ExclusiveCentraleSx
ExclusiveCentraleDx

Cronarmerina - Novembre 2024

Edicola n. 48

L'Edicola Votiva n. 48 nella foto è la 1^ a destra che troviamo quando si sale la strada che porta all'Eremo di Piazza Vecchia. La recente costruzione molto curata è del del 2015 e racchiude la riproduzione su mattonelle in ceramica del dipinto della Madonna di Piazza Vecchia. In alto c'è la scritta "AVE MARIA" mentre alla base c'è una targa in pietra dove è stata scolpita la scritta dipinta in rosso <<DONO A MARIA SS. DI - PIAZZA VECCHIA - GIOVANNI GRILLO - ANNO 2015>>. 

cronarmerina.it

Leggi tutto...

Fontana c.da Fontanelle/n. 52

La Fontana n. 52 si trova in contrada Fontanelle e mi è stata segnalata qualche mese fa da un amico. Come si vede dalla foto è molto semplice, rustica e campagnola. La poca acqua che esce da un pezzo di tubo in ferro è proprio un "filo". Poi cade in una piccola vasca e appena raggiunge il livello più alto si riversa in uno strettissimo canale. Il tutto richiama benissimo il nome della contrada a poche centinaia di metri a Sud-Ovest dal centro abitato di Piazza, quasi ai piedi di monte Mangone. Questa è la tipica costruzione, presente nelle nostre campagne, che convoglia l'esiguo prezioso liquido che, raccolto in vasche, poi avrebbe irrigato le immense distese sottostanti di noccioleti che, sino a qualche decennio fa, ricoprivano l'intera campagna ciaccësa. Infatti, sino agli anni 60, la coltivazione per la produzione dell'ottima qualità della nocciola era considerata la riserva aurea di Piazza e dintorni, insomma l'oro di Piazza. Anche se la coltivazione della nocciola era una pianta già apprezzata dai Greci, secondo me un forte incremento nelle nostre colline avvenne con l'arrivo di vere e proprie colonie di emigranti provenienti dalla Lombardia e dal Basso Piemonte (Monferrato) intorno al 1100, quando il Conte Ruggero d'Altavilla, dopo aver conquistato il territorio della Sicilia interna nel 1089, decise di aumentare e favorire gli accasermamenti di soldati lombardi, poi divenuti borghi, per meglio controllare la popolazione araba e quella greca trovate nei borghi e casali già esitenti e sottomessi. Nel nostro territorio collinare ricco di acqua, i Lombardi trovarono il sito ideale per riproporre la pianta della nocciola che aveva dato loro molte soddisfazioni e che altrettante ne avrebbe dato ai Ciaccèsi lungo i secoli.

cronarmerina.it

  • Pubblicato in Fontane
Leggi tutto...

La conversazione sulla via Garibaldi/2

Gino Masuzzo falegname e commerciante di ferramenta (1921-2015)

CONVERSAZIONE PRESSO L’UNIVERSITA’ POPOLARE DEL TEMPO LIBERO “I. NIGRELLI” tenuta dal prof. Gaetano Masuzzo presso l'aula magna della SCUOLA MEDIA CASCINO l'8 FEBBRAIO 2017 ORE 17:30
“STORIA DELLA VIA GARIBALDI, PORTA PER PORTA - com’era e chi c'era".

