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Cronarmerina - Novembre 2024

Famiglia Girgenti

Troncato: nel primo d'azzurro al castello d'argento con tre torri; nel secondo d'argento a tre fasce ondate d'azzurro.
Il primo dato che abbiamo della famiglia piazzese Girgenti è che risulta iscritta alla Mastra Nobile della Città nel 1545. 1611 Francesco Girgenti è Secreto di Platia, 1627 Michelangelo Girgenti (senior) è membro del Consiglio cittadino degli Ottanta, giudice della Corte Pretoriana di Palermo e del Tribunale della Gran Corte Civile del Regno negli anni 1635/36/37. Inoltre, è feudatario di Giardinazzi (in territorio di Aidone), barone di Rabugino nel 1633 e nel 1643 è nominato Presidente del Tribunale del Regio Patrimonio. 1674 Michelangelo Girgenti (junior) è Padre Teatino presso Messina, dal 1699 è Vicario Generale del Vescovo di Patti e negli anni 1690 e 1720 è Preposito della "Casa" teatina della Città. Nel 1727, dopo la chiusura del collegio dovuta alla "Controversia Liparitana" dal 1713 al 1719,  fa effettuare molti lavori presso la chiesa di S. Lorenzo (dei Teatini) e il collegio stesso, affinché si ponga rimedio alla situazione disastrosa trovata al loro ritorno, e quindi riaprire lo "Studio Pubblico". cronarmerina.it
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Oggetto utile ma in disuso

 
U battàggh (battente o batacchio)
 
Quello nella foto è il cosidetto BATTENTE (o BATACCHIO, BATTAGLIO, MAZZAPICCHIO, PICCHIOTTO, BUSSARELLO) per le porte e veniva usato come l'odierno campanello elettrico. L'elettricità a Piazza vide la "luce" nel 1904 e per oltre un ventennio, per illuminare soprattutto le abitazioni circostanti, funzionò la centrale elettrica alimentata a nafta situata al secondo piano dell'ex Convento delle Carmelitane di Santa Rosalia poi pretura, oggi uffici comunali e, specie di notte, la centrale deliziò col rumore assordante (TUMP, TUMP) le abitazioni circostanti. Anche quando il servizio elettrico si estese oltre, i battenti a mano continuarono a essere usati per tanto tempo per farsi sentire da dentro le abitazioni. Considerando anche il fatto che prima non c'erano tutti i rumori del traffico stradale di oggi, il rintocco del batacchio, raramente uno e lieve, era ben percettibile dalle sensibili orecchie dei nostri avi, che solitamente rispondevano con estrema raffinatezza: «CU È?», o ancora più esplicitamente, dove si coglievano tutte le nostri origini franco-arabe: «CU È DDÖCH?». Ancora oggi u batàggh lo si trova nelle porte, portoni, portoncini del centro storico, usandolo raramente solo in caso di mancanza momentanea dell'elettricità e anche per ornamento o per non lasciarci il buco nella porta. Stavo dimenticando un altro congegno molto sofisticato "legato" all'apertura delle porte in assenza di elettricità: U F'RRÈTT CU LÀZZU. Era presente nelle abitazioni a più piani e tirando u spàgu si alzava meccanicamente u f'rrètt che teneva chiusa la porta, ovviamente dopo aver atteso la risposta al «cu è ddöch?». Alla quale il più delle volte si riceveva la risposta "spiritosa", sempre derivante dalle nostre nobili origini: «TO SÖRU!».
 
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1612 - 5° titolo della Città

