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Cronarmerina - Aprile 2025

Clelia Carducci su "INCONTRI"/2

Il portone d'ingresso della vecchia sede del Magistrale "F. Crispi" in via Umberto

Parte 2

(dalla Parte 1) «Codesta istituzione (n.d.r. l'Istituto Magistrale di via Umberto) ha una particolare storia da raccontare, e qui se ne fa cenno per capire meglio in quale realtà si trovò a operare la figlia di Valfredo, fratello minore dell'illustre poeta. L'Istituto in questione, fondato a Piazza Armerina nel 1878, fu denominato "Regia Scuola Femminile", ed ebbe come sede l'ex convento della Congregazione di Santa Chiara nel centro storico della cittadina; nel 1882 fu parificato e chiamato Scuola Normale "Inferiore", e in tempo successivo, con decreto reale del 4 gennaio 1891, fu intitolato a Francesco Crispi. Tre anni dopo divenne Regia Scuola Normale "Superiore", e in seguito "Promiscua". In tempo successivo, per effetto del Regio Decreto del 6 maggio del 1922, il "Francesco Crispi", oggi Liceo, divenne Istituto Magistrale Statale, annesso a una scuola elementare che serviva per il "Tirocinio". Spinto dalla curiosità, e volendo acquisire altre notizie in merito al servizio che Clelia ha svolto a Piazza Armerina, ho chiesto di poter consultare l'Archivio dell'Istituto. Ho così accertato che Clelia fu in attività come insegnante "ordinaria di Lavoro femminile" presso la R. Scuola Normale Promiscua anzidetta, e, come documenta l'apposizione delle sue firme, fu componente di commissioni d'esame. Inoltre nel medesimo Istituto per più anni ebbe l'incarico di segretaria. Una ricerca presso la "Casa Carducci" di Bologna mi ha permesso di rintracciare una lettera, leggibilissima, in cui la giovane Clelia con garbo e semplicità in data 18 marzo 1902, chiedeva allo zio, allora molto famoso, un interessamento in suo favore. Vi si parla anche di un trasferimento in altra regione che di certo non avvenne, perché la brava educatrice si stabilì in via definitiva a Piazza Armerina. Lavorò con passione e diligenza e, come fanno intendere le sue stesse paerole, godette della stima dei superiori; era poi inevitabile che la sua persona e il suo stesso cognome suscitassero grande rispetto e ammirazione fra la gente del luogo». (tratto da F. Impallomeni, INCONTRI la Sicilia e l'altrove, 2013) (continua)

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Clelia Carducci su "INCONTRI"/1

Copertina della rivista "INCONTRI"
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Alla fine di ottobre e all'inizio di novembre scorsi vi avevo parlato della famiglia Carducci in Sicilia, avendone avuta notizia nel giugno precedente, come vi avevo raccontato nel post Compagno indimenticabile del 1937. Ebbene, proprio in quel periodo il collezionista e cultore di storia patria di Catania, Francesco Impallomeni, pubblicava sul n. 3 Apr/Giu 2013 della rivista "INCONTRI" l'articolo «Una nipote di Giosuè Carducci a Piazza Armerina - Una foto datata e annotata ha reso possibile la ricostruzione della figura della figlia di Valfredo Carducci». Qualche giorno fa l'autore, avendo letto la mia ricerca, mi ha mandato la sua che ritengo interessante riproporvela tale e quale, per di più perché corredata di foto inedite e con la storia particolareggiata del nostro prestigioso Istituto Magistrale "F. Crispi" di via Umberto, adesso sconsideratamente in macerie. Eccovela: «Ho trovato in una vecchia raccolta una fotografia con un gruppo di alunne e insegnanti, che posano per la foto ricordo di fine anno scolastico. È un cartoncino sbiadito che ha i segni e la ruggine del tempo, e che porta a margine la seguente annotazione: "III normale di Piazza Armerina 20-6-917"; su ogni persona ritratta è impresso, a penna, un numero romano, a cui si riferiscono sul retro della foto i corrispondenti nomi e cognomi. Fotografie analoghe non sono difficili da reperire nei mercatini di antiquariato, ma questa ha particolare importanza perché ci fa conoscere, contrassegnata col numero XII, Clelia Carducci, nipote del grande Giosuè. In quel tempo era maestra assistente di "Lavoro femminile", una delle materie del corso di studi delle Scuole Normali Femminili dell'epoca, nella Regia Scuola Normale Promiscua "Francesco Crispi" di Piazza Armerina». (tratto da F. Impallomeni, INCONTRI la Sicilia e l'altrove, 2013) (continua)
 
