre poeti in lingua gallo-italica, che ieri sera hanno partecipato alla conferenza-dibattito, organizzata dal Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e dal Nobile Quartiere Monte, al Museo Diocesano. Pino Testa, Tanino Platania e Aldo Libertino hanno declamato alcune loro poesie, facendoci rivivere piacevolmente momenti e situazioni della nostra tradizione nella lingua dei nostri avi. Questa lingua, e non dialetto, come hanno precisato nel dibattito i relatori, si parlava correntemente sino a metà del secolo scorso. Poi con l'acculturamento, che erroneamente si credeva prevedesse l'abbandono, se non addirittura l'oscuramento, iniziò la demonizzazione. Non si faceva altro che ricordare alle giovani generazioni d parrè n taliàngh prima, d parrar in italianu poi e, infine, di parlare in italiano p' nan fé u v'ddàn. In questa maniera, nel giro di un paio di decenni, fu cancellata insieme ai valori che comprende, la parlata di oltre otto secoli che i Lombardi, Liguri e Normanni ci avevano portato da molto lontano, tanto che in Sicilia passavamo p' francési. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it    

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U cìrcu

 
Il gioco del cerchio o, come lo chiamavamo noi, du cìrcu, era all'inzio del secolo scorso uno dei più diffusi. Le foto, anche di famiglia, di quel periodo, lo testimoniano trovandoli anche tra le mani di giovanotti più anziani che li usavano nei giardini o nelle scampagnate. Bastava un cerchio e una bacchetta di legno e il "gioco" era fatto. Quando iniziarono a diffondersi le biciclette il cerchio in legno fu sostituito da quello in metallo (foto in basso) senza i raggi, molto più resistente, più stabile e che garantiva una maggiore "guidabilità" per la presenza dell'incavatura al centro. Dopo aver toccato diverse volte il cerchio, bastava posizionare la bacchetta nella concavità per dirigerlo e raggiungere così velocità "supersoniche" in gare entusiasmanti. Era consigliabile percorrere tratti pianeggianti, perché quelli in discesa non permettevano il controllo e si rischiava di andarlo a prendere a taccura, e canali o a rìana, dipendeva dal circuito frequentato. Quando le biciclette furono sostituite dalle automobili anche i cìrchi cambiarono look, furono sostituiti da vecchi copertoni di piccole cilindrate come Vespe, Lambrette, 500 o 600, non di più perché gli altri erano troppo pesanti e incontrollabili, allora non c'era il "servosterzo" che poteva aiutare! Di quelli in legno sono rimasti solo quelli usati sino a qualche decennio fa nella ginnastica ritmica, ormai attività scomparsa completamente dalle ore scolastiche di educazione fisica, oh pardon, educazione motoria, mentre sono ancora usati dalle società iscritte alla federazione nazionale di ginnastica ritmica perché è prevista la specialità. E' facile invece trovarli impolverati negli sgabuzzini/ripostigli delle palestre dove "riposano in pace" insieme agli altri attrezzi non più di moda, come gli appoggi Baumann, le clavette e le bacchette di legno. Da tanti anni è un gioco non più praticabile, il cerchio non viene usato neanche per l'hula hopp, sia perché le strade sono invase dalle auto, sia perché di ragazzi che giocano per le vie non se ne vedono più, è meglio un videogioco tra le calde e tranquille mura domestiche! Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it            
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Al Generale Cascino/Maggio 1940

Inaugurazione monumento dedicato al Gen.le Antonino CASCINO, eroe della I Guerra Mondiale, Piazza Armerina, maggio 1940
 
