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Cronarmerina - Novembre 2024

Cittadinanza e Costituzione grazie all'UCIIM

Prof. Giacomo Timpanaro consegna gli attestati agli studenti dei licei di Piazza Armerina

Riceviamo questa segnalazione dalla prof.ssa Marianna La Malfa, Presidente UCIIM - Piazza Armerina: «Il 10 maggio scorso, il Presidente nazionale UCIIM, prof. Giacomo Timpanaro, insieme alla Presidente della Sez. UCIIM di Piazza Armerina. prof.ssa Marianna La Malfa, si sono recati presso il Liceo Scientifico "Vito Romano" e presso l'Istituto I. S. "Leonardo da Vinci", che riunisce le sezioni associate Tecnici "Leonardo da Vinci", Licei "Francesco Crispi", Professionali "Matilde Quattrino" e "G. Boris Giuliano", per consegnare alle quinte classi, gli attestati di partecipazione alle attività formative dell'UCIIM-anno sociale 2018/2019 e alla conferenza "Cittadinanza attiva e Costituzione". In primo luogo, la consegna degli attestati è avvenuta al Liceo Scientifico "Vito Romano", dove sono stati consegnati gli attestati agli studenti della classe 5^ A del prof. Luigi Di Franco, docente di Filosofia e Storia. Subito dopo il professore Timpanaro si è recato all'I.I.S. "Leonardo da Vinci" dove, nell'aula magna, ha consegnato gli attestati agli alunni delle classi 5^ A e 5^ B di Scienze Umane, 5^ A Linguistico e 5^ Economico/Sociale. Il professore si è intrattenuto con gli studenti e insegnanti, incoraggiando la loro partecipazione al nuovo esame di stato e sottolineando i valori della Costituzione Italiana, centrati sul valore della persona "L'impegno nella cittadinanza è un valore democratico che non può essere mai disatteso dalle varie comunità di uomini liberi". Gli studenti del "L. da Vinci" sono rimasti particolarmente colpiti dalle profonde riflessioni proposte dal prof. Timpanaro. Sia gli studenti che i docenti si sono dichiarati disponibili a partecipare in futuro ad altre attività formative dell'UCIIM di Piazza Armerina. Si ringraziano i Dirigenti delle due due istituzioni scolastiche, prof.ssa Lidia Di Gangi e la prof.ssa Marinella Adamo, per la loro collaborazione».

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Gli stemmi nel chiostro dei Carmelitani-6

Stemma P. Giovanni Pietro La Vaccara¹, portico nord, chiostro del convento dei Carmelitani, XVI sec., Piazza Armerina

Iscrizione anno 1575, arcata centrale portico est, chiostro del convento dei Carmelitani, XVI sec., Piazza Armerina

GLI STEMMI NEL CHIOSTRO DEI CARMELITANI-6

(dalla 5^ parte) Gli altri due portici, a nord e a est, del chiostro del Convento dei Carmelitani di Piazza Armerina, furono realizzati tra il 1574 e il 1578, ovvero durante il primo mandato priorale del piazzese Padre Giovanni Pietro La Vaccara. La prima elezione a priore di P. La Vaccara avvenne durante il capitolo provinciale dei Carmelitani celebrato a Palermo nel 1574, come è testimoniata dalla data – 1575 – scolpita nell’arcata centrale del portico a est tra la 3^ e la 4^ colonna (foto in basso), la seconda, voluta per il protrarsi dei lavori di ristrutturazione, in quello tenuto a Caltanissetta nel 1577. Ci sarà una terza elezione, quella dal 1581 al 1582, dopo la pausa del priorato di P. Severino da Palermo (1579-80). Altra chiara testimonianza lasciata dal priore La Vaccara (alias Vaccaria, o à Vaccareis o de Vaccaro) è il blasone della sua famiglia, di rosso con la vacca passante d'oro, posto sull’abaco della terza colonna del portico a nord (foto in alto). P. La Vaccara fu maestro di teologia, grande predicatore e definitore (consigliere) nel capitolo provinciale di Scicli del 1581. Nel 1607, quindi trent'anni dopo circa, fu eletto provinciale della provincia di Sant'Alberto da Trapani² a Licodia un contemporaneo e forse consanguineo di P. La Vaccara, P. M. Martino La Vaccara (o de La Vaccara) da Scicli³. (continua)

¹ «Vaccaro - Di rosso, con la vacca passante d'oro» (Vincenzo Palizzolo Gravina, Il Blasone in Sicilia, Visconti & Huber, Palermo 1871-75, p. 400).

