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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Edicola n. 40

Questa è l'Edicola Votiva n. 40 e si trova, anche questa, in via Ortalizio come la n. 39, che si scorge dietro la statua. Sicuramente è stata realizzata dallo stesso devoto e raffigura la Madonna dell'Immacolata posta sotto un arco in legno alla cui sommità si trova una semplice lampada a illuminarla.

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Soluzione aguzzate la vista n. 25

La foto del "buco della serratura" riguardante l'enigma dell'Aguzzate la vista n. 25 è stata scattata nel portone accanto (indicato dalla freccia bianca) a quello di entrata all'Ostello del Borgo, ex entrata principale del Monastero delle Benedettine di S. Giovanni Evangelista. Infatti, tutta la piazza è chiamata Largo S. Giovanni perché a destra nella foto ci sono i due ingressi alla preziosissima chiesa di S. Giovanni Evangelista. Per tanto tempo dietro al portone indicato dalla freccia c'è stata la sede dell'Associazione Grandi Invalidi. Concludo questa Soluzione n. 25 ricordandovi soltanto che entrando dal portone principale dell'Ostello, a destra si può ancora osservare il vano dove c'era una delle due Ruote degli Esposti (Trovatelli) esistenti a Piazza.

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Pr'p'ttöngh

Pr’p’ttöngh

Quànta gént s r’gòrda a Pr’p’ttöngh                     
cu a fàcci d bancöngh nu bastiöngh
V’stù cu quàttr ‘mbrögghi d’ surdà
era du pòpulu a curius’tà
Cu ‘npara d st’vàli e ‘npastràngh
ch’ si t’nèva stétti tutt l’ann.

Döi lànni au bràzz, t’nùi cû ferr’f’là
er’nu i so scuèddi e p’ess armà
Quàttr prèietti, e annan p’ a vìa
cu i lànni fasgèv’nu battarìa.

Campàva lannunà a Ciàzza Ciàzza
e sp’ttàva a guastèdda ntâ b’sàzza:
L’avànzi dî lucànni e dî butè
com ‘ncàngh s’ l’annàva a mangè.

Amìsgi p’ a pedd n’ t’nèva assài
nên putèva cuntè né ddascè mai
Î st’màva còm a vìsta d l’oggi:
er’nu i so pùl’sgi e i so piöggi.

L’andröngh t’nù avèrt d’ogn palàzz
era u lucàu p’ cunzèss u giàzz
E quànn v’nèva u cìngh d l’està
s’annàva cucchè föra da c’ttà.

S’ au paìs s cubàva pa calùra                                    
sötta u bòsch â B’ddèa mènz a fr’scùra
‘N dd furchiöngh d c’mènt armà
s s’ntèva còm a ‘nrànn pascià.                            

Quànn annàva tampasiànn a vìa vìa
cu era era ggh fasgèva ddargàsìa
E allöra u pav’röm d Pr’p’ttöngh
putèva passè p’ vèru baröngh.

Ma non era né serv e né patröngh
p’rchì non ggh stàva a ‘sta d’v’siöngh
‘Npanètt, ‘na giurnàda senza vént
ggh bastàv’nu p’ fèlu cuntént.

Ma bastàva ‘ncarös fèrm a taliè
ch’ già tutt f’rös p’gghiàva i pré
S’ u cam’sgiòtt griàva: “Pr’p’ttöngh!”              
‘nfurià ggh t’ràva i pré e u bastöngh.

E sia d v’sgìngh ch’ d dduntàngh
cu ddi còpi fasgèva sèmpr dànn.
U carös d tànn era ‘ncuiatös
e iéu s fasgèva ciù p’r’culös.

E quànn u dd’vànu di pè pè
dduntàngh di so r’fùggi annà truvè
A pul’zìa e tutti i cumud’tà
ma poch campà, pr’và da l’bertà.
 
Francesco Manteo     
 

Traduzione

Polpettone
Quanta gente si ricorda di Polpettone
con la faccia di bancone sul bastione
Vestito con quattro indumenti di soldato
era del popolo la curiosità
Con un paio di stivali e un pastrano
che se li teneva stretti tutto l’anno.

Due lattine al braccio, tenute col fil di ferro
erano le sue scodelle e per essere armato
Quattro pietruzze, e andando per la via
Con le lattine facevano rumore.

Viveva abbandonato a Piazza Piazza
e aspettava il pane nella bisaccia:
Gli avanzi delle locande e delle botteghe
come un cane se li andava a mangiare.

Amici per la pelle ne teneva assai
non li poteva contare né lasciare mai
Li stimava come la vista degli occhi:
erano le sue pulci e i suoi pidocchi.

