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Cronarmerina - Aprile 2025

1807 L'arcivescovo Filippo Maria Trigona/2

Stemma episcopale mons. Filippo Maria Trigona: Partito 1° d'azzurro un triangolo d'oro in punta col sole d'oro al capo (Trigona); 2° fusato d'argento e di rosso (Bellotti-Grimaldi); corona di nobile sormontata da galero arcivescovile munito di cordoni.

2
Il 18 settembre 1807 Filippo Maria Trigona Bellotti fu creato vescovo di Siracusa e consacrato da un altro lontano parente, Antonino Maria Trigona Grimaldi di Misterbianco vescovo ausiliare di Catania nel 1806¹. A Piazza mons. Filippo Maria è ricordato da una targa posta nel 1809 sotto l'Edicola Votiva n.17 in piazza Gen.le Cascino, dove c'è scritto che concede gg. 40 d'indulgenza a chiunque e quante volte reciterà una Ave a l'immagine di Maria Santissima. A Siracusa è ricordato per essere stato un grande appassionato di antiquaria e per questo favorevole nel mettere a disposizione alcuni ambienti del Seminario, ubicato nella zona centrale della città, favorendo così l'ambizioso progetto culturale dell'archeologo siracusano Saverio Landolina Nava (1743-1814) che potè inaugurare il primo museo cittadino nel 1811². Nel 1818, anno in cui consacrò solennemente il Duomo di Noto a S. Nicola di Bari,  l'Arcivescovo di origini piazzesi fu nominato Delegato e Vicario Apostolico per la nostra neonata Diocesi (luglio 1817) in attesa della nomina nel 1819 del primo Vescovo (mons. Girolamo Aprile Benso). Morì il 2 gennaio 1824 per essere sepolto nella Cattedrale di Siracusa all'ingresso della Cappella del Sacramento.

¹ Antonino Trigona Grimaldi fu anche Arcivescovo di Messina dal 1817 al 1819, Giudice della Regia Monarchia ed Apostolica Legazia dal 1819 al 1823, titolare dell'Arcidiocesi di Cesarea di Cappadoccia nel 1823. Morì nel 1835(?).
² All'ingresso del Museo Civico fu posta la seguente iscrizione, che ora si trova nel vestibolo del Museo Archeologico Nazionale di Siracusa: Prisca Patriae Monumenta/ Ut Sarcta Tecta/ In Vetustatem Serventur/ Philippus Maria Trigona Ep. Syr./ Et Eques Xaverius Landolina Nava/ Fac. Curav./ Anno MDCCCIX. L'anno si riferisce alla comunicazione di ringraziamento che il Vescovo fa al Real Custode delle Antichità di Valdemone e Valdinoto Saverio Landolina Nava, per l'approvazione sovrana del progetto per la formazione di un Museo presso il Seminario Vescovile di Siracusa. Questa decisione tempestiva non permise il trasferimento a Palermo, voluto dal Re, di pregevoli opere tra le quali la Venere appena scoperta nel 1804 nel giardino Buonavia (O. Garana, I Vescovi di Siracusa, 1994, p. 211).     

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1807 L'arcivescovo Filippo Maria Trigona/1