Parte Seconda
(dalla Parte Prima) Adesso inizieremo a elencare i vari proprietari o affittuari, con le relative attività lavorative, che si sono succeduti, dagli anni Trenta in poi, nei 57 locali di sx e nei 61 di dx della via Garibaldi, tenendo conto che alcuni sono ancora senza numero e che facendo un calcolo manca un numero civico tra il 92 e il 102 che invece dovrebbe essere 104. Inoltre vedremo da una vecchia numerazione, come le porte dovevano essere molte di più, a dimostrazione che nel tempo diversi ingressi sono stati eliminati per unificarli e rendere più spaziose le entrate e le vetrine delle esposizioni dei negozi. Questa ricostruzione che tra breve vi farò, è stata possibile grazie a un falegname di via Roma, poi commerciante di ferramenta in piazza Garibaldi nel 1961 e in via Garibaldi dal 1964, che in questa strada passò oltre mezzo secolo della sua vita, mio padre Gino (nella foto), che tanti ricorderanno e che è venuto a mancare poco più di un anno fa, nel dicembre del 2015. Infatti, grazie alla sua portentosa memoria è riuscito ad elencarmi minuziosamente tutte queste notizie sulla via Garibaldi e anche della via Mazzini, via Marconi, via Umberto, via Roma e della piazza Garibaldi, all’età di oltre ottant’anni. Io non ho fatto altro che annotarmele, perché dopo breve tempo avrei rischiato di dimenticare, come sicuramente accadrà alla memoria cittadina tra qualche decennio. E’ al ricordo di lui che dedico questa nostra chiacchierata. Si tratta di ricordi riguardanti la vita vissuta e le attività commerciali di tanti nostri concittadini, tra i quali anche parenti più o meno lontani come mio nonno Tatano Marino "Ciucciuledda" falegname mobiliere e poeta in galloitalico a tempo perso, i miei zii Bobò Marino, Sasà Masuzzo e Massimo Grita, e amici e conoscenti che, dagli anni Trenta/Quaranta sino ai nostri giorni, sono entrati e usciti dai locali di questa via, perché questa era la loro vita per sbarcare il lunario, fatta di relazioni quotidiane con i clienti e con i passanti. Ovviamente avrò sicuramente dimenticato qualcuno, ma è stato involontariamente perché la popolazione che avuto relazioni con questa parte della città è stata molto numerosa. Spero che questo mio recupero dia un piccolo impulso al ritorno dell’attività frenetica di una volta, perché sono tanti che hanno chiuso definitivamente o si sono trasferiti altrove (uno di questi mio fratello minore Claudio con il suo negozio di ferramenta tramandato da nostro padre). Questo è avvenuto perché il commercio in questa parte della città da oltre 10/15 anni è diminuito consistentemente sia per la diminuzione della popolazione nel centro storico, che si è spostata in altre zone della città, specie verso Sud, sia per la crisi economica generale e, non ultimo, per l’impossibilità di posteggiare le proprie auto per fare acquisti. Infatti, ci sono ben 23 locali chiusi e 13 cartelli di vendesi. Adesso passiamo alla descrizione con gli abitanti. (la descrizione, essendo molto lunga e ricca di immagini, verrà proposta a puntate su questo sito)

cronarmerina.it

  • Pubblicato in Luoghi
Leggi tutto...

La conversazione sulla via Garibaldi/1

Gaetano Starrabba III principe di Giardinelli fondatore nel 1756 del paese di Pachino (SR)

CONVERSAZIONE PRESSO L’UNIVERSITA’ POPOLARE DEL TEMPO LIBERO “I. NIGRELLI” tenuta dal prof. Gaetano Masuzzo presso l'aula magna della SCUOLA MEDIA CASCINO l'8 FEBBRAIO 2017 ORE 17:30
“STORIA DELLA VIA GARIBALDI, PORTA PER PORTA - com’era e chi c’era dagli anni 40 ad oggi".