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Stesso stemma, stesso marchio?

Stemma o marchio scolpito nella facciata del campanile della Cattedrale

Stemma o marchio scolpito su una pietra del castello di Mussomeli (CL)

Castello di Mussomeli, dopo l'arco a sx c'è l'ingresso alla Sala dei Baroni

Lo stemma o marchio nella facciata della nostra Cattedrale di cui vi ho parlato domenica scorsa, ha una somiglianza impressionante con quello (foto in basso) che ho visto al Castello Manfredonico di Mussomeli (CL) durante la visita dello scorso ottobre. Il castello fu costruito nei primi anni del Trecento dal genovese Corrado I Doria ammiraglio di Sicilia e signore di Castronovo, al cui territorio Mussomeli apparteneva. Ma fu Manfredi Chiaramonte III, nella seconda parte dello stesso secolo, ad ampliarlo e fortificarlo, per dominare tutto il territorio circostante. La rupe, con le pareti a picco sulla quale fu costruito il castello, fu ritenuta il sito ideale per la naturale difesa del maniero e l'aspetto più affascinante della costruzione è la riuscita fusione della struttura nella roccia. La pietra bianca scolpita, anch'essa calcarea come tutta la rocca, è stata fotografata nell'ex zona delle scuderie, oggi piano antistante la Sala dei Baroni, così chiamata per la famosa riunione tenutasi qui nel 1391 su iniziativa di Manfredi allo scopo di resistere agli Aragonesi. Un altro enigma: <<Che ci fosse qualche relazione tra i due stemmi scolpiti su pietra bianca?>>.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it      

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Per gli smemorati

 
 
 
 
Il poeta piazzese ha voluto ricordare nel Giorno della Memoria, le vittime del nazismo con una poesia, questa volta in italiano, in maniera singolare che in grammatica si chiama acrostico: i capoversi in rosso corrispondono alla tristemente celebre scritta posta sul cancello d'entrata del campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia. Solo in questo campo di concentramento (foto in alto) morirono, dal 1940 al 1945, non meno di 70.000 persone.
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Stemma Facciata Cattedrale

 
 
Qualche anno fa, il mio amico Dario, mi invitò ad avvicinarmi ad una delle scalinate della nostra Chiesa Madre per indicarmi una pietra che per oltre 50 anni non avevo notato, pur essendoci passato accanto migliaia di volte e persino quando mi sono sposato. La pietra era quella nella foto in basso, incastonata nella facciata principale della nostra Cattedrale. La figura che vi è scolpita, rappresenta una palma e non si sa di preciso a chi o a che cosa si riferisca. Può darsi che sia un marchio che simboleggi l'architetto e tutte le maestranze (nella fase iniziale di origini iberiche) che operarono per innalzare i primi due piani del campanile dal 1517. Come può darsi che sia una pietra portata da un altro sito o, ancora più suggestivamente, che indichi la palma di Gerico¹ di qualche illustre pellegrino piazzese che volle ricordarla in eterno. Come si può benissimo vedere nella foto in alto, quella parte della Cattedrale fu realizzata successivamente per inglobare il campanile in pietra calcarea bianca, com'era tutta la chiesa madre preesistente già nel 1308 col nome di S. Maria Maggiore e poi abbattuta. Dal 1704, demolito il corpo delle navate preesistenti, il cantiere riprendeva per volontà del vescovo di Catania, il palermitano Andrea Riggio (1693-1717), con una festa solenne celebrata il 25 marzo 1705 in occasione dei lavori relativi ai nuovi muri perimetrali, che iniziarono dal lato del campanile. Contemporaneamente si definiva il prospetto (dal 1706)². Pertanto, secondo me, è più probabile che questa pietra scolpita, forse per testimoniare un pellegrinaggio, appartenesse alla precedente fabbrica che fu demolita. Solo in un secondo tempo la scultura venne inserita nella facciata, proprio durante la ricostruzione diretta dal maestro messinese, capomastro dei lavori dal 1712 al 1719, Giuseppe La Rosa, che prevedeva l'inclusione dell'antico campanile. Però, rimane l'enigma: "Chi l'ha scolpito, perché si trova (va) nei pressi del campanile della Cattedrale?". 
 