L’androne tenuto aperto di ogni palazzo
era il locale per prepararsi il giaciglio
E quando veniva il pieno dell’estate
andava a coricarsi fuori dalla città.

Se al paese si soffocava per la calura
sotto il bosco della Bellia in mezzo la frescura
In quel rifugio di cemento armato
si sentiva come un gran pascià.                            

Quando andava vagabondando di via in via
chiunque gli faceva largo
E allora il poveruomo di Polpettone
poteva passare per vero barone.

Ma non era né servo e né padrone
perché non condivideva questa divisione
Un panetto, una giornata senza vento
gli bastavano per farlo contento.

Ma bastava un ragazzo fermo a guardare
che già tutto feroce prendeva le pietre
Se il monello gridava: “Polpettone!”
infuriato gli tirava le pietre e il bastone.

E sia di vicino che da lontano
con quei colpi faceva sempre danno.
Il ragazzo di allora era molesto
e lui si faceva più pericoloso.

E quando lo tolsero dalla circolazione
lontano dai suoi rifugi andò a trovare
La pulizia e tutte le comodità
ma poco campò, privato della libertà.

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Significato di Pr'p'ttöngh

Pr'p'ttöngh in un disegno del prof. Gioacchino Fonti

Prima di proporvi nel prossimo post la poesia Pr’p’ttöngh del poeta piazzese Francesco Manteo, desidero far presente che anche a Piazza ci sono stati i senzatetto, i barboni, i vagabondi, gli emarginati, i randagi, i senza dimora, i mendicanti, gli accattoni, oggi chiamati in maniera edulcorata clochards oppure homeless, senza però per questo riuscire a diminuirne la gravità sociale. Tra i tanti del tempo passato, uno di questi homeless piazzesi degli anni Sessanta è rimasto particolarmente nei nostri ricordi, Pr’p’ttöng. Per la traduzione di questo termine esistono diverse tesi.
La prima è la più semplice: Pr’p’ttöng derivante da Prup’ttöngh che nel suo vocabolario del 1990 il Fonti traduce in Polpettone, considerando il fatto che, solitamente, il vagabondo o l’emarginato pur di mettere qualcosa sotto i denti per sopravvivere, è costretto a mangiare un po’ di tutto facendone un “polpettone” vestendosi alla rinfusa, con quello che trova.
La seconda tesi è Pr’p’töngh derivante da P’ptöngh che Fonti traduce a pag. 163 in “Uppa”, senza dubbio un errore di stampa perché voleva scrivere “Upupa” uccello diffuso alle nostre latitudini, e in “Bubbola” ovvero Bugia, Fandonia.  
La terza è che P’ptöngh deriverebbe dal verbo P’p’ter che vuol dire "Balbettare", come potrebbe aver fatto il vagabondo mentre parlava.
La quarta tesi ha qualche fondamento storico perché raccontatomi da mio padre Gino, classe 1921 e che, secondo me, potrebbe avvicinarsi alla verità, anche perché il termine palermitano/siciliano Pipituni, e quindi Pipitone, significa appunto “Upupa” (a questo uccello è stato dato il nome di Pipituni principalmente per il suo canto a intermittenza “pi pi, pi pi pi"). Eccovi il racconto: <<Il signor Pipitone, cognome questo molto diffuso a Palermo, era un uomo molto alto, di origine palermitana, che abitava in via Santa Chiara dietro al Magistrale e, storpiando il cognome, cosa che prima avveniva di frequente, gli fu dato il soprannome (‘ngiùria) di “Pruptùn”, alla ciaccësa Pr'p’töngh. Quest’uomo usava portare una mantella di color marrone chiamata scapulara (una sorta di gabbana contadinesca con cappuccio, tessuta a mano con lana grezza, colorata di nero, senza maniche che ricopre la persona che la indossa a guisa di un mantello) che alla sua morte fu regalata al barbone Carmelo Procaccianti il quale, da allora, fu chiamato da tutti “Carmèlu Pruptùn”, con suo enorme disappunto. Questo barbone stazionava spesso in piazza Garibaldi accanto al portone della chiesa di Fundrò (S. Rocco) con un bastone, un sacco sulle spalle e dei recipienti di lamiera (lànne e lannètte = latte e lattine) accanto dove teneva anche delle pietre. Tra l’altro lui, per un certo periodo, si mise a vendere anche la cartapaglia gialla per involtare il pesce alla pescheria di Santa Rosolia, per 2 soldi al foglio>>. A questo punto, a Voi la scelta per quella che vi sembra più adeguata. Su questo tema su questo sito trovate anche le poesie Bön Natali, Gesù! di Aldo Libertino, Na rosa cìncu lìri di Lucia Todaro e Clochards di Tanino Platania.

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