Parte Prima
Questa sera siamo qui per parlare della nostra tanto amata, agognata e ora abbandonata via più importante ed elegante della nostra Città. Probabilmente non basterà qualche ora, ma se non dovessimo completarla sicuramente ci rivedremo in un’altra occasione.  Quando il centro abitato di Piazza iniziò l’espansione dal Monte Mira in basso verso Est, oltre che verso Sud (quartiere Canali), già esisteva il borgo Patrisanto (nei pressi dell’odierna piazza Teatini) fuori le mura. Questo borgo era caratterizzato per la presenza di numerosi edifici religiosi sorti lungo i secoli. I più importanti, senza considerare il convento dei Padri Domenicani poi Seminario Vescovile, erano i due monasteri femminili con le rispettive chiese (delle Clarisse con la chiesa di Santa Chiara e delle Benedettine con la chiesa di San Giovanni Evangelista) e la chiesa di San Lorenzo conosciuta anche come la chiesa dei Teatini e il vicino grande edificio della Casa dei Padri Teatini. A poche decine di metri la Commenda di San Giovanni Battista e poi la chiesa di Santo Stefano. Le 2 vie che collegavano il piano del Borgo (che a poco a poco era diventata la “piazza del Borgo” poi “piazza Maggiore” e dal 1569 piazza Pescara in onore del viceré di allora che la fece sistemare, e dal 1860 piazza Garibaldi) con questi importanti edifici religiosi erano: quella chiamata “stràta â fera” strada della Fiera, per la fiera che si svolgeva ogni anno dal 18 ottobre (giorno che si festeggia S. Luca) sino alla metà di novembre e chiamata appunto Fiera di San Luca oggi via Umberto, e una lunga strada, stretta come la prima, di quasi 200 metri. Questa nella prima parte di circa 50/60 metri (l’odierna via Marconi), per la presenza di numerosi calzolai o cr’v’sèri, come venivano chiamati nella nostra lingua galloitalica, fu chiamata Cas’varìa con tante varianti: Cras’varìa, Creviserìa, Corbisarìa, Cr’v’sarìa, tutte derivanti dal nome iniziale di cr’v’sèri, in siciliano curviseri, derivante dal francese antico courvoisier, derivato a sua volta da corvois, come si chiamava il ‘cuoio di Cordova’, città spagnola rinomata nella lavorazione di ottimo cuoio. Il nome più antico che abbiamo della seconda parte della via di ca. 200 metri, che oggi chiamiamo via Garibaldi  è quello de “a stràta du Prìnc’p”. Questo nome iniziò a circolare all’inizio del Settecento, qualche anno dopo la costruzione del palazzo che oggi si trova di fronte il grande edificio delle Suore di Maria Ausiliatrice. Il grande palazzo fu costruito dal piazzese Vincenzo Starrabba Capitano di Giustizia della Città (da considerare come l’odierno Sindaco di nomina regia) barone di alcuni feudi nei pressi di Siracusa (Bimìsca, Belludìa e Scibìni) che nel 1711 ricevette dal Re il titolo di Principe di Giardinelli, un feudo nei pressi di Agrigento. La foto rappresenta il nipote del principe che nel 1756 fondò nel suo feudo di Scibìni l’odierno paese di Pachino. Perciò, i Piazzesi di allora vollero chiamare la strada in quel modo in onore del proprio concittadino Principe. Questo nome lo mantenne sino a quando i Sabaudi ci vennero a “liberare” dai Borboni, da allora si chiama via Garibaldi, come la Piazza, il Teatro e la Villa. Questa via, decennio dopo decennio, divenne assieme alle odierne vie parallele e di uguale larghezza, Mazzini e Umberto, la strada più frequentata e ricca di attività commerciali, soprattutto perché 1°) era una strada quasi pianeggiante al contrario delle prime importanti strade del centro abitato sempre ripide (via Crocifisso, via Monte, via Cavour, via Vittorio Emanuele); 2°) non aveva il gran traffico di carri in entrata e in uscita della via Mazzini, appunto per questo chiamata a Carrèra, ed era più diritta della via Umberto, a stràta â fèra. Si può benissimo dire che divenne presto un prolungamento di tutte le attività commerciali della Piazza Garibaldi in espansione verso la parte fuori le mura a Est verso la “zona nuova delle Botteghelle” tanto che si decise di abbattere la porta di San Giovanni Battista (una delle sette porte della città da me individuate). Non c’era abitante o commerciante o artigiano che non ambiva di avere l’abitazione o un locale, anche se un bugigattolo, con l’ingresso sulla via più schic della Città. Infatti, se la via Mazzini era la strada di passaggio e quindi piena di attività artigianali: falegnamerie, calzolerie, macellai, barbieri, marmisti, gessai, alimentari; se la via Umberto era la strada dei mercanti, soprattutto di tessuti, di scarpe e di terraglia, la via Garibaldi era la strada delle orologerie e gioiellerie, dell’abbigliamento e dei tessuti, delle librerie e delle cartolerie, degli articoli da regalo e dei casalinghi, delle ferramenta e dei mobili, in seguito anche degli elettrodomestici. Senza contare che vi si trovavano, anche se in periodi diversi, due cinema, l’Olimpia (muto) e il Plutia, il miglior ristorante della Città, il Plaza, il Centralino dei telefoni, due tabaccherie, due farmacie, un bar, una gelateria, una fabbrica di gazzose, i primi supermercati, due banche, l’asilo e i laboratori di ricamo, cucito e di pianoforte delle monache Benedettine prima e delle Suore di Maria Ausiliatrice poi.  Forse perché non molto larga ci spiega la presenza di una sola chiesa delle 100 cittadine, quella di San Girolamo, poi trasformata in altre attività che vedremo tra poco. Nella mia continua e appassionata osservazione, oltre all’arco Crescimanno col portale gotico-catalano del Quattrocento (come quelli in via Monte, via Mandrascate, piazza Teatini), ho trovato alcune curiosità in questa via: quattro nel primo tratto che va dall’Arco Platamone alla Via Enrico De Pietra e una nel rimanente tratto. La prima si trova al n. civico 36. Si tratta della lapide che ricorda che qui c’era oltre 150 anni fa, un posto di polizia borbonico con relativa camera di sicurezza (piccolo carcere rispetto a quello grande nel castello aragonese). La seconda è la presenza di diversi pilastri di porte d’ingresso a falsa squadra dal n. 50 (dove c’era la Signora Lalletta per intenderci) al n. 58, la terza è l’anno scolpito 1655 sul pilastro destro al numero civico 68 e, su questo, l’anno 1838 sulla trave del balcone al primo piano del palazzo. Infine la data 1762 sul portale d’ingresso al n. 103, quasi a confermare i periodi di espansione verso Est: l’Arco gotico-catalano del 1400, 1655, 1762. (continua nella Parte Seconda)

cronarmerina.it

  • Pubblicato in Luoghi
Leggi tutto...