Madrid, Plaza Mayor, statua Filippo III d'Asburgo II di Spagna

  5° Titolo: SPETTABILE

Nel 1612 la Corte Giuratoria (Giurazia) della nostra Città chiamata Platia, pagando 10.000 scudi (ca. 720.000 Euro di oggi) a re Filippo III d'Asburgo e II di Spagna (1568-1621) ottiene il titolo di SPETTABILE. Oltre a questo titolo il Re concede il privilegio di amministrare oltre alla giustizia civile anche quella penale (mero e misto imperio) attraverso il tribunale composto da Tre Giudici. Il nuovo titolo, che anche la vicina città di Caltagirone possiede dal 1603, conferisce alla Città maggiore prestigio e considerazione da parte delle altre, essendo ritenuta degna di stima e di particolare riguardo. In questo periodo Platia conta circa 16.000 abitanti, essendosi ripresa discretamente dalle calamità della fame, della siccità e dall'epidemia di peste patite quattro anni prima. Tra i suoi abitanti vi sono quattro conti e trentanove baroni, il Comune si è impegnato a pagare al Preposito Generale dell'Ordine dei Gesuiti di Roma 12.000 scudi in 12 anni per la trasformazione della "Casa Professa" in "Collegio di Studi" e la cittadinanza è pronta alla ricostruzione del Palazzo del Vescovado demolito cinque anni prima per eseguire il primo progetto, poi abbandonato, della costruzione della nuova Chiesa Madre. Quando la prossima volta andremo a Madrid, non dimentichiamoci di ammirare nella piazza più bella e importante della capitale spagnola, Plaza Mayor (nella foto), la statua del re che concesse questo titolo alla nostra Città quattro secoli fa. 26 anni dopo, nel 1638, il successore Filippo IV d'Asburgo III di Spagna (1605-1665), dopo aver ricevuto la somma dei pesanti donativi di 20.000 scudi da Madrid ringrazia rinnovando il titolo del 1517 "a los magnificos fieles y amados nostros los Jurados de la ciudad opulentissima de Piazza".

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Sodalizio degli Staffieri-Servitori

Via Misericordia, in una delle porte a dx (n. 47) l'ex chiesa omonima
Il Sodalizio degli Staffieri-Servitori
Ho parlato già dei mezzi di trasporto di una volta e senza dubbio i quadrupedi ne erano alla base. Senza un asino o un mulo si era letteralmente appiedati. Non parliamo dei cavalli perché, contrariamente a quello che si vede nei film d'epoca, erano rari e se li potevano permettere solo i ricchi, i nobili e gli alti gradi militari. I fortunati che potevano contare su questi animali andavano incontro a tante spese di "manutenzione" e tra queste c'era il mantenimento dei servi che, in un modo e nell'altro, erano addetti al "funzionamento" del mezzo. Il cavaliere nelle sue attività civili e militari veniva affiancato da un servo chiamato scudiero che si prendeva cura di lui, delle armi e del cavallo. Quando in Europa venne introdotta la staffa intorno al 500 d.C., già inventata almeno tre secoli prima in India, ne migliorò l'equilibrio e la stabilità, rivoluzionando soprattutto il modo di guerreggiare potendo caricare il nemico senza essere disarcionati. A questo punto lo scudiero prese il nome anche di staffiere (stafèr), incaricato di reggere la staffa al signore nel momento in cui questo saliva a cavallo e di seguirlo poi camminando a piedi accanto alla staffa (ed ecco pure il nome di palafreniere, che aiutava cioè a guidare e frenare il mezzo quadrupede). Quando gli spostamenti iniziarono a essere compiuti anche a bordo di vetture, lo staffiere divenne il servo che accompagnava il signore sulla vettura, per questo veniva chiamato anche famigliare o servitore (serv). A Piazza intorno al '500 gli staffieri e servitori per aiutarsi reciprocamente diedero vita al loro Sodalizio sotto il titolo di S. Leonardo. Il Santo protettore non venne scelto a caso. Infatti, San Leonardo, che era stato un abate francese visssuto all'incirca tra il 496 e il 550 d.C., per aver contribuito nella sua vita alla restituzione della libertà a molti prigionieri, era considerato il patrono dei carcerati e dei fabbricanti di catene, fibbie, fermagli e degli accessori (finimenti) indossati dai cavalli durante il loro uso, perciò anche degli staffieri. La sede dove erano soliti riunirsi era la chiesa di S. Bernardino in via Boscarini (?) al Monte. Successivamente, forse perché trasformata in abitazione, il sodalizio si trasferì nella chiesa di S. Maria della Misericordia, nell'odierna via Misericordia (nella foto, anch'essa poi trasformata in abitazione). Per esserci un Sodalizio, gli staffieri dovevano essere numerosi, confermando così l'alto numero di nobili presenti nella nostra Città che se li potevano permettere (nel 1600 c'erano 4 conti e 39 baroni). Quando diminuirono i nobili con le loro ricchezze e iniziarono a circolare altri mezzi, gli staffieri scomparirono del tutto, lasciando il posto ai meno costosi sgabelli o panche d puntàggh di cui vi ho già parlato lo scorso 8 aprile nel post Soluzioni semplici, ma geniali .
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6^ Veduta della Città

