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Cronarmerina - Aprile 2025

Lo stemma del Crocifisso/4 e ultimo

Lo stemma sul portale della chiesa del SS. Crocifisso con la scritta in risalto
Nel post precedente eravamo arrivati al Libro dei Numeri, dove avremmo trovato il significato della "Croce avvolta da un serpente" rappresentata nello stemma della chiesa del SS. Crocifisso. Questo libro scritto in ebraico, poi tradotto in latino, è chiamato dei Numeri perché si apre con un censimento, ovvero l'elenco delle famiglie appartenenti alle 12 tribù che formeranno il futuro Israele e rappresenta il IV libro della Bibbia cristiana e della Torah ebraica. Nei 36 capitoli di cui è composto, descrive la storia degli Ebrei (viaggi, problemi, norme, battaglie con altre popolazioni, conflitti interni) durante la loro sosta nel deserto del Sinai intorno al 1200 a.C. Nel capitolo 21 (quello, appunto, ricordato in numeri romani "XXI" nello stemma nella foto) si legge: "Durante la lunga marcia in pieno deserto, i nomadi cominciarono a lamentarsi per il viaggio e per le fatiche. Niente acqua né pane: scarsità di cibo al punto che anche la manna, dono del cielo, li disgustava. L'Onnipotente allora reagì per castigare quegli incorreggibili contestatori. Mandò dei serpenti infuocati il cui morso decimò i ribelli. Come sempre si dovette ricorrere all'indulgente bontà di Mosè. Il grande intercessore chiese grazia e ricevette l'ordine che pose fine all'ecatombe. Il Signore gli disse: Fatti un serpente di bronzo e mettilo sopra un'asta qui percussus aspexerit eum, vivet (chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita). Il flagello fu scongiurato, non per magia, ma per grazia divina che, con un semplice sguardo di fede sul rettile di metallo, rendeva immuni dal veleno mortale del terribile serpente". Quest'immagine, ricca di simbolismo, è dovuta al fatto che i popoli dell'antichità pensavano che il serpente strisciando per terra, raccogliesse ed inglobasse tutte le impurità, per poi restituirle con il suo veleno. Dal momento, poi, che cambia pelle ogni anno in primavera e che è solito puntare uno sguardo fisso e avvincente sulla vittima, era considerato anche segno di immortalità. L'unico modo di impedire l'opera letale del serpente consisteva nell'innalzarlo, per allontanarlo dal contatto con il male presente sul suolo. Paradossalmente, proprio guardando un serpente di bronzo, gli israeliti, che rischiavano di morire a causa dei serpenti, venivano salvati. Da simbolo di morte, il serpente diventava simbolo di salvezza e di vita. In egual misura la croce, esibita per incutere paura perché strumento di morte lenta e dolorosa diventa, con l'atto d'amore di Cristo che sulla croce muore, rappresentazione di salvezza di vita. Il simbolismo cristiano, quindi, appare chiaramente: il serpente di Mosè è prefigurazione del Cristo Crocifisso e mentre gli Ebrei non riebbero che la salute fisica, il sacrificio di Cristo ridà salute dell'anima proiettandola verso la vita eterna. Per essere salvati occorre, dunque, guardare a Cristo sulla croce perché qui percussus aspexerit eum, vivet (chiunque la guarderà, resterà in vita). Messaggio più preciso di quello racchiuso in questo stemma, sarebbe stato difficile trovare per questa chiesa dedicata al Crocifisso. 
Ma in 250anni quante generazioni di Piazzesi, più o meno istruite, hanno avuto la fortuna di ricevere quest'informazione, varcando il portale dell'Insigne Collegiata o soltanto ammirandone la facciata il Venerdì Santo quànn nèsc u S'g?

Per approfondire e raccogliere altre interessanti notizie sulla chiesa del SS. Crocifisso è consigliata la lettura del libro di Mario Zuccarello, Chiesa Collegiata SS. Crocifisso Piazza Armerina, Ed. Terre Sommerse, Roma 2011, da me consultato per trarre la maggior parte delle notizie riportate sui 4 post. 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Lo stemma del Crocifisso/3

