ExclusiveCentraleSx
ExclusiveCentraleDx
Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

URL del sito web:

Aguzzate la vista n. 27

La croce mai vista nella chiesa più antica della Città

È vero, all'occhio allenato del curioso nulla sfugge. L'altro giorno mi trovavo in piazza Martiri d'Ungheria, meglio conosciuta come piazza Teatini, in attesa che aprisse l'agenzia assicurativa e pensavo a quanta storia ci fosse in queste poche decine di metri quadrati. Un convento, un monastero e una Casa/Collegio con le rispettive chiese, palazzi nobiliari e una torre con le vecchie mura della città attorno alla piazza chiamata anche "del mercato settimanale", al di sotto della quale durante la seconda Guerra Mondiale era stato ricavato un rifugio antiaereo. E mentre pensavo, mi chiedevo se, guardando molto più attentamente il muro millenario della chiesa che avevo davanti, avessi potuto scoprire qualche dettaglio ancora sconosciuto. Ho avuto fortuna e gli occhi sono caduti su un piccolo blocco di pietra arenaria dove è scolpita una croce, chissà quando e da chi. La croce è quella nella foto in alto ed è la tipica "croce greca" formata da quattro bracci di uguale misura che si intersecano ad angolo retto. Questo "ritrovamento" mi dà lo spunto per riassumere la millenaria storia di questa prestigiosa ma dimenticata chiesa, riportando brani tratti dal libro dello storico Litterio VILLARI, Storia Ecclesiastica..., 1988, pp. 358, 359. La chiesa di S. Maria al Patrisanto concessa ai Teatini era ed è la più antica della città. Costruita sul finire del secolo XI (1090 ca.) fu donata¹ dal conte Simone Aleramico, dei marchesi del Vasto e di Savona, alla chiesa episcopale di Catania nell'anno 1142. Nulla ci è dato sapere sull'attività religiosa nel periodo normanno-svevo però, da un documento dell'antipapa Nicolò V del 1329 sappiamo che la chiesa è costituita a rettoria, cioè sacramentale o suffraganea della Chiesa Madre e che si trova nel borgo abitato chiamato "il Patrisanto" situato nel pendio fra la torre e la "Taccura", in quella striscia di terra detta anche "Casette". Nel secolo XVI (1500) la chiesa cambiò nome da S. Maria al Patrisanto² a quello di S. Lorenzo Martire in omaggio alla famiglia aidonese dei Gioeni che proprio allora ne ereditava dai Branciforti il patronato. Con l'arrivo dei Teatini nel 1609 il titolo di chiesa sacramentale passò alla vicina chiesa di S. Stefano. Della primitiva costruzione, opera architettonica normanna, si sono conservati i muri esterni³; in particolare il lato a sud (quello sulla piazza) mostra i segni del primo periodo del gotico siciliano nel caratteristico portale ad arco acuto e nelle quattro finestre-feritorie, delle quali tre trovansi ad un metro dall'antico tetto, mentre la prima è situata più in basso e pare sia servita ad uno scopo speciale. Queste finestre-feritoie sono "molto simili alle finestrelle della chiesa di Sant'Andrea" (prof. Onofrio PRESTIFILIPPO) e si riscontrano "affinità con l'architettura di Sant'Andrea e della Commenda" (Walter LEOPOLD). L'interno e la facciata incompleta sono di epoca barocca, ricostruiti nel secolo XVII (1600) dai Teatini. L'interno, originariamente a tre navate, con antichi affreschi4 che affiorano di tanto in tanto sulle pareti, venne ristrutturato sul modello della chiesa teatina romana di S. Andrea della Valle. A lavori ultimati, circa l'anno 1650, assunse l'attuale configurazione di chiesa ad una vasta navata centrale di cui parlerò, dettagliatamente, un'altra volta. 