² Sino al 1585 esiteva un'unica Provincia Carmelitana Siciliana che, poi, si divise in due: Provincia di Sant'Angelo di Sicilia a occidente e Provincia di Sant'Alberto da Trapani a oriente.  

³ Cfr. L. Villari, Storia ecclesiatica della città di Piazza Armerina, Messina 1988, pp. 266-268, 272-273.

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Gli stemmi nel chiostro dei Carmelitani-5


Stemma P. Egidio Scrigno, chiostro convento dei Carmelitani, XVI sec., Piazza Armerina

Frontespizio dell'opera di Basilio Cavarretta, Palermo 1656¹

GLI STEMMI NEL CHIOSTRO DEI CARMELITANI-5

(dalla 4^ parte) Il quarto e ultimo stemma da sx, sull'interstizio tra la 4^ e la 5^ arcata del portico a ovest nel chiostro dei Carmelitani (per intenderci a dx dopo il portale ogivale d'ingresso al chiostro) è del Provinciale dell’Ordine, Padre e Maestro Egidio Scrigno o Scrinio. Questi, originario di Trapani, quando divenne Provinciale, dal 1563 al 1568, si prodigò per ultimare il portico di ovest e, in memoria, il priore piazzese di allora, P. Riccardo La Monica, ne fece porre il blasone: Uno scrigno con tre gigli, tre stelle ed una croce greca nel centro². Da un antico volume sappiamo che «Il Molto Rev. P. Maestro Egidio Scrigno di buona famiglia di questa Città di Trapani, preclaro nella vita sua, e nei costumi, fù priore del Convento della Santissima Nuntiata, Procurator Generale di tutto l’Ordine Carmelitano, e Visitatore dei Conventi della Toscana, e Napoli, e finalmente Provinciale di Sicilia, morì il 6 aprile 1589»². In un altro, altrettanto antico, troviamo queste notizie «M. Egidio Scrigno, di natione Ciciliano, di patria, Trapanese: padre veramente, Maestro degno di grandiss’osservanza. Fu procuratore Generale. Poi nella professione sua di Filosofo, e Teologo, lasciò odore soavissimo, non solamente in Roma, pubblicamente in Sapienza leggendo; ma per tutte le mondane parte, come ch’udito fusse da tutte le mondane nationi, che si volentieri, leggend’egli, nobilissima corona gli facevano. Avanti più Papi, con gravità, e mirabile maestà, orò in Capella, con profondissimo silentio, da quelle berrette rosse, e da tanti Regnum mundi, fu con l’inarcate ciglia udito, e molto bene osservato, e oltre modo commendato. […] Scrisse molt’orationi  […]. Scrisse anco molte materie. […]. In somma fu honor immortale alla Religione, e in particolare, a Cicilia dignissima provincia»³. (continua)

¹ Basilio Cavarretta, Racconto delle fattezze, ed imagine della gloriosissima sempre Vergine Maria, Nicolò Bua, Palermo 1656, p. 21. In basso al frontespizio dell'opera, nel riquadro giallo, si trova la nota manoscritta «Conventus S.te M. de Platea», forse perché un tempo ospitato nella fornitissima biblioteca del convento carmelitano piazzese di Santa Maria dell'Annunciazione (Carmine).

² Litterio Villari, Storia ecclesiastica della città di Piazza Armerina, Messina 1988, p. 267.

³ Giuseppe Falcone, La cronica carmelitana, dall'origine di Santo Elia Profeta, Gio. Bazachi, Piacenza 1595, p. 697.

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Gli stemmi nel chiostro dei Carmelitani-4

Stemma P. Timeo d'Aidone, chiostro convento dei Carmelitani, XVI sec., Piazza Armerina

