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Cronarmerina - Novembre 2024

A cavagnèdda

A cavagnèdda

Due nostri visitatori molto attenti mi hanno fatto notare che quella mostrata ieri (foto in alto) non è a fascèdda bensì a cavagnèdda. Partendo sempre dal principio che c'è sempre da imparare, mi sono premurato a corregere l'errore. Infatti, a fascèdda (foto in basso) di forma cilindrica, di giunco/vimini intrecciati, può contenere anche 500 gr. di ricotta, mentre a cavagnèdda di strisce di canna, molto di meno, solo una porzione, una lingua di ricotta con le scanalature delle canne impresse sulla superfice.

 

A fascèdda

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A fascèdda

Per chi frequenta oggi i supermercati o i moderni negozi di generi alimentari, l'oggetto nella foto può sembrare tutto tranne che un contenitore di ricotta o meglio un "cestino di ricotta" da noi chiamato "fascèdda". Si chiama così perché è formata da tante strisce di canne legate o 'nfasciàte e serviva al trasporto della ricotta da parte du r'cuttèr che poi la vendeva nelle nostre strade, dopo averla personalmente lavorata e raccolta. Lui gridava u r'cuttèeee! e le casalinghe si affacciavano davanti i catöi, o scendevano na stràta, porgendogli il piatto per farsene dare una o due, non di più perché abusarne "poteva fare male alla salute". Quando invece erano gli uomini ad acquistarla durante la pausa nella loro attività lavorativa, il recipiente dove contenerla era il più delle volte improvvisato. Infatti, mio padre mi ha raccontato che quando passava u r'cuttèr dalla via Roma, dove lui lavorava nella falegnameria di mio nonno Tatano alla fine degli anni Trenta, spesso il vassoio che accoglieva a r'cuttedda vellutata, era un foglio di compensato, ovviamente "spolverato" ben bene (alla faccia dell'igiene) ed era uno spettacolo vederla depositare con magistrale delicatezza... ah che bontà!  
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Ospedale di Piazza/4^ Sede - 5° Nome

Chiesa di S. Francesco, a sx chiesa S. Giovanni di Dio ex S. Tommaso Apostolo
Ex chiesa di S. Giovanni di Dio già di S. Tommaso Apostolo

Nel 1690, cinquantadue anni dopo il loro arrivo, i Fatebenefratelli cambiano sia il nome all'Ospedale di S. Tommaso Apostolo e sia il nome alla chiesa annessa in "San Giovanni di Dio". Questa sostituzione avviene in onore del fondatore dell'Ordine che da Beato è stato fatto Santo da papa Alessandro VIII proprio quest'anno e che dal 1680 è già stato proclamato, col permesso del Magistrato Urbano, V Compatrono della Città. Nell'occasione si dà inizio alla consuetudine che gli scolari della città nel giorno dell'otto marzo, festa del Santo vissuto dal 1495 all'8 marzo 1550, portino dei doni agli infermi dell'ospedale. I frati, a Platia chiamati anche Benefratelli e che gestiscono il Monte di Pietà, si obbligano alla cura degli esposti alla ruota (trovatelli) e alla cura delle donne bisognose, per i quali ricevono dai Giurati della Città 100 onze annue (ca. 18.000 Euro di oggi). Essi devono provvedere al salario del medico, del chirurgo, della lavandaia, del barbiere, del notaro e dell'aromataio (lo speziale che prepara le medicine). San Giovanni di Dio nel XIX secolo sarà dichiarato patrono degli Ospedali da papa Leone XIII (1878-1903).