La via Garibaldi ieri e oggi

Chissà quanti hanno avuto familiari o parenti che abitavano o lavoravano nella via più chic di Piazza? Oggi, mercoledì 8 febbraio, alle ore 17:30 presso l'aula magna della Scuola Media "Cascino", nell'ambito delle attività dell'Università Popolare del Tempo Libero "Ignazio NIGRELLI", il prof. Gaetano Masuzzo terrà una conversazione su "quello che era e chi c'era nella via più centrale e importante della Città dagli anni 40 ad oggi".

cronarmerina.it

Leggi tutto...

Nella pineta piazzese

È una delle poche ma importanti ricchezze delle nostre zone. Ogni anno viene deturpata da incendi di varia natura, ma è uno spettacolo della natura che in tanti ci invidiano. Moltissimi sono i Piazzesi che ogni giorno col vento e con la pioggia, col sole o con la neve, sfruttano i boschi per tenersi in forma come se fosse una droga, una droga salutare. A loro sono dedicati questi simpatici versi.

NTÀ P'NÈTA

Chi sciör ch' fa sta p'nèta!
U r'spìri a böcca avèrta.
Zzà s' 'ncònt'nu l'amànti,
zzà s'allèn'nu l'atlèti.
Sötta u vérd d sti paràcchi,
è 'npiasgér spénz i tàcchi.

Dòp menz'öra ch' t' mòvi
i pumöi ti sènti nòvi.
Tutti i mùsculi t' sciògghi,
non ggh pòzi sövra i fògghi.
S'hai p'nzéri, tu ti ddèvi
e u spìr't sullùvi;

Non s sènt'nu i rumöri
e i v'lèni di mutöri;
menz a sti f'dàri arbùli
s sent a pasg d l'àngiuli.
N'aut mönn va tròvi zzà
a de pàssi da c'ttà.

Quann pöi ggh v'ntulìa,
e 'na dözza s'nfunìa,
cu l'invìt du v'ntètt,
ogn ram fa u ballètt;
s ggh pòz'nu l'asgèddi,
e t cànt'nu i sturnèddi.

Francesco Manteo

Traduzione (a cura di Gaetano Masuzzo)

NELLA PINETA

Che odore che fa questa pineta!
Lo respiri a bocca aperta.
Qua s'incontrano gli amanti,
qua si allenano gli atleti.
Sotto il verde degli ombrelloni
è un piacere alzare i talloni.

Dopo mezz'ora che ti muovi,
i polmoni li senti nuovi.
Ogni muscolo si scioglie,
non ci posi sopra le foglie.
Se fai pensieri te li levi
e lo spirito sollevi.

Non si sentono rumori
e i veleni dei motori.
In mezzo a queste foreste
senti una pace celeste.
Un altro mondo trovi qua
a due passi dalla città.

Quando poi soffia il vento,
è un sonor componimento;
con l'invito del ventotto
ogni ramo fa il balletto,
vi si posano gli uccelli
e ti cantano gli stornelli.

cronarmerina.it

 

Leggi tutto...