 L'arcivescovo di Siracusa Filippo Maria Trigona Bellotti (1735-1824)
1
La 2^ personalità di alto rilievo (dopo l'Arcivescovo di Siracusa Matteo Trigona Palermo) che troviamo tra gli ecclesiastici vescovi e cardinali della famiglia piazzese dei Trigona, è mons. Filippo Maria Trigona Bellotti. Nato il 1° novembre del 1735 fu il secondo dei nove figli di Trigona Luigi (1705-1773) IV barone di Imbaccari-Terra di Mirabella e S. Cono Superiore¹ e di Bellotti Grimaldi Maria baronessa di Scitibillini nativa di Castrogiovanni. Nipote di Matteo Trigona (fratello del nonno Ottavio) arcivescovo di Siracusa nel 1732, Filippo dopo tre quarti di secolo andò a ricoprire la stessa carica del prozio dal 1807 sino al 1824, anno della sua morte. Era stato proprio il parente Arcivescovo a incoraggiarlo a intraprendere la carriera ecclesiastica, così da laurearsi in Teologia presso l'Università piazzese dei Gesuiti nel 1757 e, tre anni più tardi, diventare sacerdote. Esercitando il suo ministero pastorale nella nostra Città divenne Prevosto del Duomo e nel 1778 fece parte della Commissione Comunale che doveva recuperare la somma richiesta dal Parlamento Generale del Regno per risolvere il problema della pessima viabilità stradale nel centro dell'Isola. Nel 1785 come membro del Capitolo del Duomo, partecipò alla compilazione del verbale relativo ai dati economici delle chiese della nostra Città da inviare al Viceré, che voleva abolire i diritti funerari divenuti esagerati per il popolo. Nel 1798, sempre a Piazza, che in quel periodo risentiva degli effetti della Rivoluzione Francese, dopo essere stato avvertito dell'intenzione da parte di faziosi antigiacobini di compiere una strage degli affiliati all'Associazione Rivoluzionaria Giacobina, organizzò in un'ora nei pressi delle abitazioni dei capi della congiura e lungo le strade cittadine nuclei di penitenti, diretti da un predicatore, col compito di pregare e di incitare tutti alla pace. L'effetto fu sbalorditivo e grande: i Consoli e le loro maestranze, pentiti si portarono in duomo, ove nella nottata venne cantato un solenne Te Deum di ringraziamento in un'atmosfera di sentita commozione... in seguito l'opera mediatrice dei Trigona portò al proscioglimento delle accuse ed alla serenità cittadina. (continua)

¹ In alcuni testi viene aggiunto anche il titolo della Floresta che il fratello minore Ottavio Maria ottenne quando si sposò nel 1763 con Girolama Ardoino Celestre dei marchesi della Floresta.

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Edicola n. 38

Questa è l'Edicola Votiva n. 38 di via Dante Alighieri. Si trova al primo piano di un'abitazione rivolta verso la piazza Gen.le Carlo Alberto Dalla Chiesa, la piazza retrostante il Commissariato di P.S. per intenderci. Essendo un po' appartata per chi proviene dalla discesa, appena girato l'angolo poco distante dalla Farmacia Giusto¹, occorre girarsi verso destra per individuarla e, devo dire, ne vale la pena. E' di recente costruzione, infatti se si va a guardare su google maps ancora nel dicembre 2009 non appare. E' veramente semplice, fatta bene per accogliere egregiamente una grande immagine della nostra Patrona, Maria SS. delle Vittorie. E' tenuta in ottimo stato e non rimane che fare i complimenti alla famiglia che ha pensato e realizzato questa moderna e simpatica opera votiva.  

¹ Una delle più antiche di Piazza che sino a qualche anno fa si trovava in via Garibaldi 1.

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Traduzione In mezzo a tanta candida neve

TRADUZIONE

IN MEZZO A TANTA CANDIDA NEVE

Quando penso a una cosa bella penso a mia madre
Si chiamava Angelina ed era una donna alta
Robusta al punto giusto
Con la pelle bianca e liscia
Che assomigliava a quella
Di una bimba appena nata.

La sua bella faccia non aveva
Neanche l’ombra di un trucco
Aveva un portamento autoritario
Che le veniva confermato
Dallo chignon che portava in testa.

Ma non era uno chignon fatto
Coi suoi propri veri capelli
Perché lei di capelli ne aveva pochi
E questa eredità la diede a me
Perciò era uno chignon finto.

Ci ho messo un po’ di anni per capirlo
Me la ricordo verso sera seduta in camera da letto
Sopra lo sgabello davanti alla pettiniera
Che si levava lo chignon
Per conservarlo dentro una scatola rosa
Pronto per metterselo il mattino dopo.

Lei era più giovane di mio padre di quattordici anni
E per questo mio padre le aveva dato
La libertà di amministrare la casa e la famiglia
Non per niente moglie di un carabiniere
la chiamavano LA CAPITANA.

E veramente come una capitana
Crebbe me e mia sorella
Facendoci rigare dritto
Con le regole della buona creanza
Per la verità troppo rigorose
Che diede lei
Col tacito consenso di mio padre.

Mia madre aveva una camminata dritta e veloce
E andava per la sua strada
Senza guardare a nessuno
Non si accorgeva delle occhiate
Che le davano certe persone
Tanto era bella
Ma io che le camminavo a fianco
Mano nella mano invece sì
E mi sentivo pure tantino gelosa.