Lo stemma sul portone principale della chiesa del SS. Crocifisso
 
Lo Stemma sul portale

Dopo aver brevemente accennato alla storia dell'edificazione della chiesa del SS. Crocifisso nel più antico quartiere di Piazza, si può benissimo passare a trattare del significato dello stemma che campeggia sul portale principale dell'edificio ecclesiastico che, complessivamente, presenta un rilevante motivo di novità, rispetto alle altre chiese: l'ubicazione della cupola a cilindro non sull'abside ma al centro della stessa chiesa. Questa particolarità, unita alla grandiosità, fa sì che la cupola venga facilmente individuata non da chi sta nelle vicinanze, ma da chi ammira il panorama della città in lontananza¹, da Sud-Ovest. Infatti, chi proviene da Barrafranca, se alza lo sguardo dalla chiesa dell'Indirizzo, le prime cose che nota distintamente sono le imponenti cupole del Crocifisso a sx e, poco più in alto, del Duomo a dx. Ovviamente, se una chiesa viene intitolata al Crocifisso è normale che lo stemma principale racchiuda una Croce, ma in questo caso particolare la troviamo avvolta da un serpente. Per chi non ha dimestichezza con le Sacre Scritture, questa particolarità risulta oscura e di difficile comprensione. Invece, facendoci guidare e, quindi, illuminare da chi le ha già lette e studiate, possiamo arrivare anche noi alla soluzione. Questa la troviamo molto esaustivamente nel libro di Mario Zuccarello, Chiesa Collegiata SS. Crocifisso Piazza Armerina, Storia, segni, tradizione e devozione, Ed. Terre Sommerse, Roma, 2011, pp. 32 e ss.: "Sopra la cornice muraria di pietra arenaria locale del portone principale è situata una scultura di grande valore iconografico e teologico che rappresenta il serpente di bronzo del Sinai, figura profetica della croce di Gesù. Il serpente di bronzo, innalzato da Mosè, si trova nel Libro dei Numeri (21,4-9)".

¹ Se ci avete fatto caso, la stessa considerazione vale per il maestoso campanile della chiesa di San Giovanni Evangelista, non si nota la grandezza se non da lontano, nessuno lo ammira dalle vicinanze. Lo si intravede a stento dal primo tratto della via Umberto, quando si arriva davanti la chiesa del Purgatorio.

(continua

 Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

      

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Lo stemma del Crocifisso/2

Chiesa del SS. Crocifisso, quartiere Monte, 1720-1785
 
 Breve storia della chiesa del SS. Crocifisso

L'edificazione della chiesa del SS. Crocifisso iniziò nel 1720 per la necessità di sostituire quella dedicata a Santa Domenica, minacciata da imminente rovina perché troppo vicino al pendio (a còsta) a Sud-Ovest dell'antico centro abitato. Questa chiesa, che esisteva sin dal XVI sec. tra le odierne via Santoro e via Campagna San Martino, aveva già una Confraternita col suo stesso nome poi sostituito con quello del Crocifisso miracoloso che ospitava in una cappella al suo interno dagl'inizi del Seicento. Il Crocifisso, scolpito dal maestro Antonio Cultrera, sempre meta di pellegrinaggi, prima era ospitato sull'altare di legno a sinistra dell'ingresso principale della chiesa di S. Nicola di Bari, dal 1651 intitolata alla Madonna della Catena. Nel 1675 Matteo Calascibetta barone di Malpertuso¹ e San Basilio¹ vi istituì, per testamento, un collegio di 12 canonici diretti da un prevosto, volontà poi attuata nel 1698. Successivamente il Capitolo s'ingrandì con 38 Prebendati, 18 Canonici e 17 Sacerdoti. L'abbattimento della chiesa in rovina e la costruzione della nuova su un pianoro più a monte, furono eseguiti, tra il 1720 e il 1785, grazie alle volontà di Paolo Trigona Marchiafava barone di Casalotto². Nel 1777 i componenti della Collegiata della nuova chiesa del SS. Crocifisso raggiunsero il numero di 39 tra Dignità, Canonici e secondari. Nel 1813, nella domenica successiva alla Pasqua, un incendio distrusse il principale altare e il Crocifisso, ma la devozione di tutto il popolo in 6 mesi ne riparò i danni, come ci ricorda la lapide in chiesa. Dopo l'erezione della Diocesi di Piazza nel 1817, nella chiesa del Crocifisso rimase la Collegiata, prima della nuova Diocesi. Per questo motivo e per il fervore cristiano del popolo, sempre vivo durante la Quaresima e la Settimana Santa, il vescovo Mons. Sturzo (1861-1941) la eresse nel 1934 a Parrocchia che, allora, comprendeva ca. 3.000 anime.

¹ Oltre a questi feudi, nei pressi di Nicosia (EN), il barone Matteo possedeva quelli di Sabuci, in territorio di Lentini e Limuni, in territorio di Francofonte.
² In realtà il nome completo del nobile-benefattore era Pietro Paolo barone di Casalotto e Scarante ed era il III figlio di Francesco Trigona Miccichè barone di Spedalotto e Cugno sposato con Rosalia (Maria?) Marchiafava, baronessa di Scaletta e Casalotto, originaria di Calascibetta.