Notizie sul Palazzo Senatorio

Ultime notizie sul Palazzo Senatorio di Piazza
Dall’articolo apparso il 10 gennaio 2017 sul quotidiano La Sicilia  “L’opera di Battaglia” di Salvatore Maria CALOGERO (nella foto), si conoscono alcuni particolari importanti sulla costruzione del nostro Palazzo Senatorio (con la facciata in Piazza Garibaldi e l'ingresso in via Cavour) della quale si conosceva soltanto che “era iniziata nel 1773 dai vicini monaci Benedettini e ultimata nel 1783”. Nell’articolo vengono riportati gli studi effettuati dall’ingegnere CALOGERO, poi pubblicati nel suo libro Il Monastero catanese di San Nicolò l’Arena, Edit. Agorà, CATANIA 2014, dai quali si traggono importanti notizie sugli edifici pubblici realizzati nelle città siciliane dopo il catastrofico terremoto del 1693 e nel corso del Settecento. A causa della perdita degli archivi comunali dopo la seconda guerra mondiale, importanti notizie sui progettisti di questi edifici si trovano esclusivamente consultando atti notarili di quel periodo, col doppio risultato di poter ricostruire le loro fasi costruttive e di apportare importanti revisioni sulle interpretazioni tramandatesi nei secoli. Fra gli edifici pubblici assumono particolare importanza le “Case” senatorie (o Palazzi sedi del Senato cittadino, dove si tenevano le riunioni giurisdizionali, amministrative e legislative della comunità; i componenti del Senato erano scelti tra i nobili, da cui scaturiva il governo municipale formato da 6 senatori, uno dei quali prendeva il titolo di Patrizio e Platia, come veniva chiamata allora la nostra Città, ebbe il titolo sovrano di Senato il 26 luglio 1777). <<Per la loro costruzione veniva nominata una Deputazione Domus Senatoriae che si doveva occupare, fra l’altro, di fare progettare l’edificio ad architetti di chiara fama>>. Per la “Casa senatoria” di Catania (Palazzo degli Elefanti) le recenti ricerche hanno chiarito il ruolo del palermitano Giovanni Battista VACCARINI (1702-1768) che risulta non l’unico ma uno dei quattro architetti che progettarono e realizzarono l’opera (gli altri furono Vincenzo Caffarelli, Giuseppe Palazzotto, Stefano Ittar). Tra i collaboratori del VACCARINI nei cantieri diretti a Catania, troviamo l’architetto catanese Francesco BATTAGLIA (1701-1788) che, dopo la morte del Palazzotto nel 1764, diventa architetto del principe di Biscari Ignazio Paternò Castello, iniziando a operare anche in altre città come Caltagirone e Militello in Val di Noto (oggi Val di Catania). Noi Piazzesi ricordiamo Francesco BATTAGLIA soprattutto perché nel 1767 completò la Cupola del Duomo progettata oltre un secolo prima dall’architetto romano Orazio Torriani. Invece risulta, da un Atto notarile stipulato a Catania nel marzo del 1764, che l’architetto Battaglia fu incaricato dai Deputati piazzesi di redigere il progetto della Domus Senatoriae Civitatis Platiae (Palazzo Senatorio della Città di Piazza) probabilmente perché consideravano imminente la concessione del titolo alla Città di cui già godevano 9 grandi centri siciliani¹. Nell’Atto del 1764 si fanno i nomi dei 3 Deputati piazzesi che versarono la somma di onze 15 (ca. 3000 € di oggi) come compenso per due disegni effettuati dall’architetto un anno prima (marzo 1763): don Antonino Trigona e Palermo, don Ottavio Trigona barone di Scitibillini e don Stefano Trigona barone di Sant’Andrea. Inoltre il documento chiarisce che l'architetto catanese fu ospitato a Piazza assieme al figlio Paolo per due settimane, spostandosi da Caltagirone a Piazza. <<Del Palazzo del Senato di Piazza Armerina si conosce la data di ultimazione riportata nell’affresco realizzato da Salvator Martorana panormitanus nel 1778 (n.d.r. nella volta a padiglione della grande sala consigliare), probabilmente lo stesso che nel 1789 intervenne come architetto e decoratore nel vicino palazzo dei marchesi di San Cono e della Floresta (oggi Trigona), in occasione delle nozze tra il barone Luigi Trigona e donna Marianna Beneventano. Considerati i lunghi tempi di realizzazione delle “Case” senatorie nel ‘700, la data del 1763 è compatibile con quella del 1777 (n.d.r. sull’arco del portone d’ingresso sulla via Cavour c’è scolpito l’anno 1774) in cui divenne sede del nuovo Senato di Piazza Armerina e l’altra del 1783 per il completamento della facciata, soprattutto per la realizzazione del frontone sommitale di coronamento finanziato da don Luigi Trigona. Mentre, il disegno del primo e secondo ordine della facciata presenta analogie stilistiche con quello del collegio Cutelli di Catania, progettato dallo stesso Battaglia. Pertanto, si può concludere che il progetto del palazzo di città di Piazza Armerina è attribuibile a Francesco Battaglia, architetto di chiara fama>>. Dai nomi su riportati si deduce come i maggiori fautori, col beneplacito dei vicini monaci Benedettini, del Palazzo Senatorio piazzese appartengano alla nobile famiglia dei Trigona del ramo dei baroni di Imbaccari, Terra di Mirabella e San Cono poi marchesi della Floresta. Infatti, il sacerdote don Antonino Trigona e Palermo era il fratello minore dell’arcivescovo di Siracusa mons. Matteo Trigona e Palermo II barone di Imbaccari Sott. e Terra di Mirabella, mentre Ottavio Maria Trigona e Bellotti (1733-1785) X barone di San Cono, Scitibillini, Sant’Antonino e marchese della Floresta, era il pronipote dei fratelli di nonno Ottavio, l’arcivescovo Matteo e il sacerdote Antonino di cui sopra. Il barone Ottavio Maria non risultava più barone di Imbaccari e Mirabella perché il padre Luigi lo aveva venduto nel 1730 ca. a un altro Trigona, Vespasiano duca di Misterbianco e barone di Aliano e Dragofosso.