Non poteva mancare in questo mese un post dedicato all'inaugurazione di uno dei monumenti simbolo della nostra Città. Nel maggio del 1940 (esiste un breve filmato dell'Archivio Storico Istituto Luce datato 21/06/1940) veniva inaugurato il monumento costruito dall'architetto piazzese Domenico (Mimì) Roccella (1903-1946) e dallo scultore Alfredo De Marchis¹, in onore della Medaglia d'Oro al Valor Militare della I Guerra Mondiale Antonino Cascino (P. Armerina 14/9/1862-Quisca 29/9/1917). Alla manifestazione era presente l'alto dirigente del Partito Fascista e grande mutilato di guerra Carlo Delcroix (1896-1977) nonché mio padre Gino nella prima fila della grande tribuna eretta sul lato Ovest (a sx) del monumento. Al nostro Generale, morto il 29 Settembre 1917 all'ospedale di Quisca (oggi Kojsko, in Slovenia) in seguito all'infezione della ferita alla coscia provocata da una scheggia di granata il 15 settembre sul Monte S. Gabriele (3 Km. a Nord-Est di Gorizia) dopo aver conquistato qualche settimana prima il vicino Monte Santo (2 Km. a Nord dal S. Gabriele e 3 a Sud dal Vodice), vennero dedicati nel 1922 un Cacciatorpediniere della Regia Marina, nel 1940 un Borgo Rurale a ca. 10 Km. a Sud-Ovest di Enna (45,6 da Piazza) lungo la SS. 117/bis e numerose Caserme, Piazze e Vie in tutta Italia. Il suo corpo riposa nella III cappella, nonché passaggio al chiostro, della navata di sx della chiesa di S. Domenico Pantheon di Palermo. Su questo sito esiste una foto scattata qualche settimana prima dell'inaugurazione e nel post ci sono anche le due frasi di Mussolini scritte, sia sul monumento del generale Cascino sia sulla cabina elettrica che c'era a pochi metri dalle truppe schierate nella manifestazione inaugurale.
¹ Nel maggio 2018 la nipote Roberta De Marchis Consulich con un commento sul mio blog "CRONOLOGIA" mi ha fatto sapere che il nome esatto dello scultore era Giandomenico De Marchis e non Alfredo.
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Sodalizio di Sant'Anna

Chiesa di Sant'Anna
Sodalizio di Sant'Anna
Poche le notizie sul Sodalizio di Sant'Anna. Sappiamo che la chiesa, inaugurata nel 1745, già nel 1680 aveva ricevuto dei finanziamenti dalla baronessa Geronima Rivarola di Rafforusso. La baronessa aveva iniziato in questo modo la trasformazione del precedente Oratorio di Sant'Anna che confinava col monastero di Agostiniane fondato nel 1642 (settimo in Sicilia). La chiesa sarà costruita e ultimata grazie soprattutto ai considerevoli contributi provenienti dalla famiglia Trigona. Infatti, sino a qualche anno fa, sul portone d'ingresso si distinguevano benissimo due aquile in legno con lo stemma di questa nobile famiglia. Dopo il 1866 il Monastero verrà trasformato in scuole elementari mentre la chiesa sarà la sede del Sodalizio. Successivamente, dal 1920 al 1935, la chiesa sarà concessa prima ai Reduci di Guerra, poi a varie associazioni ricreative che, non curandone la manutenzione, contribuiscono alla definitiva chiusura per il rischio di crolli. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it 
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Ospedale 4^ Sede/Nome definitivo

Nel 1860 per le leggi eversive i frati Fatebenefratelli vanno via da Piazza e il convento di S. Francesco è acquisito dal notaio Remigio Roccella, rettore dell'altro ospedale esistente, l'Ospedale Chiello. Pertanto i due ospedali, il Chiello e il S. Giovanni di Dio, si riuniscono in uno solo sotto il nome definitivo di "Ospedale Michele Chiello". L'acquisizione del convento francescano e il risanamento del bilancio amministrativo del nuovo ospedale è dovuto alla donazione del chierico Michele Chiello e a quelle di Trigona Vespasiano di Gerace, Carmela d'Aquino-Trigona di Gerace (moglie del primo), La Vaccara Adelaide fu Calogero, canonico Maltisotto Pasquale, avvocato Di Pietra Gaetano, professor Paternicò Domenico, Platamone-Trigona-Crescimanno Marianna, Carrù Marianna, Vincifori Ignazio e Franzone Giuseppina (una lapide in marmo nella sede al Monte e cartacea nella sede alla Bellia ne ricorda i nomi). Il nuovo Ospedale in alcuni documenti successivi all'unificazione, appare anche col nome di "Ospedale Chiello e Vespasiano Trigona", in quanto il barone alla sua morte, avvenuta nel 1853, gli ha lasciato il feudo Ciappa, il palazzo baronale di Piazza Castello e altri beni minori, riservandone l'usufrutto alla moglie al quale lei rinuncerà definitivamente nel 1865.
cronarmerina.it
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U rùmulu