¹ <<Il diploma di donazione fu scritto in lingua greca e ciò lascia intendere che la zona era abitata da persone che parlavano greco (gli antichi bizantini)>>. (Onofrio. PRESTIFILIPPO, Notizie sulla Chiesa dei Teatini, Dattiloscritto, 2006?, p. 1) 

² In qualche testo è detta erroneamente di Santa Maria del Gorgo Nero confondendola con un'altra, sempre esitente nel piano del Patrisanto, chiamata appunto di S. Maria del Gorgo Nero (in qualche testo anche della Fonte di Vico), ma andata distrutta proprio nello stesso XVI secolo. Quest'ultima chiesa custodiva una grande immagine di stile bizantino della Madonna che, a causa della distruzione, fu portata nella chiesa di S. Barbara. In seguito, dopo l'arrivo dei Teatini, l'immagine fu riportata in S. Lorenzo al Patrisanto. Nel 2000, il vice-presidente della Casa di Riposo S. Giuseppe, prof. Onofrio PRESTIFILIPPO, mentre faceva <<pulire la Chiesa dalle sozzure provocate dai piccioni e risistemare le chiusure delle porte>> trovandosi a <<rovistare tra l'intercapedine tra il muro Medievale e il muro seicentesco ho trovato due tele mal ridotte, esse sono: la famosa Madonna del Gorgo Nero e San Michele Arcangelo>>. Per essere più sicuro dell'originalità del quadro il professore chiese aiuto al gen.le Villari che, dopo qualche mese di ricerche, gli indicò un libro nella nostra Biblioteca Comunale dove <<troverà una fotografia della Madonna>>. Fu così che il professore Prestifilippo aveva ritrovato la famosa tela bizantina del XII secolo <<in mezzo agli escrementi di piccione>> (Ibidem, p. 8).

³ <<Infatti dovete sapere che tra il muro medievale prospiciente il piano Teatini e la ricostruita chiesa seicentesca esiste un'intercapedine che corre lungo la parte laterale della chiesa fino alla facciata principale. Esistono, insomma, due muri. Quindi è da ritenere che i Teatini procedessero a una demolizione e ricostruzione progressiva dell'intera chiesa medievale, così da garantire sempre uno spazio utile per la celebrazione della messa. A proposito del muro medievale voglio ricordare a tutti che la parte finale dell'intercapedine è usata attualmente come camera mortuaria della chiesa di S. Stefano con una porta costruita in epoca successiva (n.d.r. sottostante la piccola finestra-feritoia con la croce accanto, nella foto in basso)>>. (Ibidem, p. 12)

4 <<Nel mese di dicembre del 1767 Donato Del Piano (n.d.r. l'organaro) è a Piazza Armerina dove è chiamato dai fidecommissari della chiesa matrice per eseguire alcuni rifacimenti agli organi da lui costruiti tra il 1740 e il 1743 e per perfezionare e firmare le convenzioni per la realizzazione degli organi della Casa dei Padri teatini e del convento delle monache benedettine. Il giorno 14 di quel mese si accorda, infatti, con padre Tommaso Valguarnera, preposito della Casa dei padri teatini, per la costruzione di un organo per l’attigua chiesa di San Lorenzo al Patrisanto, pregevolmente affrescata alcuni decenni prima dal pittore fiammingo Guglielmo Borremans>>. (F. PEZZELLA, Donato Del Piano, I.S.A., GRUMO NEVANO 2016, p. 63)