Lei era figlia di sarta,
Mia nonna Fifì della poesia
“Ancora mi risuona nelle orecchie”,
Che le aveva passato nelle mani
L’abilità di cucire vestiti
O diciamo meglio di aggiustarli
A questo proposito un ricordo
Che non mi posso scordare
Sono le grida che succedevano in casa mia
Al momento di uscire per la passeggiata
Della domenica dopopranzo.

Ora vi racconto.
Vista la scarsità di soldi
Il lavoratore era solo mio padre
E gli toccava mantenere sei persone
Mia madre mi vestiva con i vestiti
Che non stavano più a mia sorella Maria Vittoria
Dopo che le aveva aggiustati.

Raramente io potevo avere un vestito
Mio da principio
Per questo in casa mia ad ogni uscita
C’erano litigi
Ma inutili perché tanto vinceva sempre
La bella capitana di mia madre!

Però era pure sempre lei
Che mi rincorreva per casa
A me, grande di ormai quattordici anni
Alta e secca
Visto che ero difficile nel mangiare
Nelle mani la tazza di pane e latte
E mi imboccava al volo
Mentre io mi preparavo per andare a scuola.

Ho un altro ricordo che più degli altri sottolinea
Il carattere di capitana di mia madre
Lei ormai grande di sessant’anni e passa
E rimasta vedova
Veniva a stare per anni
A casa mia a Torino.

Ogni mattina che io uscivo di casa
Per andare a fare la maestra di scuola elementare
Lei si affacciava alla finestra
Per accompagnarmi con gli occhi
Intanto la sua bocca
Diceva sempre le stesse parole
<<Mi raccomando Rosalba, ritirati presto!>>.

Però mia madre molto più giovane
E più bella di quanto me la ricordi io
Ancora con tanti capelli in testa
Sapeva essere pure romantica
Guardate quanta tenerezza c’è in queste parole
Che lei dedicava a mio padre
Scritte dietro una sua foto:
<<In mezzo a tanta candida neve, il mio pensiero va’...
felicemente al mio lontano amore Filippo>>.

Rosalba Termini, Luglio 2016

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In mezzo a tanta candida neve

'Ngiulìna Palermo, Giardino Garibaldi, P. Armerina, Feb. 1938

Il retro della foto in alto, Feb. 1938

Ognuno di noi è convinto di sapere ogni cosa sui propri genitori che ci sono stati accanto per anni e anni. Invece, basta leggere una dedica dietro una vecchia foto, per rivelarci una sfumatura del carattere che non ci aspettavamo minimamente che possedessero, sbalordendoci: una mamma dal carattere tanto forte da essere chiamata a cap'tàna, capace di scrivere parole tenere e romantiche al suo lontano amore.
     
IN  MEZZO A TANTA CANDIDA NEVE

Quànn pens a na còsa bedda pens a me màtri
S’ ciamàva ‘Ngiulìna ed era na föm’na àuta
‘Mpustà o pönt giùst
Ca pedd biànca e lìscia
Ch’ s’m’gghiàva a cödda
D na p’c’rìdda appèna nascìua.

A so bédda fàcci non ggh’avéa
Mànch l’ömbra d ’n trùcch
Avèa ‘n portamènt autòr’tàri
Ch’ ggh v’néa cunf’rmà
Du tùpp ch’ purtàva ‘n tèsta.

Ma non era ‘n tùpp fàit
Ch’i sò pròpi vèri cavégghi
P’rchì jédda d cavégghi n’avéa poch
E cössa ered’tà a dess a mi
Pr’vèra era ‘n tùpp fint.

Ggh’ mìsgi ‘n po’ d’annètti p’ capi’rlu
Ma r’gòrd a scurùa s’tàita ‘nta càm’ra du ddétt
Sövra u sgabèllu danànzi a p’tt’niéra
Ch’ s’ l’vàva u tùpp
P’ sauvèrlu dìntra na scàtula ròsa
Prònt p’ mènt’slu u mattìngh dòp.

Jédda era ciù giöv’na d’ me pàtri d’ quartòd’sg anni
E p’ cöss me pà ggh’avèa dàit
A l’bertà d’amn’strè a càsa e a famìgghia
Non p’ nènt mugghièr d’ ‘n carrub’nèr
A ciamàv’nu A CAP’TÀNA.