La TROTTOLA, ma noi la chiamavamo con un nome al maschile, U RÙMULU, era già un giocattolo molto diffuso sin dai tempi dei Greci e dei Romani. Da noi si è usato sino agli anni '60, poi non si è più visto. Formato da un cono di legno duro, d bùsg o d'aulìv (in dialetto più recente bùsciu = bosso, aulìv = olivo) con tante scanalature, per facilitare l'avvolgimento della cordicella tenendolo pa cap'tìna (capoccia). All'estremità inferiore veniva conficcato un chiodo con la testa arrotondata, sia per motivi di attrito che per quelli di usura. Il gioco consisteva nel tirare la cordicella tanto forte da far ruotare u rùmulu facendolo rimanere in piedi il più a lungo possibile. I più bravi passavano alla fase successiva. Si sfidavano a colpire, lanciando il proprio giocattolo, quello dell'avversario, fino a spaccarlo in due per prendersi come trofeo il chiodo ormai libero. Ultimamente abbiamo potuto vedere queste fasi nelle scene iniziali e finali del film Baarìa in cui addirittura il fabbro, mentre innestava la punta di ferro no rùmulu, inseriva anche una mosca viva e alla fine, quando la trottola veniva spaccata, l'insetto riprendeva a volare anche dopo tanto tempo rimasto dentro (nei film tutto è possibile!). A Piazza quasi tutti i falegnami erano capaci di utilizzare il tornio a pedale, indispensabile per la costruzione del giocattolo, ma ce n'era uno che si era specializzato particolarmente. Era don Peppino Roccazzella, prima abitante e col laboratorio nelle case di fronte l'odierna posta centrale, poi trasferitosi in quella lasciatagli in eredità dalla sorella accanto all'ingresso della Villa Garibaldi, a destra dopo il ponte della ferrovia che prima esisteva nell'ex via Padova oggi Don Milani. Proprio a questo giocattolo ci si riferiva quando si doveva rimproverare un bambino discolo e superattivo, che oggi diremmo un po' "vivace": "Ora sett't e nan far còm u rùmulu!".
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it       
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Sodalizio dei Dodici Preti

Piazza Garibaldi ex Piazza Pescara, 1909
Sodalizio dei Dodici Preti
Tra i 22 Sodalizi nella nostra Città c'era pure quello chiamato "Dei Dodici Preti". Era sotto il titolo di San Pancrazio che, morto martirizzato all'età di 14 anni nel 304 d.C., è patrono dei Giovani dell'Azione Cattolica. Il luogo di riunione e di riferimento di questo Sodalizio era in Piazza Garibaldi già Piazza Pescara (nella foto), all'angolo con la Via Umberto I o strata a fera, dove c'era una piccolissima chiesetta dedicata a Cristo Salvatore chiamata dai piazzesi U S'gn'rùzzu da Ciàzza. Lo scopo principale del Sodalizio era quello di assistere le persone indigenti, specie se anziane e ammalate, recandosi nelle loro case per confessarle, comunicarle e aiutarle non solo spiritualmente. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it 
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Stesso autore palermitano

 

Cos'hanno in comune queste due statue ?

  
Da "palermo.repubblica.it":

<< RITROVATA DOPO TRE MESI IN UN MAGAZZINO LA STATUA RUBATA AL PALAZZO DELLE FINANZE.>>

La bellissima statua della Vittoria alata (foto in alto) dell'artista palermitano Antonio Ugo (1870-1950) è stata scoperta in questi giorni dalla polizia in un box del quartiere Danisinni. Realizzata in bronzo e pesante quattro quintali, è stata sezionata in tre parti dai ladri che sicuramente avrebbero fuso per ricavarne il rame che si trova nella lega col bronzo. L'opera realizzata dallo stesso scultore del nostro Marco Trigona, si trovava al secondo piano del Palazzo delle Finanze in Corso Vitt. Emanuele di Palermo, in questi mesi al centro di lavori di restauro. Fu commissionata dal Banco di Sicilia e inaugurata nel quarto anniversario della fine della I Guerra Mondiale (4 nov. 1922). Lo scultore e medaglista, tra le sue 25 opere sparse in tutta Italia, realizzò la statua del barone Marco Trigona nel 1906 servendosi di una delle più importanti fonderie d'Europa di quel periodo, le Fonderie G. A. Laganà di Napoli, come è riportato nella scritta alla base posteriore della statua in piazza Duomo. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it      