Veduta della Città da Ovest, metà '600
Questo è il terzo disegno tra gli scritti del sacerdote Filippo Piazza (1884-1959) che riporta la veduta della Città, ma dal lato Ovest, dall'alto della contrada di Piano Marino. Il periodo è sempre quello della metà del Seicento, durante il quale la Chiesa Madre è ancora senza cupola ma col grande campanile ben in evidenza. Accanto, alla sua sx, il grande edificio del Vescovado abbattuto nel 1607, per far posto alla nuova Chiesa Madre secondo il primo progetto dei tre architetti interpellati due anni prima, ma poi ricostruito dal 1614 al 1626 da G. D. Gagini junior. Poco in basso a dx si nota il campanile della chiesa della chiesa degli Angeli Custodi, ancora a dx il Castello Aragonese. Scendendo troviamo una chiesa, quella di S. Nicola (poi Madonna della Catena), verso sx quelle del Crocifisso con un campanile non alto ma imponente, poi quella di S. Martino. Salendo in alto a sx c'è la chiesa del convento di S. Francesco con l'alto campanile. L'edificio che si vede in basso, fuori le mura, potrebbe essere la chiesa dell'Indirizzo, l'unica che si ricorda in quel sito. Un'altra particolarità di questo disegno è quella che non si distinguono nè mura attorno la Città, nè porte che sappiamo essercene state almeno sette.
 
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I cèuzzi rössi

I cèuzzi rössi

Come veniva mangiata la ricotta du r'cuttèr così era con altri prodotti della "grande distribuzione" porta a porta. Nel mese di agosto, famoso per la produzione di molti frutti, c'era chi raccoglieva, imbrattandosi da sanguinari alla Dracula (anch'io ho provato questa emozione... anche quella di mia madre che mi guardava al ritorno dalla raccolta), I CÈUZZI RÖSSI. C'era il contadino M'nnèdda (forse il vero cognome era Minnella) che passava cu panèri e panarétti pieni di questi frutti ideali per chi soffriva di stitichezza, e alla modica somma di £. 1 a panèr li riversava sui piatti del momento. In falegnameria si usava, alla faccia dell'igiene, il solito pezzo di compensato, spolverato e poi lavato alla fontanella della Villetta Roma. Proprio nel laboratorio artigianale non mancavano i pezzi di legno per ricavarne sapientemente degli stecchini per poter infilzare i dolci frutti dalle proprietà antibiotiche e portarseli in bocca per gustarli e, perché no, sembrare un vampiro appena soddisfatto della sua ultima vittima!
Però... tannu ch'era bedda a pul'zìa!    
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La viabilità in Sicilia fine '700

I muli, da sempre importanti mezzi di trasporto
Il problema stradale venne esaminato dal Parlamento siciliano nel 1774 e nel 1778 venne varato un piano generale delle strade che aveva come scopo la costruzione di 5 strade consolari partenti tutte da Palermo, così da collegarla a Girgenti, Sciacca, Mazzara, Messina per la via delle montagne con un braccio per Catania; Messina per la via delle marine per un braccio per Catania; Piazza-Caltagirone-Noto con un braccio per Terranova e Licata; Modica con un braccio per Siracusa e Augusta. L'onere di tale spesa per un importo di 24 mila scudi (ovvero 9.600 onze, equivalenti a oltre 1.700.000 Euro) doveva ripartirsi tra il baronaggio, il clero e le università baronali e demaniali (comuni). Approvato il piano si decise di iniziare la costruzione della Palermo-Messina per le montagne, iniziando la costruzione contemporaneamente da Palermo e da Messina e, nello stesso tempo, di sistemare i passi di Taormina e Castrogiovanni, che averebbero permesso intanto una certa viabilità interna. I lavori vennero iniziati nel 1779 da Porta Felice ma vennero sospesi dopo sette miglia (il miglio siciliano equivaleva a 1.486 metri, pertanto i lavori furono sospesi a ca. 10 Km.) perché la Deputazione Regia si accorse che erano già costati 75 mila scudi. Nel 1790 le strade già costruite raggiungevano appena i 160 miglia, nel 1824 poco più di 250. Vi è una scuola di storici-economisti che affermano che la scarsità di traffico è la causa della mancanza di strade, le quali sarebbero state un lusso non richiesto e superfluo oltre che un investimento antieconomico. Vi sono altri che ritengono il problema stradale legato alla politica, poiché eliminata la difficoltà delle comunicazioni "cangiarebbe d'aspetto il regno mirabilmente, l'educazione degli uomini si renderebbe più uniforme, e si toglierebbe l'enorme differenza che oggi divide la Nazione in una piccola parte colta, ripulita, e un'altra grandissima rozza, senza costume, senza industria e senza cognizioni. Gli uomini per lo più sono tali quali li vogliono coloro in cui mano sta che sieno di questa o quest'altra maniera." 
Non vi sembra di sentire ancora oggi questi discorsi, o no ?!
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U r'cuttèr