cronarmerina.it

Stemma S. Bartolomeo Trigona

Di nero colonna onoraria¹ bipartita d'oro in alone violaceo

Quando ho parlato del quadro di S. Bartolomeo Trigona in Cattedrale, tra le deduzioni elencavo anche l'immagine in alto a sinistra accanto ai due angioletti, rappresentante un cilindro verticale contornato da una luce gialla/arancione. È l'immagine che ricorda la colonna di fuoco del miracolo che accadde quando l'abate Bartolomeo, chiamato a Messina per discolparsi dall'accusa di aver arricchito i propri parenti con i beni che il conte Ruggero II aveva donato al monastero calabrese, non aprì bocca per difendersi e quindi fu condannato al rogo. Prima di essere dato alle fiamme ottenne il permesso di celebrare l'ultima Messa, ma alla Consacrazione apparve una colonna di fuoco che dai suoi piedi si elevava fino al cielo. Fu questo miracolo che convinse Ruggero II e i presenti a inginocchiarsi per chiedere perdono all'abate dell'errore commesso. È proprio questa immagine della colonna in mezzo al fuoco, che troviamo nello stemma in cima all'arco dell'altare nella cappella a dx dedicata a S. Bartolomeo Trigona in Cattedrale. Sottostante allo stemma, si trova l'iscrizione in latino che ci spiega a chi è dedicata la cappella <<D.O.M - DIVO BARTHOLOMAEO ABBATI - TRIGONIORUM FAMILIAE - GENTILI PATRONO - 1761>> ovvero <<PER MEZZO DI DIO.IL PIÙ BUONO.IL PIÙ GRANDE - AL DIVINO ABATE BARTOLOMEO - PARENTE PATRONO DELLA FAMIGLIA DEI TRIGONA - 1761>>. La data 1761 si riferisce all'anno della realizzazione della cappella in Cattedrale e per ricordare il suo maggior fautore, l'arcivescovo di Siracusa Matteo Trigona Palermo (1679-1753), venne posta una lapide sull'arco di sx e un suo busto soprastante l'aquila con lo stemma gentilizio sull'arco di dx. Inoltre, forse fu una coincidenza che l'anno 1761 morì l'altro alto ecclesiastico membro della famiglia Trigona che diffuse, assieme all'arcivescovo di Siracusa, il culto di S. Batolomeo Abate, P. Vespasiano Trigona S.J. (1692-1761). Questo padre gesuita piazzese dopo aver studiato nel nostro collegio, divenne insegnante di lettere umane e di rettorica, a Palermo ricoprì le cariche di rettore, di maestro dei novizi, di Provinciale di Sicilia e nel 1755 venne eletto Assistente d'Italia sino alla sua morte, avvenuta in Roma il 14/1/1761.

¹ La colonna isolata si dice votiva se è utilizzata con intento religioso, oppure onoraria se utilizzata in senso celebrativo come in questo caso araldico.

cronarmerina.it   

Edicola n. 55

L'Edicola Votiva n. 55 si trova in via Aguglia. E' stata ricavata da una ex finestra al primo piano di un immobile a pochi passi da due Edicole Votive, la n. 39 e la n. 40, che si trovano in via Ortalizio, la discesa che dallo Stradonello porta alla provinciale n. 15 per Barrafranca. L'edicola racchiude un quadro con la stampa di S. Giuseppe con Gesù Bambino e un vasetto con dei fiori in plastica. Il tutto è protetto da un telaio con due sportelli in ferro che stanno quasi sempre aperti. L'ho potuta censire grazie alla segnalazione di un'amica che frequentava quella zona, altrimenti non avrei potuto perché non è tanto visibile ai passanti. Nella sua semplicità devo dire che è tenuta bene, grazie al proprietario dell'immobile che la ospita. Colgo l'occasione per ricordare che del cognome Aguglia nella nostra Città si ha notizia sin dal 1546, quando al Viceré di allora, don Giovanni de Vega, fu segnalata la spietata lite tra due grosse fazioni piazzesi per grossi motivi di interessi economici. Le due fazioni contrapposte erano formate da un lato dalle famiglie Aguglia, Trigona, Crescimanno, Zebedeo, Bonaccolti, de Amore, Sanfilippo, Bisazza, Pillotta e La Torre, dall'altro dalle famiglie de Assaro (la famiglia della futura moglie del barone Marco Trigona, Laura) e Lo Bosco. Solo nel 1555 furono firmati nella chiesa maggiore i "capitoli di la pachi" (capitoli di pace) alla presenza del figlio del Viceré, Ferdinando de Vega.