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Soluz. Aguzzate la vista n. 19

Monumento a Umberto I re d'Italia
Anni '20
La scritta che dovevate individuare è quella in bronzo posta sul monumento a Umberto I re d'Italia oggi davanti alla Commenda di San Giovanni Battista. Guardando l'angolo in basso a dx, nella foto in basso, si scorge appena parte del monumento che ci ricorda così il suo sito originario nello spiazzo antistante dove poi sorgerà il Cinema Ariston. La villetta dedicata al Re ucciso a Monza da un anarchico nel 1900, era intesa dai nostri avi all'inizio del secolo scorso come "a vìlla e badàgghi" ovvero "la villa degli sbadigli", luogo dove si poteva andava a oziare lungo la discesa di Santo Stefano. La soluzione è stata indovinata da Dario al quale vanno le congratulazioni di tutta la redazione e il premio di un caffé che gli verrà consegnato al più "caldo" possibile. 
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5° Santo Compatrono

S. Giovanni di Dio
Stemma dell'Ordine Fatebenefratelli

5° Santo Compatrono di Piazza, S. Giovanni di Dio

Nel 1680 l'Ordine dei Fatebenefratelli, che dal 1648 cura la gestione dell'Ospedale cittadino, ottiene dal Magistrato Urbano che il Beato Giovanni di Dio, fondatore dell'Ordine, sia proclamato Santo Compatrono della Città. In effetti Giovanni di Dio è stato beatificato nel 1630 e sarà canonizzato Santo da papa Alessandro VIII tra 10 anni, nel 1690. Giovanni di Dio, al secolo Juan Ciudad, era nato in Portogallo a Montemor-o-Novo (Montemaggiore Nuovo) nel 1495 ed era morto in Spagna, a Granada, l'8 marzo 1550. Dopo aver partecipato ad alcune battaglie come soldato di Carlo V, vagò per mezza Europa sino a quando si stabilì a Granada a vendere libri. In seguito a una grande crisi di fede distrusse la libreria e si mise a vagare per le strade rivolgendo ai passanti la frase che divenne l'emblema della sua vita "Fate del bene fratelli, a voi stessi". L'Ordine dei Fatebenefratelli nato nella prima metà del XVI secolo, divenne una comunità vera e propria nel 1572 con l'assunzione della regola di Sant'Agostino, ma fu riconosciuto nel 1586. Emblema dell'Ordine è la melagrana, simbolo della città di Granada, sormontato da una croce, scelto dal Santo dopo che egli s'imbatte in un bimbo che, mostrandogli una melagrana con una croce nel mezzo, gli dice: "Granada sarà la tua croce".  
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5^ Veduta della Città

Veduta della Città da Est antecedente il 1628
Questo è il secondo disegno trovato tra gli scritti del canonico Filippo Piazza (1884-1959) che ripropone un'altra veduta della nostra Città nuovamente da Est, cioè dall'alto del quartiere Casalotto. Non si conosce l'autore, ma il periodo si riferisce a prima del 1628 perché propone ancora la vecchia Chiesa Madre con le absidi che verranno demolite tra il 1628 e l'anno successivo e, nel contempo, verrà realizzato il corpo del presbiterio. Il panorama è lo stesso delle prime tre vedute di cui ho già parlato. Al centro la grande porta di S. Giovanni Battista con accanto la chiesa di S. Stefano fuori le mura. Sempre al centro la grande strada, oggi via Garibaldi, che porta sino in piazza Maggiore o, com'era chiamata dal 1569, foro Pescara, in onore della visita del viceré di Sicilia Ferdinando de Avalos marchese di Pescara. A sx della grande strada lo spiazzo del piano del Patrisanto (Teatini), poi il Castello Aragonese, a dx in senso orario la Chiesa Madre in trasformazione, col campanile disegnato dietro la chiesa e senza la cupola. Poi la chiesa col convento di S. Francesco, scendendo a dx la porta Castellina con la torre accanto e, per finire, la Commenda di S. Giovanni Battista col Campanile, oggi scomparso.
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L'orologio degli Angeli

 

Nella mia recente visita al Museo Diocesano per la mostra "Videro e credettero" ho trovato, messe ben in evidenza, le campane dell'orologio meccanico della chiesa degli Angeli Custodi. La campana di dx riporta l'anno 1668, quella di sx il 1721. La costruzione della chiesa iniziò nel 1660 e dalla lapide posta sul portone principale apprendiamo che il completamento della fondazione, voluta dai fratelli Francesco e Gaspare Seggio, avvenne nel 1678. Pertanto le campane che segnavano il tempo ai nostri avi abitanti in quella zona centrale dell'antico quartiere Monte, sono di quel periodo, proprio di 350 anni fa. Chissà quanti rintocchi e di tutti i generi?