GLI STEMMI NEL CHIOSTRO DEI CARMELITANI-4

(dalla 3^ parte) Il terzo stemma da sx, sull'interstizio tra la 3^ e la 4^ arcata del portico a ovest, è del priore P. Timeo d’Aidone: Di rosso alla fascia d'argento sormontata da due stelle di sei raggi d'oro ed accompagnata in punta da uno scaglione d'argento. Maestro in Teologia e Priore del nostro convento nel biennio 1553-55, fu eletto Provinciale di Sicilia¹ nel Capitolo che si tenne a Piazza nel 1559.  Egli fu il primo a iniziare la costruzione della parte più antica del chiostro, quella a ovest, con i donativi ricevuti da diverse famiglie nobili di Piazza, perché «Uomo di grande cultura e grande oratore P. Timeo, membro di un’antica e nobile famiglia piazzese, riuscì a mettere pace (1555) fra due opposte fazioni cittadine che da anni si guerreggiavano, seminando lutti e grandissima tribolazione»². Della famiglia de Aidone a Piazza si hanno notizie sin dal 1283, quando P. de Aydona risulta nell’elenco dei 101 nobili militi sul nostro territorio, mobilitati da re Pietro d'Aragona contro gli Angioini al tempo del Vespro³. Nel 1393 «Errico Aidone, prode capitano di re Martino, pel suo valore e fedeltà ebbe concesso il titolo di magnifico4, di regio milite4 ed il molino Ruinoso (oggi Rugnusu) ed altri favori. Nello stesso anno, il fratello di Errico, Guglielmo de Aidono, acquistò il feudo Azzolina, anche chiamato Zulina»6. (continua)

¹ Sino al 1585 esisteva un'unica Provincia Carmelitana Siciliana che, poi, si divise in due: Provincia di Sant'Angelo di Sicilia a occidente, Provincia di Sant'Alberto da Trapani a oriente. Nel 1724 viene eretta un'altra Provincia Siciliana, quella di Santa Maria della Scala del Paradiso, alla quale si aggrega il nostro convento.

² L. Villari, Storia Ecclesiastica della città di Piazza Armerina, Messina 1988, p. 266.

³ Cfr. L. Villari, Storia della città di Piazza Armerina, 1981, p. 154.

³ Il titolo di magnifico si conferiva ai nobili che si erano distinti per fedeltà al sovrano e per il bene della nazione.

5 Il titolo di regio milite si accordava ai membri della famiglia reale e ai nobili che si erano distinti nelle battaglie e nelle guerre. 

6 «Il mulino Ruinoso, poi Rugnusu, si trovava a mezzo chilometro da Piazza verso occidente» mentre «Il feudo Zolina (Azzolina) è nel territorio di Piazza a nord est della città lungi sei chilometri» (A. Roccella, Storia di Piazza - Famiglie nobili, Aidone baroni di Zolina, ms., sec. XIX).

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Gli stemmi nel chiostro dei Carmelitani-3

Stemma famiglia Boccadifuoco, chiostro del convento dei Carmelitani, XVI sec., Piazza Armerina

GLI STEMMI NEL CHIOSTRO DEI CARMELITANI-3

(dalla 2^ parte) Il secondo stemma da sx, nel portico a ovest del chiostro dei Carmelitani (per intenderci a dx dopo il portale ogivale d'ingresso al chiostro), è quello della famiglia Boccadifuoco (o Buttafuoco o Boccadifoco). Questa famiglia, assieme ad altre nobili famiglie piazzesi, contribuirono alla firma dei Capitoli di Pace nel 1555, di cui abbiamo parlato nel post precedente. In quel periodo il maggior esponente della famiglia Boccadifuoco era Giovanni senior, registrato sin dal 1520 nella Mastra Nobile della città, ovvero nel libro dove erano elencate, pagando una tassa, tutte le persone nobili, fra le quali si estraevano a sorte le cariche pubbliche. Altri importanti appartenenti nel '500 furono Ercole, Nicola giurato di Piazza, e il primogenito di questi, Domenico, che sposando una Percolla, divenne barone della Tonnara di Sciacca. Quella dei Boccadifuoco era una delle pochissime famiglie ad avere una cappella nel Pantheon della Città, la chiesa di San Pietro. Infatti, la I cappella a dx della chiesa, quella del Crocifisso ligneo di fra' Umile, fu costruita dalla famiglia Boccadifuoco nella II metà del Cinquecento, come si può vedere dallo stemma in alto sull'arcata della cappella. (continua)

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Gli stemmi nel chiostro dei Carmelitani-2

Stemma Famiglia La Torre o Torre, chiostro convento dei Carmelitani, XVI sec., Piazza Armerina