¹ In epoca medievale, il cammino del pellegrino veniva svolto principalmente nelle città di Roma, Santiago di Compostela e Gerusalemme. Una volta giunto all'agognata meta, il pellegrino, a testimonianza del viaggio compiuto, soleva adornare il proprio mantello con alcuni segni distintivi della sua presenza in quel luogo e in particolare: una quadrangula (placchetta in piombo quadrangolare forata agli angoli, per essere cucita sull'abito del pellegrino, recante le immagini dei SS. Pietro e Paolo o le chiavi incrociate per Roma); una conchiglia per S. Giacomo di Compostela; una palma di Gerico per Gerusalemme.
² D. Sutera, La chiesa madre di Piazza Armerina, Ed. Lussografica, CL, 2010, p. 114.
Sullo stesso argomento potete leggere Stesso stemma, stesso marchio?
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Cavalieri di Évora e Avis

Scudo dei Cavalieri di S. Benedetto di Évora e Avis
Verso il 1162 un piccolo gruppo di Cavalieri Portoghesi, noti come i Cavalieri di Santa Maria, sorvegliava i Mori nelle pianure della regione di Alentejo (a Sud del fiume Tago, in Portogallo). Nel 1170 ca. Alfonso I re del Portogallo (1109-1185) affidò loro la città di Évora (a 130 Km. a Est di Lisbona). L'Ordine, che aveva preso la regola cistercense di San Benedetto, tuttavia era troppo debole per presidiare la città che, per questo, passò sotto la tutela dei Cavalieri Templari, mentre i Cavalieri di Évora venivano posti sotto la giurisdizione dell'Ordine spagnolo dei Cavalieri di Calatrava. Nel 1211 Alfonso II re del Portogallo (1185-1223) affidò ai Cavalieri di Évora la città, appena strappata agli Arabi, di Aviz (alias Avis) a 70 Km. a Nord di Évora, tornando a essere così un Ordine indipendente conosciuto anche col nome di Ordine Militare di San Benedetto d'Avis sino al 1496, quando iniziò a declinare e ai suoi membri venne accordato il permesso di sposarsi. Ma già nel 1385 Giovanni I re del Portogallo  (1358-1433), figlio di Pietro I del Portogallo nonché Gran Maestro dell'Ordine, aveva legato le sorti dell'Ordine a quelle della corona portoghese cambiando il nome della sua dinastia in Casa d'Avis, anticipanone così l'annessione alla Corona che però ufficialmente avvenne nel 1550. Dal 1789 l'Ordine è riconosciuto solo come decorazione e ricompensa al valor militare. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it   

 

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La vie più strette

La via più stretta di Savoca (ME) chiamata "vanedda"

Anche la nostra non scherza!

Mentre quella in alto, nel paese di Savoca (ME) a 5 km dalla costa Ionica, collega due chiese e due quartieri, da noi il vico Paternicò collega via S. Nicolò con via Campagna San Martino nell'antico quartiere Monte, a pochi passi dalla chiesa della Madonna della Catena (ex chiesa di S. Nicola o Nicolò o Niccolò). Il punto più stretto della nostra misura quanto il mio avambraccio, 50 cm.