E padàveru com na’ cap’tàna
Cr’scì a mi e a me söra
Fasgèn’n r’ghè drìtt
Cu i règuli da bòna criànza
Pa v’rtà tröpp r’gurös
Ch’ dèss jédda
Cu tàc’t cunsént d me pà.

Me matri avèa na cam’naùra drìtta e velòc
E annàva pa so stràta
Senza guardè a nùdd
Nan s‘ntunàva d’ l’uggiàdi
Ch’ ggh dàvnu certi cr’stiài
Tantu era bedda
Ma jé ch’ ggh cam’nàva o sciànch
Màngh p’ màngh invèci sci
E m’ s’ntèva ‘mpùru tantìcchia g’lösa.
 
Jédda era figghia d sàrta,
Me nànna Fifì da puisìa
“Ancöra m’ r’söna ‘n l’aréggi”,
Ch’ ggh’avèa passà ntê mangh
L’ab’l’tà d cusg robi
O d’sgìöma méggh d giustèli
A st propòs’t ‘n r’gòrd
Ch’ non m’ pòzz scurdé
Sunu i griàdi ch’ succèdiv’nu nâ mi casa
A l’otta d nèsc pa passiàda
Da druménia a dommangè.

Öra vu cönt.
Vìsta a scarsiàda di grài
U travagghiaör era sö me pà
E ggh tuccàva mantèngh sei persòni
Me màtri m’ v’stìva cu î robi
Ch’ non stav’nu ciù a me söra Marìa V'ttòria
Dòp ch’ l’avéa giustàit.

Raramènt jé putéva avér na v’stìna
Mia d’ pr’ncìpi
P’ cöss ‘n casa mi ad ogn n’sciùa
Ggh’er’nu scérri
Ma inùtu p’rchì tantu vénzeva sèmpr
A bedda cap’tàna d me mà!

Però era 'mpùru sempr jèdda
Ch’ m’ r’ncurrèva casa casa
A mi, rànna d’oramài quartòd’sg anni
Àuta e séccha
V’dùit ch’era mala mangiànda
Cu ntê màngh a cupìna du pangh e ddàit
E m’ ‘mbuccàva o vòlu
‘Ntènt ch’ jé m’ pr’paràva p’annèr a scòla.

Ggh’hòi n’àutr r’gòrd ch’ ciù d l’àutri r’màrca
U caràtt’r d cap’tàna d me màtri
Jèdda oramài rannùzza d s’ssant’ànni e passa
E r ‘stàit vìdula
V’nèa a stè còp d’annàdi
‘N càsa mi a Torino.

Ogn mattìngh ch’ jé n’scèva d ‘n càsa
P’annè a fè a maìstra d scòla elemèntari
Jèdda s’ facciàva a f’nèstra
P’ cumpagnèm cu l’öggi
Intànt a so böcca
Dis’gèa sèmpr i stìssi paròddi
<<M’ raccumann’ Rosà, r’cöggh’t  ‘ncurrénn!>>.

Però me màtri assài ciù giöva
E ciù bedda d quànt ma r’gord jé
Ancöra cu tanti cavégghi ‘n tèsta
Savèa èss ‘mpùru romànt’cha
Talià quànta t’nn’rézza ggh’è ‘n sti paròddi
Ch’ jédda ded’càva a me pà
Scr’vùit darrèra ‘n so r’tràtt:
<<In mezzo a tanta candida neve, il mio pensiero va’…
felicemente al mio lontano amore Filippo>>.

Rosalba Termini, Luglio 2016

La traduzione nel prossimo post.

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2009 Presentazione di "CRONOLOGIA"-2

Dopo la Pubblicazione nel 2008 vi propongo la PREFAZIONE del mio libro presentato sette anni fa.