GLI STEMMI NEL CHIOSTRO DEI CARMELITANI-2

(dalla 1^ parte) I blasoni delle famiglie e dei priori che avevano contribuito, nel XVI secolo, all’erezione dei 3 lati (ovest, nord ed est) del chiostro del convento dei Carmelitani di Piazza Armerina, sono ricordati nelle parti superiori delle colonne, «negli interstizi delle arcate», dei portici a ovest e a nord.
Nel portico a ovest (per intenderci a dx dopo il portale ogivale d'ingresso al chiostro) realizzato tra il 1553 e il 1555, vi sono quattro stemmi. Il primo da sx è quello della famiglia La Torre (o Torre) nella foto, d’azzurro alla torre d’argento accostata da due leoni affrontati e controrampanti d’oro¹. Nel 1555 un componente della famiglia La Torre, Giovanni, fu tra i firmatari della Pace, nella Chiesa Madre dal 1349 dedicata a Maria SS. delle Vittorie, raggiunta tra le due opposte fazioni cittadine, che da anni si scontravano per prevalere l’una sull’altra politicamente ed economicamente. Una delle due fazioni era quella cappeggiata dagli Aguglia (o La Guglia)², alla quale faceva parte la famiglia Trigona, con Giovan Francesco Trigona³ e il figlio Marco (il barone che, alla sua morte nel 1598, lasciò un’enorme eredità per la costruzione dell’attuale Cattedrale); l’altra era quella della famiglia Lo Bosco assieme alla de Assoro (o Assaro), a cui apparteneva il medico e matematico Giovan Francesco4, padre della futura moglie di Marco Trigona, Lauriella o Laura. La pace fu raggiunta per diretto interessamento sia del priore dei Carmelitani di allora, P. Timeo d’Aidone, sia del viceré don Giovanni de Vega e Enrìquez (1507-1558). (continua)

¹ «Il V. Palazzolo [sic] Gravina, in Il Blasone in Sicilia, Bologna, 1972, p. 365, afferma che detta raffigurazione è la più antica» (L. Villari, Storia Ecclesiastica della città di Piazza Armerina, Messina, 1988, p. 267, nota 29). Sempre il Villari, Storia della città di Piazza Armerina, Roma 2013, pp. 622-623, riporta alla voce Torre (de la) il blasone: d'azzurro alla torre d'argento accostata da due leoni affrontati e controrampanti d'oro ed sormontata da tre gigli d'oro posti in fascia. In capo un'aquila bicipite spiegata d'oro, come descritto in F. Mugnos, Teatro genologico delle famiglie illustri, parte III, libro VIII, G. Mattei, Messina 1670, p. 493.

² La famiglia Aguglia o La Guglia era un'antichissima e nobile famiglia piazzese. Nel '400 un appartenente a questa famiglia era padre domenicano, un altro era notaio. La figlia di questo notaio, Luigia o Aloisia, sposò nel 1530 un membro della famiglia Trigona, Antonio, barone di San Cosimano, Gatta, Ursitto, regio percettore (esattore) della Val di Noto, nonché nonno del barone Marco Trigona.

³ Giovan Francesco Trigona (†1570), fratello di Antonio e padre di Marco, oltre a essere barone di San Cosimano, Gatta, Usitto etc, era giureconsulto, poeta e consultore del viceré Ferrante I Gonzaga principe di Molfetta (1507-1557).

4 Giovan Francesco de Assoro (†1593) era regio percettore della Val di Noto (come il nonno della moglie, Antonio Trigona alla nota 1), matematico e medico così celebre da essere chiamato l’Esculapio dei principi, perché medico e consigliere nel 1585 del viceré Diego Enriquez Gusman conte di Alba de Lista (ca. 1530-1604). Il medico G. F. de Assoro sposando una sorella di Marco Trigona, Beatrice, divenne cognato di questi e, dopo che Marco (1546-1598) ne sposò la figlia Laura (1557-1597), anche suocero.

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Gli stemmi nel chiostro dei Carmelitani-1

Chiostro convento dei Carmelitani, XVI sec., Piazza Armerina, visita del 17 marzo 2019