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Conventi Francescani sfortunati/2

Il convento di S. Maria di Gesù oggi
 
Il convento di S. Pietro oggi
Questo rifiorire induce tanti nobili della Città a elargire fondi per l'abbellimento delle chiese e l'ampliamento dei chiostri e degli edifici dei due conventi. Per quella di S. Pietro la partecipazione è tale che nel giro di pochi anni ben otto famiglie nobili vi costruiscono artistiche cappelle ed eleganti sarcofaghi, specialmente dopo che il viceré Emanuele Filiberto di Savoia dichiara il convento e la chiesa di sua proprietà e sotto la sua diretta protezione nel 1624. A dare maggior lustro ci pensano le prestigiose e fornitissime biblioteche dei due conventi. Così dotate di volumi prezioni e unici, da essere oggetto di frequenti manomissioni e sottrazioni. Tutto ciò obbliga un frate a partire alla volta di Roma, affinché il Papa emani una Bolla Pontificia apposita, da esporre sulle porte delle biblioteche per intimare ai trasgressori religiosi e laici l'eliminazione dalla voce in capitolo e, persino, la scomunica¹. Per oltre due secoli i due conventi ospitano in media dai 20 ai 30 frati ciascuno, sino alla loro espulsione che avviene tra il 1866 e il 1870. I frati allora vengono trasferiti presso la Curia Vescovile o presso altre parrocchie, l'edificio del convento di S. Pietro passa al Municipio che lo adibisce a caserma militare, la selva diventa giardino comunale e la biblioteca (almeno ciò che rimane dell'incendio nel 1846) contribuisce in maniera importante a formare quella comunale. Il romitorio di S. Maria di Gesù si va spopolando anno dopo anno e nel 1883 risulta quasi completamente disabitato. La selva accanto è trasformata parte in cimitero e parte in orto per i pochi frati e laici che ci vivono, sino al definitivo abbandono nel 1934. Da allora i due conventi cadono nell'oblio più totale e in quello di S. Maria di Gesù ciò avviene anche per la chiesa, con i risultati di cui sopra. Nonostante questo criminale abbandono, la chiesa di S. Maria di Gesù nel 2004 continua a stupirci donandoci, grazie all'intuzione del noto critico d'arte Vittorio Sgarbi, l'affresco della Madonna col Bambino in trono (oggi visibile nella Pinacoteca Comunale di via Monte) risalente alla prima metà del Quattrocento e che lo stesso critico definisce "uno dei più alti esempi di arte pittorica del 1400 in Sicilia". E come se non bastasse, nell'ottobre scorso, si scopre che è proprio nella chiesa di c/da Rambaldo che è seppellito uno dei "tanti" frati Beati morti in odor di santità, di cui ho trovato preciso riscontro nel libro del Settecento che raccoglie le leggende dei Francescani². Pertanto, ben venga il restauro del convento di S. Pietro accennato l'altro ieri, perché sicuramente questo avvenimento positivo dell'uno influirà sull'altro: se vite parallele devono essere, che lo siano nel male ma anche nel bene... almeno speriamo !  
 
¹ Per approfondire leggere L'epigrafe della biblioteca di Piazza
² Per approfondire leggere su questo blog la Vita del Beato frat'Innocenzo Milazzo dall'11 ottobre 2013 in poi.
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Conventi Francescani sfortunati/1