cronarmerina.it   

Quadro di S. Bartolomeo Trigona in Cattedrale

Quadro di S. Bartolomeo Trigona, Cattedrale, Piazza Armerina

Particolare del quadro di S. Bartolomeo Trigona in Cattedrale

La città di Messina con la Torre del Faro in una stampa XVIII secolo, prima del terremoto 1783

L'altro giorno, l'articolo «Le opere d'arte tra l'umidità e usura» di Marta Furnari sul quotidiano LA SICILIA faceva notare come «Le pale d'altare e i dipinti della cattedrale di Piazza Armerina versano in cattivo stato di conservazione per l'usura del tempo e l'umidità che aggredisce alcuni ambienti del tempio sacro. Il bicentenario di fondazione della Diocesi piazzese [...] è l'occasione [...] per porre all'attenzione dell'intera comunità le condizioni di fatiscenza in cui si trovano le importanti opere d'arte». L'articolo era accompagnato da due foto di opere danneggiate e una di queste era il grande quadro sull'altare nella II cappella a dx rappresentante San Bartolomeo Trigona (nella foto in alto). Mi sono recato in Cattedrale e mentre scattavo alcune foto, dove si evidenzia oggettivamente lo stato penoso dell'opera, notavo come nella parte sottostante la figura del Santo, al di sotto dello stemma della famiglia Trigona (freccia n. 1), ci fosse una bellissima veduta di una città. Prima che scompaia del tutto, ho voluto dare un nome a questa città nel dipinto, ovviamente approfondendo la vita del Santo tanto caro alla famiglia Trigona del XVIII secolo, ma che lo storico Litterio Villari concluse, alla fine del suo studio Dell'origine del predicato di "TRIGONA" dato a San Bartolomeo di Simeri, monaco italo-greco, fondatore del SS. Salvatore dei Greci in Messina, Società Messinese di Storia Patria, Tip. D'Amico, 1956, «Che S. Bartolomeo di Simeri o di Trigona fu un greco-calabro e che non ebbe alcun legame di parentela con la normanna e nobile famiglia Trigona di Sicilia». Ritornando alla città rappresentata nel quadro in Cattedrale, è bene riportare parte della biografia di San Bartolomeo di Simeri eremita, fondatore e abate firmata da Antonio BORRELLI in www.santiebeati.it/dettaglio/92339. Qui riporto le parti che ci interessano specificamente: «Nacque verso la metà del secolo XI a Semeri (oggi Simeri) in provincia di Catanzaro e fu battezzato col nome di Basilio. I genitori Giorgio ed Elena lo consacrarono a Dio e gli diedero un'educazione improntata alla fede, alla pietà e alla scienza. Ancora giovane, Basilio volle lasciare la famiglia perché attratto dalla vita dei Padri eremiti nel deserto e avvertendo il desiderio di una maggiore perfezione nella vita, si recò quindi presso l'eremita Cirillo che viveva vicino al torrente Melitello. Da lui ricevè la tonsura e l'abito monastico, cambiando il nome di Basilio in Bartolomeo (in seguito sarà conosciuto anche col nome di 'Trigono' dall'omonimo monte, oggi Triangolo) [...] La potenza e la floridezza raggiunta dal monastero in Calabria, suscitò l'invidia di altre istituzioni monastiche e così verso il 1125 due monaci benedettini dell'abbazia di S. Angelo di Mileto, calunniarono il santo egumeno (abate) presso il conte Ruggero II (1095-1154) accusandolo di avere arricchito i propri parenti con i beni che lo stesso conte aveva donato al monastero. Bartolomeo fu chiamato a Messina per discolparsi, vi si recò con umiltà e invitato a difendersi non aprì bocca, per cui considerato colpevole fu condannato al rogo. Chiese ed ottenne prima dell'esecuzione di poter celebrare la Messa; davanti al re e alla corte egli iniziò la celebrazione, ma alla Consacrazione apparve una colonna di fuoco che dai suoi piedi si elevava fino al cielo, colpiti dal prodigio Ruggero II e i presenti si inginocchiarono e chiesero perdono all'abate dell'errore commesso. Il conte non lo lasciò ripartire, volle edificare a Messina un grande tempio con annesso un monastero, in onore del Ss. Salvatore, pregando Bartolomeo di organizzarne la vita e santificarlo con la sua presenza [...]¹. Questo grande monastero del Ss. Salvatore con la chiesa, fu terminato nel 1132 e divenne ben presto uno dei più celebri e fiorenti dell'Italia Meridionale, ad esso furono sottoposti una cinquantina di monasteri della Sicilia e della Calabria. L'abate e fondatore Bartolomeo di Simeri, morì santamente come era vissuto, il 19 agosto 1130 nel suo monastero del 'Patirion' di Rossano». Da tutto ciò si deduce che la città rappresentata ai piedi del Santo è Messina dove fondò il grande monastero e salta subito agli occhi, nel quadro in primo piano a dx, l'alta torre del faro per i naviganti (freccia n. 2) che ritroviamo nelle stampe del XVIII secolo (foto in basso) prima che il terremoto del 1783 distruggesse la città e gran parte del patrimonio artistico edilizio. Pertanto è chiaro che la realizzazione del quadro fu antecedente al terremoto e certamente grazie ai due alti ecclesiatici membri della famiglia Trigona, l'arcivescovo di Siracusa Matteo Trigona (1679-1753) e P. Vespasiano Trigona S.J. (1692-1761) che diffusero il culto del Santo in tutta la Sicilia orientale nel secolo XVIII. Un'altra cosa che riusciamo a individuare è l'immagine in alto a sinistra accanto a due angioletti che sembra senza alcun significato ma se si guarda attentamente rappresenta un cilindro verticale contornato da una luce gialla/arancione (freccia n. 3) ovvero «la colonna di fuoco che dai suoi piedi si elevava fino al cielo» che ricorda il miracolo sopra citato riproposta nello stemma al centro dell'arco sull'altare. Inoltre, la freccia n. 4 indica la mitra concessa anche agli abati non vescovi da papa Urbano II dal 1089. Chissà? Forse questa piccola spiegazione può servire a sollecitare il rapido quanto necessario restauro del quadro, visto che ormai la parte inferiore di esso è completamente al "buio" e con un grande squarcio a destra (freccia n. 5).