GLI STEMMI NEL CHIOSTRO DEI CARMELITANI-1

Le notizie sul chiostro del convento dei Carmelitani di Piazza Armerina partono dal 1574, quando viene eletto priore Padre Giovanni Pietro La Vaccara, che inizia la costruzione nel 1575, data scolpita nell’arcata centrale del portico a est. Ma si suppone che la parte più antica sia quella a ovest, risalente a qualche decennio prima (1553-1555), quando era priore il Maestro in Teologia P. Timeo d’Aidone. Questi, uomo di grande cultura e oratore carismatico, era riuscito a mettere pace, nel 1555, fra due opposte fazioni cittadine, ottenendo, per questo, aiuti finanziari soprattutto da due nobili e ricche famiglie cittadine, la La Torre e la Boccadifuoco. Nel 1555 priore del convento divenne un altro piazzese, P. Riccardo La Monica (†1610), ottimo musicista e allievo del grande Pietro Vinci. Padre La Monica, per tre volte priore del convento piazzese, continuò la costruzione del portico a ovest, che fu ultimata dal frate Provinciale Padre e Maestro Egidio Scrigno (o Scrinio) da Trapani (1563-68) nel 1564. I nomi di queste famiglie, di questi priori e di altri due, P. Bartolomeo Ragusa (o Rausa) da Mazara e P. Girolamo Amoroso da Calatafimi, tranne quello del La Monica, sono ricordati dai loro blasoni, scolpiti su pietra arenaria, posti fra gli interstizi degli archi a tutto sesto, poggianti su monolitiche colonne ioniche dei portici. Nei prossimi post tutti i loro nomi e le spiegazioni degli stemmi. (continua)

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Vizi e virtù dei Piazzesi

Piazza Armerina, Folla in Piazza Garibaldi, 1940

VIZI E VIRTU' DEI PIAZZESI
Nel 1654 il concittadino Antonino Chiarandà (1611-1666), giudice, studioso ed esperto di diritto, sacerdote e commissario ordinario del Sant’Uffizio, nonché giurato e sindaco di Platia, fa pubblicare a sue spese la Storia di Piazza, scritta dal fratello minore Giovanpaolo (1613-1701), padre professo e rettore preposito del nostro Collegio dei Gesuiti nel 1648 e nel 1661. Tra le tante fonti utilizzate dal Chiarandà, ci sono quelle di altri due piazzesi, il medico e scienziato Francesco Negro¹ e il francescano Marco Alegambe². È proprio da questi e soprattutto dal primo, che il Chiarandà apprende, per poi riportarli nella sua opera, le notizie sui costumi, i vizi e le virtù dei nostri antenati a cavallo dei secoli XV, XVI e XVII, del tutto identici a quelli dei nostri tempi. Ecco cosa scrive Giovanni Paolo Chiarandà nella sua opera³:

COSTUMI DE’ PIAZZESI
«Il benigno aspetto del Cielo, e l’amenità dello stato di Piazza, quali costumi habbia dà ingerire, il sappiamo dagl’antichi. Francesco Negro nella sua historia di Piazza scrive. I Piazzesi sono Acuti d’ingegno, Adulatori, Superbi, che l’uno non crede all’altro, Desiderosi di novità, Invidiosi, Facili alla vendetta, Stuzzicati facili alla colera, parlano con due lingue Nativa, e Siciliana, Amici della Campagna, Diligenti in accumular denari, e robbe, altrove così dice, Tolomeo vuole che l’influsso celeste, e qualità delle regioni della terra produca e nudrisca diverse complessioni d’huomini: e’l prova coll’essempio delle piante, che trapiantate in altre regioni, perdono l’antica sua natura, d’onde avviene, ch’ogni Città è soggetta alle sue proprie passioni, virtù, ò vitii, secondo la natura del paese; dalla qual lege non può alcuno essere esente, ne meno la nostra Piazza, nel conservar costumi à suoi figliuoli, corrispondenti alla bontà, perfettione dell’aere, che mostrano le piante: e per esser meridionale diviene più atta alla nutrizione; onde per ordinario i Piazzesi sono di corpo più presto grande, che picciolo, di color frumentino, sono Arguti, e Astuti nel parlare, sottili nell’inventare, Prudenti nel governare, Letterati in ogni scienza, Desiderosi di sapere, Periti in tutte l’arti, Desiderosi d’esercitarsi nell’armi, Amici de’ forastieri, fra loro Nemici, e Invidiosi, Facili all’ingiurie, e più alla vendetta, e per l’abbondanza del paese, i rustici sono Indomiti, che havendo pane abbondante; ò per la facilità di ritrovarlo, ò perche sono di natura superbi, non stimano ad alcuno. Così Francesco Negro, ma l’Alegambe, scrive alcun’altre particolarità, dicendo che l’inclinatione, o istinto naturale de’ Piazzesi si cava dalla natura del Clima, o zona, sotto la quale vive Piazza, con l’elevatione del Polo eminente come tutti gl’altri del Regno: Ma perche il nostro astrolabio, mai potrà arrivare all’osservationi, che intorno à questo fece quel grande indagatore de’ segreti della natura, Francesco Negro, compatriota nostro, che morì nella cima di Mongibello, per investigare le meraviglie di quel fuoco, di cui fà mentione honorata Fazello: però alla sua astrologia n’atterremo, e solamente quello scriveremo, che questo grand’huomo registrò nella sua historia, e compose di Piazza, intorno à costumi de’ suoi Concittadini, sono dunque arguti, dice, e ben il dimostrò, quel Fra Bartolomeo di Piazza Francescano; mandato dà Siciliani, contato già il Vespro Siciliano, al Re Carlo d’Angiò in Calabria, con l’argutia, che usò rispondendo al Re (come si disse à suo luogo.) Quanto fedeli siano i Piazzesi, il dimostrano i casi seguiti con i Prencipi, nelle considerazioni, con Giovanni Branciforte, con Ruggieri lo Schiavo, con Corrado Lancia, e altri. Dedicati alla militia, come quelli, che discendono dà Soldati Greci. Così l’Alegambe. e questo ancora basti à noi, che per osservare le legi historiali, habbiamo il bene, e’l in questo luogo raccolto».