<<Tutto ebbe inizio nel 1998, quando la Scuola Media "Luigi Capuana", dove insegno da oltre vent'anni, si trasferì nella vecchia sede del Collegio dei Gesuiti. Con questo trasferimento ebbi la possibilità di tuffarmi nei ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza. Infatti, mezzo secolo fa avevo frequentato proprio in questi luoghi la scuola media e, prima ancora, la scuola elementare nei plessi Sant'Anna e Trinità. Condizioni atmosferiche permettendo cominciai a dedicare qualche ora "buca" del mio orario scolastico a fare quattro passi tra le viuzze e i palazzi dell'antico quartiere Monte, che poco conoscevo essendo cresciuto dalle parti di S. Veneranda e S. Giuseppe. Appena fuori dal portone principale mi trovavo già "na calata o collegio" a due passi "do chianu casteddu" e "do chianu balilla" dove leggevo appena su "na cantunera" il vecchio nome della via Antonio Crescimanno, via Madonna della Stella. Erano quasi tutti nomi da sempre conosciuti, ma di cui sapevo ben poco del perché venissero chiamati così. Le mie visite "turistiche" divennero sempre più frequenti e spesso mi capitava di passare dalla via Bonifacio, sotto l'ospedale, che a metà del secolo scorso aveva visto i miei natali. Dopo essere passato dalla zona che mio padre mi aveva indicato come "d' Santa Caterina", mi dirigevo verso "Sanra Rsulia" e ""u chianu barun". Per non parlare della zona dell'Istituto Magistrale, da me frequentato, con la palestra ginnica in quella che poi scoprii essere la chiesetta di S. Chiara. Anni prima avevo acquistato da buon piazzese il volume del concittadino generale Litterio Villari "Storia della città di Piazza Armerina", ma ogni volta che ne sfogliavo qualche pagina subito lo richiudevo perché pieno di nomi e di date, per persone competenti, insomma. In compenso faceva bella mostra nella libreria del soggiorno, ma la curiosità continuava a stuzzicarmi. Un giorno, in una delle tante chiacchierate, mio padre, classe 1921 ma dalla memoria infallibile, mi snocciola un altro dei suoi tanti aneddoti: - "All'uscita dalla Trinità, quando frequentavo la scuola elementare, ho assistito alla demolizione della chiesa di Sant'Agata". Quale chiesa di Sant'Agata? Ma dove? Quando? Mi decisi, allora, ad acquistare l'altro bel tomo del Villari, ancora più grosso del primo, "Storia ecclesiastica della città di Piazza Armerina", sperando, forse, che solo il possederlo mi avrebbe trasmesso il contenuto limitandomi a lanciargli qualche occhiata da lontano, di sfuggita. Questa volta, invece, non lo rassettai in libreria, bensì iniziai a leggerlo attentantamente, parola per parola, per poi compararlo con altri volumi in mio possesso e con qualsiasi altra fonte possibile. Mi rendevo sempre più conto che avrei trovato le risposte a tante mie domande, per me diventate vitali. Più spulciavo questo volume e più dovevo consultare l'altro e l'altro ancora per approfondire, riscontrare, chiarire e definire nomi somiglianti, ma che indicavano la stessa cosa, spesso ero obbligato, addirittura, a consultarne qualcuno nella biblioteca comunale, luogo poco conosciuto e mai frequentato così assiduamente. Tutto ciò mi faceva tornare indietro di secoli e secoli, con decine e centinaia di nomi, date, località e contrade che a mano a mano elencavo su dei fogli dove prendevo appunti per ricordarli meglio e fissare bene le mie "scoperte". I fogli divennero sempre più numerosi, ero immerso in un mar di appunti. Non potevo più sopportare quel disordine che metteva tutto quel lavoro a rischio, dovevo decidermi a riordinarli. Come? In ordine cronologico, per una semplice, chiara e immediata consultazione. Dopo le prime stesure mi resi conto che questa cronologia avrebbe potuto far piacere ad altri curiosi come me, soprattutto aggiungendovi un indice particolareggiato, gli alberi genealogici delle famiglie più importanti e la piantina dei palazzi civili. Confesso che non sapevo a cosa stessi andando incontro, che incosciente! Non è stato facile per uno abituato in palestra tra alunni vocianti, palloni, palline e attrezzi vari, alla fine mi sono accorto che solo l'indice contiene 2.800 voci! Ma tutto questo lavoro, che solo la passione non mi ha fatto abbandonare prima, mi è servito a conoscere e rispettare tanto e meglio i miei antenati e il mio paese e, lo ammetto, ad amarli un po' di più di qualche anno fa, come spero possa accadere per qualcuno dei pochi o tanti lettori, piazzesi e non. Piazza, vi assicuro, merita molto, molto di più di quello che pensiamo o facciamo per essa ai giorni nostri, perciò che questa modesta opera possa contribuire alla "sua" tanto agognata rinascita. Buon viaggio tra le nostre origini più o meno remote. Gaetano Masuzzo>>.