¹ Le Città siciliane che godevano del titolo di Senato erano Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Trapani, Caltagirone, Lentini, Cefalù ed Augusta.

cronarmerina.it

  • Pubblicato in Luoghi
Leggi tutto...

Ineluttabilmente

In questi giorni passati, cavalcando l’onda del dispiacere per un lutto in famiglia, ho sentito forte il bisogno di scrivere sulla VITA e sulla MORTE. Non me ne so spiegare il motivo ma ora, a lavoro finito, mi sento improvvisamente più TRANQUILLA!

I DÖI S’GNÙRI
(A vìta e a mort)

‘Nta s’r’tìna d’sg’mbrina
senza st’ddi e senza ddùna
n’ ’n pàis senza nom
cap’tià ‘na còsa stràna.

Ranncchiàda sötta ‘n ponti
c’a v’stìna ddöngha e nèra
i cavégghi ‘nturciunìati
e l’oggi duluràti
‘na v’gghièttà s’n’ stava
parèva ch’sp’ttàva!

‘Nto s’lènziu da nuttàda
ch’r’vava a cavaddìna
s’ s’ntea d’dduntàngh
‘na vösgidda fìna fìna:

«Ma chi fai s’tàita ddöch
cu sa fàcci malandrìna?
U sai bengh ch’è brùt assài
s’pttè cu nan arr’va!

Nan ggh’hai péna e cumpassiöngh
p’ ‘n baròm ancöra ‘n vìta?
A scurzèggh’la ggh’hai témp,
scuta a mi, nan è f’nìta!»

A v’gghiètta p’ r’sposta
s’ vutà d l’aut scìanch, còm a dì:
«U söi ch’ fazz... ièu ha r’và ò cav’lìnia
pov’rom, è tröpp stànch!».

Rosalba Termini, Gennaio 2017

Traduzione (a cura di Gaetano Masuzzo) 

LE DUE SIGNORE
(La vita e la morte)

In una serata di dicembre
senza stelle e senza luna
in un paese senza nome
capitò una cosa strana.

Rannicchiata sotto un ponte
col vestito lungo e nero
i capelli attorcigliati
e gli occhi tristi
una vecchietta se ne stava
sembrava aspettasse!

Nel silenzio della notte
che arrivava velocemente
si sentì da lontano
una voce sottile sottile:

«Ma che fai seduta lì
con questa faccia malandrina?
Lo sai bene che è molto brutto
aspettare chi non arriva!
Non hai pena e compassione
per un uomo ancora in vita?
Ad accorciargliela, hai tempo,
ascolta me, non è finita!».

La vecchietta per risposta
si voltò dall’altro lato, come a dire:
«Lo so cosa faccio... lui è arrivato al capolinea
pover’uomo, è troppo stanco!».

cronarmerina.it

Leggi tutto...