¹ «Questi dissapori con Roma indussero Ruggero a consolidare ancora di più la Cristianità greca in Sicilia. Già suo padre aveva incoraggiato con zelo il ripristino e la rifondazione di monasteri greci; il figlio seguì il suo esempio [...] egli si riconosce apertamente nella politica di suo padre riguardo ai monasteri. Rivestì un'importanza particolare la fondazione del monastero greco San Salvatore in lingua Fari a Messina, che ricade negli anni antecedenti al 1120. Il fondatore, Bartolomeo, abate di Santa Maria Hodegetria di Rossano, era stato accusato alla corte di Ruggero da due benedettini di Mileto di essere eretico, perché viveva secondo il rito greco. La risposta del conte fu la concessione per la fondazione del monastero a Messina! San Salvatore divenne più tardi il centro di una grande organizzazione che Ruggero, nella sua veste di re, diede a tutto il clero del suo Regno» (Erich Caspar, Ruggero II e la fondazione della monarchia normanna di Sicilia, Edizioni Laterza, Bari 1999, p. 49). «i nuovi conquistatori [i Normanni] spesso favorirono anche istituzioni ecclesiastiche greche (su tutte la fondazione di San Salvatore in lingua phari a Messina tra il 1131 e il 1134, che sarebbe servita come punto focale per rianimare il monachesimo greco dell'isola)» (Alessandro Vanoli, La Sicilia musulmana, Il Mulino, Bologna 2012, p. 203).

cronarmerina.it          

Sottoscrivi questo feed RSS

Ricerche Storiche

Censimenti

Storia Civile

Storia Ecclesiastica

Curiosità

Come Eravamo