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Probabile stemma Crescimanno ad Aidone

Chiesa di S. Giovanni Evangelista ad Aidone

Stemma di sinistra sul portale della chiesa aidonese simile a quello piazzese nella foto in basso

Stemma Crescimanno alla Commenda di S. Giov. Battista di Piazza coevo a quello di Aidone

Tra le tante chiese presenti nella cittadina di Aidone (EN), quella di San Giovanni Evangelista¹ (foto in alto) la possiamo inserire tra le più antiche e particolari2. Nel cartello turistico molto generico, a sinistra della facciata, leggiamo in due lingue (italiano e inglese) <<COMUNE DI AIDONE - CHIESA SAN GIOVANNI XII sec. - La costruzione risale all'inizio del XIII secolo (1229), su concessione di Federico II all'Ordine dei Templari. Probabilmente fu eretta da una famiglia nobile locale come cappella gentilizia; successivamente passò ai Cavalieri di San Giovanni di Rodi, quindi a quelli di Malta, il cui stemma è raffigurato sul portale3, e infine, creata commenda, fu data al Principe di Capua>>. Nella semplice facciata in pietra locale si notano quattro stemmi, tutti posti sull'unico portale in pietra bianca e rosa. Lo stemma sulla chiave di volta del portale è chiaramente quello dei Cavalieri Ospedalieri di S. Giovanni Battista di Gerusalemme4 che, da quando si stabilirono nel 1530 nell'isola di Malta, ebbero come stemma la croce bianca a otto punte su campo rosso. Per quanto riguarda gli altri tre stemmi: il primo a destra "inquartato: nel 1° e nel 4° di rosso alla croce d'argento, nel 2° e nel 3° d'azzurro all'aquila spiegata d'oro" potrebbe essere lo stemma di un Gran Maestro dell'Ordine; quello al centro è piuttosto malridotto per fare qualche supposizione; quello di sinistra (foto al centro) invece, si assomiglia tanto allo stemma della famiglia Crescimanno di Piazza (foto in basso): "un leone in piedi d'oro traversato da una sbarra d'oro in campo azzurro". Oltrettutto la famiglia Crescimanno annoverava, tra il 1599 e il 1671, Vincenzo cavaliere e commendatore dell'Ordine degli Ospedalieri di Malta che, alla sua morte, venne sepolto nella Commenda di S. Giovanni Battista di Piazza, dove si può ancora leggere la sua lapide. Inoltre, altri cavalieri piazzesi dell'Ordine Cavalleresco appartenenti alla famiglia Crescimanno come Diego nel 1622, fra Lucio 1701, fra Antonio e fra Pietro nel 1705 e Raffaele, che nel 1793 lo troviamo capitano della galera Vittoria, giustificano la presenza di diversi stemmi di questa famiglia nella Commenda degli Ospedalieri di Piazza, oggi chiamata dei Cavalieri di Malta. Questo stemma, quindi, potrebbe indicarci o che la famiglia nobile locale di cui parla il cartello fosse quella dei Crescimanno o che un appartenente di questa famiglia piazzese fosse un Commentatore della Casa Templare di Aidone. In linea generale, si deduce che gli stemmi sulla facciata della chiesa aidonese non siano stati affissi nello stesso periodo, ma in epoche differenti lungo i novecento anni circa dalla sua costruzione.

1 L'unica fonte che specifica se "Battista" o "Evangelista" è Wikipedia alla voce "Aidone", mentre tra le chiese della Diocesi di Piazza viene menzionata ad Aidone anche la chiesa di S. Giovanni Battista nel Largo Sant'Anna, facente parte della Parrocchia di Maria Santissima di Lourdes.

2 La chiesa si trova lungo la via G. Garibaldi, accanto all'incrocio con la via A. Diaz. Oppure, percorrendo viale Martiri della Libertà, si raggiunge la traversa di via G. Garibaldi, dall'incrocio a 60 mt ca. sulla sx c'è la chiesetta.

3 Nel mese di Febbraio 2017 mi è stato segnalato da alcuni amici aidonesi, con l'invio di una foto, la presenza nel muro esterno a Nord della chiesa (quello di dx) di uno stemma simile, sfuggitomi durante la ricognizione di mesi prima.  