Lo stemma dei Trigona/2

Il privilegio del 1369, di cui si è parlato nel post Lo stemma dei Trigona/1, è confermato da re Ferdinando II di Castiglia il Cattolico (1452-1516) nel 1502 a Matteo (in alcuni testi Giovanni Matteo) Trigona I barone di Montagna di Marzo¹ con lo stemma nella foto 3: Uno scudo alla campagna mareggiata di argento dalla quale muove, a sinistra2 un triangolo d'oro rovesciato, con un sole dello stesso nel punto del capo. Lo scudo con corona, a secondo se di Principe-Duca-Marchese-Conte-Barone o Nobile, è accollato ad un'aquila spiegata, nera, armata, imbeccata e coronata d'oro3. Alla fine del XVI secolo il barone Marco Trigona alla sua morte, avvenuta nel 1598, nel testamento ordina di porre nella Chiesa Madre e negli altri edifici che ospitano le sue opere di carità, copie del suo stemma gentilizio perché possano servire di monito agli altri Signori per fare simili e maggiori opere di umana carità. Essendo il Barone religiosissimo egli non consente che nel suo stemma siano presenti le tre fasce ondulate, le quali, oltre a simboleggiare l'eroismo dei Normanni, possono alludere alla loro adorazione a Dio Odino, divinità germanica. Né vuole tollerare l'allegoria astrologica4 dell'antenata Margherita d'Aragona al marito Giacomo Trigona, consapevole che tanti matematici che pretendono leggere il passato, il presente e il futuro, sono stati ripetutamente condannati come eretici. Per questo sono soppresse dal suo stemma le figure delle tre onde marine e il sole, il quale viene sostituito con una stella luminosa a 6 o a 8 punte (foto 4). Dopo quasi due secoli, nel 1781 (per onor del vero, si riscontra anche in alcuni stemmi di epoca precedente, sino ad arrivare al periodo immediatamente dopo la dipartita di Marco Trigona, come dimostrano quasi tutti gli stemmi gentilizi voluti per sua espressa volontà in Cattedrale) è apportata una nuova modifica allo stemma da Don Gaetano Trigona e Parisi dei baroni di Sant'Andrea (1767-1837)5. Poiché la stella luminosa è molto somigliante ad una cometa, decide di sostituirla con la raffigurazione di una cometa vera e propria (foto 5) per simboleggiare il messaggio divino è la conseguente intercessione. Per tutti questi motivi verrebbe rappresentata "la cometa d'oro che indirizza il suo raggio verso il triangolo d'oro" ovvero la protezione divina che, come aggiungeva il motto della famiglia anch'esso sostituito, sarebbe valsa "Per sé e i successori in infinito". Gli stemmi di questa famiglia li troviamo ovunque, oltre che nella nostra Chiesa Madre poi Duomo e Cattedrale, da soli o assieme a quelli di altre famiglie imparentate, nelle chiese di S. Pietro, Sant'Anna Vecchia e Nuova, Cappuccini, Angeli Custodi, Crocifisso, S. Vincenzo, Santo Stefano, nella Commenda di S. Giovanni Battista, nel Palazzo Vescovile, sui portoni di numerosi palazzi civili di Piazza e fuori Piazza. Desidero aggiungere un ulteriore interessante contributo sulla storia dello stemma della famiglia Trigona, riportando quello che ho letto il 15 gennaio del 2020 nell'opera del concittadino Alceste Roccella, Storia di Piazza, 7 voll. mss. inediti, Storia di Piazza - Famiglie nobili, Vol. 3 - Per l'Avv. Alceste Roccella, Biblioteca Comunale di Piazza Armerina penultimo decennio sec. XIX, [PDF], p. 128: «Il blasone della famiglia Trigona consistea un'aquila coronata con reale diadema che nelle zampe trattiene tre tamburi con fasci d'arme e bandiere e tiene l'ali spalmate. Nel petto dell'aquila è uno scudo a fondo ceruleo avente in un angolo una cometa che irradia un triangolo aurato e nella coda tiene pendente una catena, un cuore ed uno strale nella corona dell'aquila è scritto “Semper in solem”. E nella coda dell'aquila è scritto “Mei non degenerant”».

¹ In seguito al matrimonio nel 1516 con l'aidonese Elisabetta de Gaffori di Montagna di Marzo. 

2 Nella descrizione araldica la sinistra è la destra per chi guarda.

3 Come vuole l'araldica, l'aquila è rappresentata di fronte, con zampe e penne della coda divaricate, ali aperte con penne spiegate (volo spiegato) e testa di profilo che guarda a destra, in quanto indica la destra di colui che porta lo scudo davanti a sé, la sinistra per chi lo guarda. Soltanto in due casi a Piazza Armerina la testa dell'aquila non rispetta questo verso: è rivolta a sx (a dx per chi la guarda) sul cantone dell'entrata a sud della Cattedrale; è frontale nella facciata del Palazzo Trigona della Floresta, sempre in piazza Duomo.      

4 Margherita interrogando l'oroscopo aveva constatato che le tre linee immaginarie che uniscono i tre astri (l'Ariete, simbolo del paziente e docile re Federico III il Semplice; il Leone, che stava a rappresentare la forza del cavaliere Giacomo Trigona; il Sagittario segno della pura verginità di Margherita d'Aragona) formavano il triangolo del fuoco (considerato sacro agli Dei), sul quale impera il sole come emblema maschile (fecondità dei Trigona), settentrionale (come la Patria degli antenati Normanni), diurno (il giorno è simbolo dell vita) e fecondatore (di alti spiriti come i guerrieri vittoriosi). Inoltre, che la terza parte dello zodiaco, contenente due pianeti di conforme natura (in questo caso il Leone Giacomo e il Sagittario Margherita) equidistanti, formano il trigono, considerato come presagio di buon auspicio, mentre al sole, che tutela e annuncia la vittoria e la bellezza, appartiene il cuore umano.

5 A pag. 18 del volumetto Origine e Significato dell'Arme e del Motto di Casa Trigona, RAGUSA 1928, l'autore Francesco Trigona aggiunge erroneamente a Gaetano Trigona, poi Cardinale della Romana Chiesa, il nome Felice. In realtà mons. Trigona, cardinale nel 1834, aveva altri 5 nomi, Maria Giuseppe Benedetto Placido Vincenzo, ma non Felice. Inoltre, se la data 30 Settembre 1781, riportata nella stessa pubblicazione relativa al rilascio al futuro Cardinale dell'attestato di modifica dello stemma da parte del Senato di Piazza, è esatta, si desume che gli venne rilasciata all'età di 14 anni, essendo nato nel 1767.          

cronarmerina.it

Leggi tutto...

