Il marito della poetessa Cerasuolo
Prof. Lorenzo Zaccone (1920-2015), per molto tempo insegnante a Piazza Armerina
Dopo la poetessa prof.ssa Anna Maria CERASUOLO è d'uopo ricordare suo marito, il prof. Lorenzo Salvatore Emilio ZACCONE. Nato a Modica (RG) nel 1920 studiò a Padova per poi laurearsi in Lettere a Catania. Insegnante di Lettere al Liceo Classico e alla Scuola Media di Piazza Armerina, si conosce con la prof.ssa Anna Maria Cerasuolo che sposa, sempre a Piazza Armerina, il 30 luglio 1947. Dopo 11 anni si trasferisce con la moglie a Milano dove diventa Preside in una Scuola Media sino al 1973, quando i due coniugi decidono di trasferirsi per motivi di salute a Siracusa, dove concludono la loro carriera. Anna Maria e Lorenzo si trasferiscono nella città natale di lui, Vittoria (RG), dove trascorrono gli ultimi anni della loro vita. Lei muore nel 2002, lui 13 anni dopo, nel 2015. Anche il prof. Lorenzo ha scritto per alcune Case editrici per la realizzazione di opere di geografia e nel 1997 pubblica il libro di racconti, donato dallo stesso alla nostra Biblioteca Comunale, TRA FILARI DI VITI, Serarcangeli Editore, ROMA 1997. Nelle ultime pagine, il racconto dal titolo AFFRESCHI lo ambienta a Piazza Armerina, città che conosce molto bene. Monumenti, chiese, strade, alunni, insegnanti, artigiani, usanze e abitudini degli anni '50 per lui non hanno segreti, tanto da farne un palcoscenico alla rappresentazione che ricorda molto parte della sua vita. Ecco il brano dove parla della festa paesana annuale: <<Fu il tre di maggio, verso mezzogiorno, che il vecchio professore Castrjanni cominciò a morire... C'era, nella strada-mastra, in quell'ora, un silenzio profondo, cupo... "A Piazza vecchia, a Piazza Vecchia" era stato il grido delle recenti ore trascorse, un grido di richiamo annuale ad una memoria di secoli, ad un evoè avvolto in una parvenza di devozione, a nuove Ambarvalia mistificate dalla credenza nel miracoloso ritrovamento di una icona bizantineggiante tra i ruderi della città antica. "A Piazza vecchia, a Piazza vecchia." La fiumana chiassosa, snodatasi pigramente per ore, dal Piano Castello al "pertuso" della Castellina, dal Casalotto all'Altacura, era finalmente divenuta solo eco lontana e sulla città gravava ora un'angosciosa stasi sepolcrale e la cruda evidenza di un uggiolante cane randagio>>. E dove parla dei Mosaici della Villa Romana del Casale: <<"Qui" diceva "oggi voi vedete una selva di olivi e nocciòli e questo sentierucolo sassoso che l'attarversa e ci porta al Casale dei Saraceni; ma qui un giorno si aprirà una strada larga e agevole; qui, quando la nostra costanza e l'opera di tecnici esperti, liberandoli dalla massa di terriccio che li nasconde da secoli, avranno interamente restituito alla luce i tesori d'arte di una villa romana forse imperiale; quando verranno adeguatamente protetti, per sottrarli all'inclemenza delle stagioni e alle insidie dei vandali, gli spelndidi mosaici policromi che decorano, con sfarzosa varietà di temi, le stanze, i saloni e gli ambulacri di questa villa; qui verrà gente da ogni parte del mondo. Sarà un tempo felice quello per la nostra terra, ma voi potrete averne beneficio solo se sarete preparati a viverlo, come uomini e come cittadini, perché in quel tempo toccherà a voi, al vostro ingegno, al vostro impegno, salvaguardare e continuare l'opera che noi abbiano cominciato>>. E dove parla della Casvarìa, l'odierna via Marconi in pieno centro storico: <<La Casvarìa è un breve e largo tratto di strada che dalla piazzetta di Fundrò conduce al bivio dei Sette Cantoni. In mezzo di cento metri vi si affacciano tre farmacie, una banca, la società operaia, due botteghe di barbiere, una decina di negozi e un paio di caffè. A Piazza Armerina tutti passano dalla Casvarìa, tutti si incontrano alla Casvarìa. Anche due maestrine, ogni sera, nelle giornate clementi, tra le sette e le otto, attraversavano la Casvarìa. Camminavano svelte, l'una sotto braccio all'altra, guardando sempre avanti e rispondendo solo con un leggero cenno del capo al saluto dei conoscenti. Quando però arrivavano davanti al caffè di Oreste Marino, non potevano evitare di volgere gli occhi verso Ninì e Peppino che stavano a fissarle con intensità. Le due giovani donne si stringevano di più, l'una con l'altra, e rallentavano un po' il passo. Fèmia e Rosella erano cugine e amiche indivisibili>>.
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