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A sciunna/2

Questo attrezzo nelle mani di giovani inesperti e alle prime "armi", poteva essere molto pericoloso soprattutto se nei primi lanci non si capiva cosa si doveva lasciare andare per prima, la parte tenuta dalla mano sx o quella tenuta dalla mano dx, e se non si capiva che non si doveva mirare verso il compagno vicino, neanche appafinta¹. Bisogna ricordare che, mentre per noi nati negli anni '50 l'attrezzo era prettamente ludico (tiro a bottiglie d' gazzùsa, lattine da salsa) o teppistico (tiro a lampadine, lampioni, finestre, animali domestici, scaramucce tra bande rivali), e per questo assolutamente proibito portarla a scuola, in parrocchia, per i giovani nati prima, il "sapiente" uso di quest'attrezzo, poteva aiutarli a integrare la scarsa alimentazione. Infatti, era molto usato nella caccia e palùmmi, che facilmente si trovavano sugli alti palazzi della via Cavour, alla Cattedrale, all'Ospedale, in piazza Castello. I carusàzzi cu a sciùnna, dopo essersi procurati dei pezzi di chiùmmu (ideali i pezzi di piombo per i pacchi postali) erano così spèrti che dopo due o tre lanci ne colpivano una che o se la portavano a casa mucciàta na p'tturìna per cucinarla, o se la vendevano per una lira a Santa Rusulìa. Alcuni, come il signore novantenne che ho conosciuto l'altro giorno, andavano a caccia anche in trasferta nei paesi vicini in bicicletta, specie ad Aidone, dove c'era poca concorrenza e perciò la "selvaggina" abbondava. Prima di concludere voglio accennare al detto, per la verità ancora in voga, che aveva attinenza con la parola SCIUNNA. Quando si voleva rimproverare qualcuno per l'imperizia, l'ingenuità, la facilità nello sbagliare, fallire o fraintendere, gli si diceva (e gli si dice): "Au, si pròpriu 'na sciùnna!", appunto perché 9 volte su 10 sbagliava bersaglio. cronarmerina.it
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Famiglia Bonifacio

Campo d'oro con quattro pali di rosso e una banda d'argento attraversante il tutto
 
La famiglia Bonifacio (alias Bonifazio) è originaria di Messina dove il cavaliere Bonifacio è responsabile della custodia di re Ruggero I d'Altavilla. Poi si susseguono Ruggiero, Pierleone, Giovanni sino ad arrivare a Matteo, barone del Casale delli Graniti (Messina) e Giudice della Corte Straticotiale di Messina nel 1404, e al fratello di Matteo, Nicolò, Senatore a Messina. Dopodiché arriviamo al 1634 quando Cesare Bonifacio è Padre Gesuita docente nel Collegio di Piazza. Nel 1714 troviamo Antonino Bonifacio sacerdote che fugge da Piazza per obbedire al Papa nella Controversia Liparitana. Nel 1837/39 il dott. Vincenzo Bonifacio è milite della Guardia nazionale cittadina e nel 1860 è messo sotto sorveglianza dalla polizia borbonica. Nella sua casa il 6 aprile si tiene una riunione segreta del Comitato Rivoluzionario di Piazza di cui fa parte e che decide per la rivoluzione il 18 maggio 1860. Dal 1861 sino al 1865 è Sindaco della Città. Sino ai primi dell'Ottocento nell'odierna via Roma esisteva una casa privata chiamata "Hospitio vocato della Nunciata" di proprietà dei coniugi Innocenzo Bonifacio e Maria Cagno, forse oggi palazzo che fa angolo con la Discesa La Rosa. Nel 1950 il maestro elementare Antonino Bonifazio parla della chiesa piazzese di S. Francesco d'Assisi nella pubblicazione "Idea Nostra" e, per concludere, la via dove il dott. Vincenzo Bonifacio aveva la sua casa ha preso il suo nome, e in quella via, al n. 10, io nacqui nel 1953. Gaetano Masuzzo/www.cronarmerina.it
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