Costumi dei Piazzesi
«Il bel paesaggio, le attrattive e i costumi di Piazza li conosciamo dagli antichi. Francesco Negro nella sua storia di Piazza scrive: “I Piazzesi sono acuti d’ingegno, adulatori, superbi, così tanto che l’uno non crede all’altro. Desiderosi di novità, invidiosi, facili alla vendetta. Stuzzicati, sono facili alla collera, parlano due lingue, la nativa e il siciliano. Amici della campagna sono diligenti ad accumulare denaro e proprietà”. In altre pagine il Negro continua: “Tolomeo vuole che l’influsso celeste e le qualità delle regioni terrestri influiscano sul carattere degli uomini. Come accade per le piante che, trapiantate in altre regioni, perdono l’originale natura, così accade per ogni città che assume le proprie passioni, virtù o vizi, secondo l’ambiente in cui si trova. Questa è una legge a cui nessuno può sottrarsi, nemmeno la nostra Piazza che nel tramandare usanze, abitudini e modi di vivere ai suoi figli, come la bontà e la qualità dell’aria, fa come le piante, le quali per essere presenti in meridione, facilitano la nutrizione. Per questo motivo i Piazzesi sono di costituzione più grandi che piccoli, di carnagione biondo dorato, arguti, astuti nel parlare, sottili nell’inventare, prudenti nel governare, colti, desiderosi di apprendere, competenti in tutte le arti, volenterosi nell’esercitarsi con le armi e amici dei forestieri. Tra loro sono nemici e invidiosi, facili alle ingiurie e alla vendetta. Per la copiosità delle coltivazioni i contadini sono forti e tenaci, tanto che avendo cibo in abbondanza, sia per la facilità di reperirlo, sia perché sono superbi, non stimano alcuno”. Così ci informa il Negro, mentre l’Alegambe scrive altre particolarità dicendo: “L’inclinazione o l’istinto naturale dei Piazzesi deriva dal clima del luogo in cui si trova Piazza, come tutti gli altri centri abitati del Regno. Però, dato che il nostro modo di osservare, mai potrà arrivare al livello di quello del grande indagatore dei segreti della natura, Francesco Negro, nostro concittadino, che morì in cima all’Etna, per investigare le meraviglie di quel fuoco, di cui il Fazello ne fa onorata menzione, noi ci atterremo alle sue osservazioni e scriveremo qui, ciò che questo scienziato scrisse e compose nella sua storia di Piazza intorno ai costumi dei suoi concittadini: “sono dunque arguti, dice, e ben lo dimostrò quel frate francescano Bartolomeo da Piazza che, mandato dai Siciliani al tempo del Vespro Siciliano, presso il re Carlo d’Angiò in Calabria, usò rispondere con arguzia al Re. Alla domanda di questi “quanto fedeli siano i Piazzesi”, il frate rispose “lo dimostrano i comportamenti da discendenti dei soldati greci fedeli ai sovrani, di Giovanni Branciforte, Ruggero Sclavo, Corrado Lancia e altri”. Così l’Alegambe, e questo ci deve bastare, in quanto spiega come storicamente il bene sia presente in questo luogo».