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1800 - Mezzi trasporto turisti e non

Il mezzo di trasporto più comune anche nell'Ottocento: la lettiga
Anche nell'Ottocento il mezzo di trasporto più comune è la lettiga, eccovi le testimonianze di un inglese e di un francese che viaggiarono nella nostra Sicilia a metà dell'Ottocento.
Per l'inglese H.C. Barlow (1806-1876) che effettua un viaggio in Sicilia nel 1843: "L'altro modo di viaggiare, meno faticoso del primo, ma non molto piacevole comunque, è la lettiga. La lettiga è una cassa di legno a forma del corpo di una carrozza e capace di contenere due persone poste l'una di fronte all'altra. Questa è sostenuta da due lunghe sbarre e portata da due muli, uno davanti e l'altro dietro; vi sono due conducenti anche essi che montano muli, uno dei quali guida la processione mentre l'altro con una lunga bacchetta a forma di lancia sta di fianco spronando ogni tanto le bestie... Visitare la Sicilia non è cosa semplice come molti possono immaginare. E' facile trasferirsi da Napoli a Messina e a Palermo o, con il battello per Malta, raggiungere Siracusa, ma visitare l'isola è un'altra cosa. Attraversare la Sicilia richiede molta forza, più pazienza e ancora più indifferenza al benessere personale. Le locande sono poche e distanziate fra di loro... Nessuno che ha bisogno di comodità personali si affidi mai, in Sicilia, a una locanda." 

Il francese F. Bourquelot (1815-1868) nell'Isola nel 1850 riporta: "Ad onta della mancanza o del pessimo stato delle strade, delle difficoltà di trovare da mangiare e di farsi accompagnare da gente mercenaria, preferii viaggiare per terra... Luigi Rantesi s'obbligò ad accompagnarmi nel mio viaggio e a mantenere, per tutto il tempo che sarebbe durato, tre mule: una per me, una per lui, una pei bagagli e pel mulattiere incaricato degli animali... La nostra piccola banda si ripose in viaggio accresciuta, oltre ai precedenti mezzi di trasporto, di mule fresche e di una lettiga, cioè di un veicolo senza ruote, condotta da due mule, una dinanzi e una di dietro, e capace di contenere due viaggiatori uno in faccia all'altro. Un mulattiere a piedi armato d'un lungo bastone dirige le bestie e le eccita con le grida. Questa strana vettura, di cui si trovano disegni nei manoscritti del XIV secolo, avanza, come è facile immaginare, assai lentamente; per giunta, nelle ineguaglianze del terreno, si piega pel lungo, e i sonagli che pendono dal collo delle bestie, danno un tintinnio, un rumore indiavolato."

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

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Stemma poco visto

 

Proprio sopra la piccola galleria di via Monte Prestami, traversa di via Vittorio Emanuele poco vicino la piazza Garibaldi, molto in alto, c'è questo grande stemma. Secondo me è tra i più belli, i meglio conservati e i meno conosciuti di Piazza. È quello con l'aquila bicipite, sormontato da una grande corona, bipartito della famiglia Trigona (a sx) e la famiglia Caldarera (a dx). Poco visibile da lontano l'anno 1736, col 17 scolpito sull'ala di sx e 36 o 39 su quella di dx. Lo so è poco visibile, ma se passate di là alzate gli occhi, ne vale veramente la pena.

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