Il sig. Lo Presti u r'cuttér
 
Non si poteva concludere l'argomento fascèdda o cavagnèdda pa r'cöita senza ricordare l'ultimo nostro R'CUTTÈR che si è visto per le vie del centro storico. Era il signor Lo Presti il cui disegno è riportato nel Calendàri â ciaccësa di L. Todaro. Io lo ricordo perfettamente così, con la sua bisaccia stracolma di fascèddi piene di ricotta fresca, profumata e morbida come il velluto. Il disegno è accompagnato dalla poesia, piena di rimpianto e con un pizzico di nostalgia del poeta Gioacchino Fonti (Caltanissetta 1926 - P. Armerina 1994), a lui dedicata e che riporto con piacere qui sotto:

U r'cuttè

Quann, a cent'anni, tu non sênti ciù
dda vösg che va e vëngh p'agn via,
dâ matt'nàda nfinâ vemarìa,
griànn U r'cuttè...! u sai cu fu.
 
U r'cuttèeee...! Lo Presti, u r'cuttèr
ch' cu a b'sàzza ncödd e i fascèddi,
t' sförna dintra û piatt i r'cuttèddi 
ten'ri ch ggh' scöla ancòra u ser...
 
L'urt'm r'cutter. Nô savè,
figghi dî figghi mi, cö ch' p'rdè!
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Famiglia Genova

D'azzurro al leon d'oro, contemplante una mezza luna rovesciata d'argento
La famiglia Genova o de Genoa risulta presente a Plasia sin dal XIII sec. e nel 1309 appare un Pietro de Genoa bajulo di Piazza. Nel 1520 è iscritta alla Mastra Nobile della Città. Nel 1678 Giovanni Genova, condannato ingiustamente, ottiene risarcimento dal vicerè Vincenzo Gonzaga, nel 1737 è Senatore Urbano e nel 1741 è componente della Corre Giuratoria. 1714 Ignazio è tra i sacerdoti che ubbidiscono al re nella Controversia Liparitana, 1734 Antonio è I barone di Cutomino Soprano e titolare della Corte Capitanale. 1755 Antonio e Ignazio Genova-De Maria, nipoti del I bar. di Cutomino Soprano sono sanzionati per essersi iscritti alla Mastra Nobile senza titoli validi, Felice capeggia il "Ceto Civile" contro il malgoverno degli aristocratici. 1763 Vincenzo è giurato e Antonino Genova-Parisi III bar. di Cutomino Soprano è giurato e nel 1777 è tra i primi 5 Senatori Urbani dopo il passaggio della Città da Corte Giuratoria a Senato, 1778 risulta tra i possidenti di Torre di Pietro, Casale, Polleri, Colla, Aliano e Cappuccini Vecchi, nel 1785 è Sindaco della Città, nel 1787 è Senatore. Sempre ad Antonino Genova-Parisi nel 1789 gli vengono confiscati tutti i beni per aver malgestito l'amministrazione comunale insieme ad altri quattro Senatori. Per evitare la carcerazione si rifugiano nei conventi cittadini, e pervengono a una transazione col vicerè che li rilascia dietro pagamento di 250 onze a testa. Nel 1794 lo ritroviamo Patrizio Urbano. Nel 1772 i Genova hanno già venduto il feudo di Cutomino Soprano. 1785 risulta Senatore anche un Francesco e nel 1806 Gaetano è tra i componenti del Senato che accolgono a Piazza re Ferdinando IV di Borbone III di Sicilia, nel 1820 è Capitano d'Armi e nel 1839 e tra i nominativi proposti a Consigliere Provinciale. 1798 Giovanni Battista Genova-Arona (o Aronna) è Senatore Urbano. A Piazza esiste una via Genova che ricorda questa famiglia, è la parallela alla via Umberto; inoltre il palazzo in via Vittorio Emanuele II n.19, costruito nel 1650 dal duca Desiderio Sanfilippo, successivamente prenderà anche il nome della famiglia Genova di Cutomino Soprano (attualmente sul portone c'è lo stemma dell'ultima famiglia proprietaria del palazzo: Jaci di Magnini e Feudonuovo).  
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