4 Ciò potrebbe far supporre che la chiesa fosse intitolata a San Giovanni Battista e non all'Evangelista. Ho letto nell'aprile 2018 in Sac. Filippo VITANZA, Dai Templari ai Cavalieri di Malta a Caltagirone, Piazza Armerina, Aidone..., Tip. Messina, Caltagirone 2017, che a pag. 54 la Fig. 15, con la chiesa di Aidone, riporta la seguente didascalia <<Aidone: Prospetto della chiesa S. Giovanni Battista con portali e stemmi (2017). La chiesa di San Giovanni attraverso i secoli ha subito diversi rimaneggiamenti: l'ingresso in origine era da lato nord, in pratica l'abside d'un tempo ora è diventata ingresso>>.

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Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/6

Piazza Armerina anni Trenta, veduta da Nord

Ricordi e fatti inediti/6

Carmelo da ragazzino non sognava di farsi prete
Mio fratello durante l'infanzia e anche dopo, non pensava di farsi prete, tutt'altro. Egli diceva ai genitori e a chi gli chiedeva che non appena avrebbe avuto la possibilità di lasciare il proprio paese, sarebbe andato via lontano in cerca di fortuna e dare così una svolta alla sua misera esistenza e sarebbe ritornato a casa possibilmente anche con una bella moglie. Questi erano i suoi desideri e ciò che si proponeva di fare. Però, ad un certo punto della sua vita, gli capitò un imprevisto, sentì la chiamata del Padre Celeste, la così detta VOCAZIONE. Così che il nostro Carmelo, invece di trovarsi una bella moglie, si trovò in seminario con la tunica da chierico. In questo modo iniziò la vita da novizio prima e da sacerdote Gesuita dopo. E questa fu la sua onorata carriera clericale che noi conosciamo. Dobbiamo anche dire che Carmelo da bambino e anche da ragazzino, era normale come tutti i suoi compagni, a parte lo studio in cui, come abbiamo detto, era bravissimo. Amava giocare e partecipava a tutte le manifestazioni come il regime di allora pretendeva dai ragazzi. Così il sabato, quando si facevano le sfilate e le esercitazioni con le divise da Balilla, egli era là a fare tutto quello che gli imponevano di fare. Come ho già detto, amava giocare, ma a quei tempi i giocattoli non c'erano e per poterlo fare se li doveva costruire. Infatti egli s'ingegnò e si fece un carroccio di legno, assemblando alcuni pezzi di tavole e mettendo sotto due assi e tre cuscinetti a sfera che aveva recuperato vicino a una carcassa di un aereo abbattuto dalla contraerea (siamo nell'anno 1943), l'invasione della Sicilia da parte degli Alleati era appena iniziata. Con quel  giocattolo artigianale egli si divertiva e scorrazzava per le vie in discesa del quartiere e qualche volta, per farmi stare buono, mi faceva montare su e mi trainava. Allora avevo appena 4 anni, ero tanto felice con mio fratello. Egli aveva passione per tante cose e in particolar modo per le armi e per la vita militare. Io penso che se egli non avesse avuto la vocazione per farsi prete, si sarebbe arruolato per fare il militare. Un giorno si presentò a casa con una bicicletta militare tedesca che alcuni tedeschi gli avevano regalato prima di andare via, perché incalzati dall'arrivo delle truppe alleate. Allora mia mamma lo rimproverò e gli ordinò di riportare indietro la bella bicicletta. Penso anche, che la passione per lingue straniere gli venne proprio in quel periodo: egli cercava di parlare con tutti, sia con i Tedeschi prima e sia con gli Inglesi dopo, e con tutti cercava di farsi capire. Egli, tra l'altro, era molto curioso e quando c'era qualche spettacolo da vedere, faceva di tutto per poterselo godere. Un giorno, prima che una colonna degli alleati conquistasse Piazza Armerina, alcuni militari fecero brillare la polveriera che si trovava a circa 3 km del centro cittadino. Prima dell'esplosione avvisarono per sicurezza i cittadini di abbandonare le case. Carmelo, per potersi godere lo spettacolo dall'alto, salì su l'altura che sovrasta il sito della polveriera. Per lui fu uno spettacolo magnifico e irripetibile. Quando i Tedeschi abbandonarono i territori del nostro comune, sul terreno rimase tanto materiale bellico. C'era di tutto, mezzi da trasporto, carburante, armi e munizioni di ogni tipo. Un giorno mio fratello prese un moschetto, lo caricò e sparò più volte contro i cipressi che in fila delimitavano e ornavano il viale, il famoso viale dei cipressi, così egli sperimentava la forza di penetrazione del proiettile nel legno verde e duro che spesso riusciva a penetrare con un sol colpo due alberi abbastanza robusti.