¹ Francesco Negro o Nigro, nato a Piazza prima del 1479 morì sull’Etna il 24 marzo 1536. Medico, filosofo e sommo cultore delle scienze fisiche, astronomiche e chimiche, divenne geologo e scienziato di gran fama. Si trovava sull’Etna, spinto dallo studio della vulcanologia, per controllare da vicino un’imponente eruzione del vulcano, quando trovò la morte perché colpito da un lapillo, precipitò nel magma incandescente. Lasciò un manoscritto sulla storia di Piazza, spesso menzionata dal Verso, Alegambe e Chiarandà, una monografia di storia naturale e un trattato sui vulcani e sulle cause delle eruzioni e dei terremoti. Pubblicò un corso di epistole, nelle quali encomia le dottrine di alcuni sapienti piazzesi e rilevò, con precise distanze matematiche, la pianta dell'Etna con le rispettive altitudini e strutture (L. Villari, Storia della città di Piazza, 2013; T. Fazello, De rebus siculis, 1560; A. Roccella, Storia di Piazza, Uomini Illustri, ms., sec. XIX).

² Marco Alegambe o Ligambi o Li Gambi, nato a Piazza nel 1578 morì a Siracusa nel 1647. Frate minore osservante, fu filosofo, teologo e storico, lasciandoci nel 1640 una Storia di Piazza. Nei primi anni del Seicento, come padre guardiano del  convento francescano di San Pietro, abbellì e ampliò di nuove cappelle la chiesa (A. Roccella, Storia di Piazza, Uomini Illustri, ms., sec. XIX).

³ Chiarandà Giovan Paolo, Piazza città di Sicilia antica, nuova, sacra e nobile, per gli'Heredi di Pietro Brea, Messina 1654, libro II, cap. X, pp. 140-141. L'opera è composta da quattro libri: Piazza Antica, Piazza Nuova, Piazza Sacra e Piazza Nobile.

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Storie e superstizioni piazzesi

Da una storia realmente accaduta. Tratta da un manoscritto, è stata rispettata la scrittura e la punteggiatura originale, ma i nomi sono stati cambiati.

«Nel 1594 l’abitante a Platia Fernando de Rivera, dal 1591 barone di Rigotello e sposo dal 1589 di Catarina Alterco, pel servizio militare a re Filippo contribuì con tre cavalleggeri e due muli per trasporto e i cavalleggeri furono assoldati ad onze 20 l'anno alla scarsa (senza vitto). Popolare tradizione afferma che il barone de Rivera per dissoluta e scandalosa vita non pensò ravvedersi alle esortazioni dei preti e di fra Giacomo Raimondi da Spinagallo e morì nel 1617 senza religiosi conforti. Allora alle sobillazioni clericali la superstizione esagerata fece credere al popolo che pria di morire il barone de Rivera, anima e corpo, era stato portato dai diavoli in forma di mostri nel largo della chiesa Santa Maria di Gesù ed era stato buttato in un pozzo che era in quel piano e che riteneasi una bolgia d'inferno. Allora, sul pozzo anzidetto, i frati riformati francescani del finitimo cenobio alzarono una piramide in fabbrica sormontata di una croce e nel lato orientale formarono una cappella scolpendo sopra l'imagine della Vergine e sotto di questa dei demoni che buttano un uomo ignudo col capo in giù in un fosso, simboleggiando quel malcapitato il barone de Rivera. Tuttora, il popolo passando nanti la piramide, saluta l'imagine e ricorda esser quello il sito pel quale il de Rivera fu buttato nell'inferno per la scandalosa vita. Ritengo che nel 1617 quando il barone Fernando de Rivera moriva che fu privo dei religiosi conforti perché colto improvvisamente e, trovandosi in illegittimo amore, ritennesi morto nel peccato e, secondo la legge del tempo, gli fu negata la sepoltura in chiesa ed i parenti lo fecero inumare nel piano della chiesa Santa Maria di Gesù e i frati zoccolanti, approfittando, strombettarono al credulo popolo la fiaba demoniaca. L'inalzamento di quella piramide poi diede ai credi che una autenticità a quella gratuità inverosimile assertiva. Questo avvenimento l'intesi predicare a metà del secolo Ottocento nell'università di Palermo nell'occasione che faceansi agli studenti spirituali esercizi».

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