Lo stemma dei Trigona/1

Sino adesso ho parlato di tanti stemmi, ma non avevo approfondito su questo sito quello della famiglia Trigona. Per le origini di questa nobile famiglia che è stata tra le più influenti, se non la più determinante dal XVI secolo in poi, nella storia della nostra Città, arriviamo indietro addirittura all'anno 650 ca. È in questo periodo che troviamo il duca Salardo stabilitosi tra i Monti Chirii in Svevia (oggi Germania Sud-Occid.) e il figlio di questi, Coraldo, che acquista nella Piccardia (Francia Sett.) molti castelli e la signoria di Trigonne, donde il cognome. Un discendente di Coraldo,¹ Ermanno, capitano dell'imperatore Federico II, nel 1239 diventa governatore di Mistretta (Me) e un suo discendente, Giacomo, sposandosi nel 1369 con Margherita d'Aragona, figlia di Sancho, figlio naturale (forse uno dei sette figli illegittimi) di Pietro d'Aragona II re di Sicilia (1305-1342), riceve da re Federico II d'Aragona III di Sicilia e II di Trinacria detto il Semplice (1341-1377), il privilegio di inserire lo stemma originario, che il Mugnos nella sua opera Teatro Genologico² ci dice che «furono tre fasce ondose marine d'argento, e d'azzurro in campo d'oro» (foto 1), nell'aquila nera della Casa Reale d'Aragona. Pertanto, lo stemma originario della foto 1, al quale Giacomo aveva aggiunto il motto Vita, Lux, Opus (Vita, Luce ed Azione),³  si trasforma in quello nella foto 2, ovvero in tre fasce ondulate, che simboleggiano tre onde in ricordo della discendenza dai Normanni, più il sole come simbolo della fecondità dei Trigona, posto a settentrione per indicare questa loro discendenza nordica, il tutto in campo azzurro: «Concediamo in perpetuo a Te e a tutti i successori della nobile Famiglia Trigona che all'antico stemma vostro siano aggiunti, in segno della nostra parentela, tre fasce ondulate di colore argento ed azzurro tracciate in campo aureo e un triangolo rivolto verso il sole in campo azzurro, nonché un'aquila posta sopra i colori. Vale».4 (continua)

¹ A proposito di discendenti, un pronipote di Coraldo, Taddeo o Tedeo, tre secoli dopo, precisamente nel 1101, sconfigge con poche galee, la flotta saracena presso Taranto e siccome la vittoria avviene il 25 marzo, giorno sacro alla devozione della SS. Annunziata, l'Ammiraglio per riconoscenza alla beata Vergine gli edifica un Tempio in Taranto. Così la devozione della SS. Annunziata diventa tradizionale nella famiglia Trigona, per virtù del suo grande Ammiraglio (Cfr. Francesco TRIGONA, Origine dell'Arme e del Motto di Casa Trigona, RAGUSA 1928, pp. 5, 20).                                                                                                           

² Don Filadelfo MUGNOS, Teatro Genologico delle Famiglie Illustri, Nobili, Feudatarie, et Antiche de' Regni di Sicilia Ultra, e Citra, MESSINA 1670, Parte III, Libro VIII, p. 471.                                                                     

³ «Questo motto alludeva al suo amore per Margherita d'Aragona ed aveva il significato seguente: Io vivo come un mare in tempesta, illuminatemi voi perché io sia degno di agire». Anche Margherita d'Aragona, scelta come damigella di Compagnia dalla regina Costanza, aveva regalato a Giacomo, durante la cerimonia di creazione a Cavaliere nel 1362 a Messina, una ricca fascia di colore azzurro, raffigurante il firmamento, in cui superbamente risplendevano un triangolo illuminato dal sole quale simbolo allegorico come risposta che Ella dava all'invitto Cavaliere dal significato "Voi (cioè Giacomo) siete il sole sfolgorante della mia vita e l'immagine radiosa della mia salda passione". Il simbolo del triangolo rappresentante il "Trigono di fuoco" considerato portatore di buon auspicio, era frutto degli studi di astrologia dei Caldei che, nonostante le numerose scomuniche papali, erano di gran moda alla corte di Sicilia e dei quali pare fosse appassionata la damigella d'Onore della Regina (Cfr. F. TRIGONA, Origine dell'Arme, op. cit., pp. 7, 10).                                                         

4 Ibidem                  

cronarmerina.it

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Ricerche Storiche

Censimenti

Storia Civile

Storia Ecclesiastica

Curiosità

Come Eravamo