continua in Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/7

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Il poeta rivoluzionario Gangitano

Come avevo accennato trattando degli organari e degli organi presenti nella Cattedrale di Piazza Armerina, nel 1886 fu impiantato l'organo del cremasco Pacifico Inzoli. Dalla pubblicazione su un social network di due documenti originali da parte del prof. Marco Incalcaterra, veniamo a sapere che per l'occasione il nostro concittadino Cav. Francesco Gangitano scrisse due odi, di cui una la troviamo nella foto in alto con firma autografa, mentre della seconda, dedicata all'armonista Roberto Remondi¹, sappiamo solo il titolo, L'ADDIO. Francesco Gangitano non era solo un poeta, ma lo troviamo, assieme al fratello Antonino, componente e segretario del Comitato Rivoluzionario nel 1848. L'anno seguente, nel mese di gennaio, per la rinuncia alla carica di parlamentare da parte del piazzese Pietro Trigona Stella di Mandrascate, Francesco Gangitano (anche Gancitano) viene eletto nel Distretto di Piazza a Deputato nella Camera dei Comuni «nella quale fu assai attivo, intervenendo spesso nei dibattimenti di quei pochi mesi di attività parlamentare». Nel maggio del 1860, quando sbarcano i garibaldini a Marsala, il nostro Gangitano lo troviamo rinchiuso nel carcere del Castello Aragonese per le sue idee rivoluzionarie e non solo², ma pochi giorni dopo, il 18 maggio «In colonna serrata, i rivoluzionari - allorché cresciuti di numero - si avviarono al Palazzo di Città percorrendo la strada del Principe (oggi via Garibaldi), lungo la quale abbatterono le insegne borboniche, poste sopra la porta dell'Ufficio di Polizia. In Piazza Pescara (oggi Piazza Garibaldi) furono date alle fiamme i ritratti dei re Borboni da Liborio Platamone dei Pojri, mentre Ercole Trigona della Floresta con un manipolo di uomini armati corse alle carceri e liberò Salvatore Prestifilippo, nonché il poeta Francesco Gangitano, già deputato del Distretto di Piazza nel 1848».  

L'ode nella foto in alto non si legge bene e la ripropongo di seguito soprattutto per farvi notare l'uso di termini tipici e inconsueti del periodo poetico della seconda metà dell'Ottocento.

Arte d’incanto è questa?.. o, schiusa l’etra,
Il rapito pensier, colà s’india?..
Quai cherubici accordi, e qual penètra
Eccelsa voluttà l’anima mia?..

Di Calliope il figliuol, ecco, la cetra
Cruccioso infrange, e scaglia in su la via,
Ma per le sfere spazia, e non s’arretra
Lo insubrico Signor de l’Armonia. –

Ei non morrà: finché scintilla duri
De’ gran portati, che il suo Genio crea,
Saldo starassi in faccia a’ di venturi.-

E acceso il petto de l’eterna Idea
Del Bello, che non langue, i perituri
Traverso a l’Opra avviseran la Dea.-

Cav. Francesco Gangitano

¹ Nato a Fiesse (BS) nel 1850, ricoprì l'incarico di organista e maestro di cappella presso il Duomo di Brescia e, successivamente, quello di organista della Cattedrale di Piazza Armerina. Nel 1892 passò alla carriera didattica al Liceo Musicale di Torino sino al 1911. Morì a Torino nel 1928.

² Dalla biografia che scrive l'avv. Alceste Roccella (1827-1908) su Uomini Illustri, sappiamo il Gangitano che aveva un temperamento violento e non disdegnava l'uso delle mani e delle armi. Questo diffetto lo portò diverse volte ad essere condannato. Prima di essere liberato durante la Rivoluzione del 1860, si trovava in carcere in attesa dell'esito della revisione della condanna a 25 anni di lavori forzati, comminatagli dalla corte di Caltanissetta per l'assassinio di un certo Pasquale Cantella (Alceste Roccella, Storia di Piazza Volume 3 - Uomini Illustri, ms. inedito, sec. XIX, [PDF], pp. 153-154). 

cronarmerina.it

 

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