Affresco del portico nel convento francescano di S. Maria di Gesù
Affresco nel portico del convento francescano di S. Pietro
C'è un'esistenza e una sorte parallela tra i due Conventi dei Frati Minori (Francescani) Osservanti della nostra Città. Quello che da un'altra parte sarebbe stato un grandissimo bene culturale da difendere, tutelare e sfruttare, in tutti i sensi, da noi è stato così brutalmente depauperato da farlo ridurre letteralmente a pezzi. Basta dare un'occhiata alle due foto per rendersi conto del delitto che tutti noi piazzesi (notare la lettera "p" minuscola) abbiamo commesso, o quanto meno ne siamo stati i testimoni oculari impassibili, ma ugualmente colpevoli. Soprattutto negli ultimi cinquant'anni, quando la scusa dell'ignoranza non c'era più perché tutti acculturati da sentirci cacòcciuli e quindi ancora poteva essere fatto qualcosa per salvare questo inestimabile patrimonio. Vite parallele dicevo, perché i due conventi, pur essendo lontani 4 Km. e pur essendo stati fondati a quasi 100 anni l'uno dall'altro, hanno conosciuto i medesimi periodi felici e infelici. Quello di S. Maria di Gesù, nasce nei primi decenni del Quattrocento come luogo per anacoreti, pronti a "osservare" in maniera quanto più rigida la regola di S. Francesco. Quello di S. Pietro più vicino al centro abitato, anche se sempre fuori le mura, nasce nel 1500 per l'aumento delle vocazioni e per le precarie condizioni dell'altro che risulta distante, solitario, scomodo e alquanto umido, anche se conosciuto in tutta l'Isola come nidus et Seminarium Santorum. Quasi mezzo secolo dopo, mentre quello di S. Maria di Gesù in precarie condizioni, ritorna nidus di pochi frati che vivono e muoiono quasi tutti in odor di santità e chiari miracoli, quello di S. Pietro è ampliato per il crescente patrimonio che accumula. Dopo qualche decennio (1567), il convento di c/da Rambaldo è la sede siciliana dove si  discute sul ripristino della Riforma, che gli Osservanti ritengono necessaria per recuperare la diminuzione delle vocazioni avvenuta nel frattempo. Nel 1578 già si vedono gli effetti della Riforma voluta dagli Osservanti più rigorosi: aumentano così tanto le vocazioni in tutta la Sicilia da ottenere l'autorizzazione a continuare l'esperimento oltre che nei due conventi piazzesi, anche nei due di Agrigento e in quello di Palermo. Il maggior numero dei frati toccati dalla vocazione, sollecita nel convento di S. Maria di Gesù lavori di risanamento e riadattamento, mentre in quello di S. Pietro si lavora per un nuovo e più ampio dormitorio. (continua in Conventi Francescani sfortunati/2
 
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Convento di S. Pietro sarà restaurato?

Chiostro convento francescano di S. Pietro, portico di sx
Chiostro convento francescano di S. Pietro, portico di dx
Sembrerebbe proprio di sì! Lo so che sembra impossibile, ma quel disastro che si vede nelle due foto potrebbe essere restaurato al più presto. So anche cosa voglia dire dalle nostre parti l'avverbio "presto", ma cussà ch' förra a vòta bona! E' notizia di ieri che questo nostro gioiello, ridotto a un ammasso di pietre, possa essere riportato alla "luce". Riporto di seguito la bella novella tratta dal blog di Roberto Palermo "robertpalermo.blogspot.it" cronista del Giornale di Sicilia: <<Lunedì 20 gennaio 2014 - Piazza Armerina. Ex convento dei Frati Minori Osservanti, sì a progetto esecutivo da oltre 3 milioni di euro - Via libera al progetto esecutivo da oltre 3 milioni di euro per il restauro dell'ex convento dei Frati Minori Osservanti di San Pietro. La giunta comunale ha dato il proprio benestare al lavoro dell'Ufficio Tecnico comunale con cui la struttura del Cinquecento verrà convertita in un centro sociale, con sala museale, ludoteca, foresteria e spazi per attività collettive. L'opera di ristrutturazione rientra tra quelle dichiarate ammissibili al finanziamento con decreto dell'Assessorato Regionale dei Beni Culturali>>. Che dite, ggh'avöma crëd?
Altri link sull'argomento:
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