(continua)

 Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it            
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Maledetta fu la carrozzella

 
Questo racconto di Camilleri, che oggi l'amica Maria Assunta ha appositamente riportato su un social network, era la nostra giurnàda dî mòrti. Niente da aggiungere a tante identiche emozioni fanciullesche se non l'oggetto che, in un certo senso, mi fece diventare adolescente tutt'una volta, rovinandomi. Il giorno prima dî morti, mentre rovistavo nell'armadio della camera da letto dei miei genitori, non ricordo il motivo, come se ce ne fosse stato bisogno per rovistare in giro, alzando una falda di un cappotto, gli occhi mi caddero su una ruota, come quella della carrozzella nella foto. Quella cosa che luccicava, faceva parte del regalo dî morti per una delle tante mie cugine, che i miei genitori avevano pensato di nascondere. Per qualche giorno mi tenni il segreto, per gustarmi come gli anni precedenti il mio fucile e la mia pistola da cawboy sparando a destra e a manca, ma poi non resitetti più e, incoscientemente e maledettamente, lo svelai ai miei. Che mai l'avessi fatto: f'nìnu i regàli dî morti, FOREVER! 
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it   
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Sfogo sentimentale

 Che cosa c'è di più cordiale e piacevole di una rimpatriata tra compagne di classe? Eccovi lo sfogo sentimentale in gallo-italico maccheronico di una di loro.
 
A R'patriàda
 
E cu mai l'avissa dit?
Dop tant'anni ch' nan n' frequentav'mu 
D' r'truvarn staséra zzà
S'ttati 'ntornu a sta bedda tavula 'mbandita.
 
U cor cuntent
Mutu p' l'emozion e a vocca
 Cu tanta vogghia d' parrè
D' cunters d' l'anni passadi 'nsemu
Sovra i banchi d' scola
Quann 'npoch ciù ranni d' carusetti
L'un'ca preoccupazion,
Appena u professur d'sgeva "Ora interroghiamo",
Era codda d' mucciars
Darrera i spaddi d' cu ggh' stava s'ttat davanti
P' nan s' fè 'ngagghièr.
 
Bellissimi quegli anni
Ma u tempu passa 'ncurrenn
S' crisc, ognun fa a so strata
Cu pigghia d' zzà cu pigghia d' ddà
E i cumpagni d' scola, non tutti però, 
S' perdunu d' vista.
Quarch'dun poi s' n' va fora d' Ciazza
E dda resta p' travagghiè
Mentr u temp passa e i r'gordi s'annebbianu
Mancumal c'ogn'ann r'torna puntual
U mis d'aost
E altrettanto puntual
R'torn'nu chiddi ch' s' n'avn'annat.
 
Accuscì, cam'nàn pi strati d' Ciazza
Tuttu u passat r'torna 'nmente
E s' cumenza a sprè d' 'ncuntrè cost o codd
E cussà com s'ha fatt, cussà s' s'ha spusat, 
S' gghiav' figghi o n'put'?
Poi... ciau ciau, na stritta d' manu
Nbasciun e "N v'duma u pross'm aost".
Ma dall'altr'ann, p' gnautri quattru cà pr'senti:
Rosa, Annetta, Daniela e Rosalba, nan è ciù accuscì.
Nan basta ciù 'ncuntrers pa strata.
N'corp di telef'nu
E u quartett di beddi cumpagni d' scola,
(S'è p' coss: gghiù poi dì ch'è 'nbeu quartett)
S' riunisc', cùi rispettivi consorti,
P' passè na bedda s'rada all'insegna di r'gordi.
Accuscì, tra 'na p'zzetta e 'ncioccolattinu
S' parra du tempu ch' fu
Còm d'jeva a canzuna,
"Ch' passa e nan torna ciù".
Cussà s' poi è veru?
 
 
Rosalba Termini, novembre 2015

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

 
   
  
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Lo stemma del Crocifisso/1

Facciata chiesa del SS. Crocifisso al Monte, XVIII sec.
Stemma sul portale principale della chiesa SS. Crocifisso
Stemma con la scritta in risalto
Ormai quando guardo una strada, una chiesa, un monumento di Piazza, non mi accontento più di ammirare l'insieme, ma l'occhio allenato mi fa osservare anche i minimi particolari che, di solito, non si notano se non quando si opera un restauro ravvicinato. Questo è accaduto l'altro giorno, mentre mi trovavo davanti la chiesa del SS. Crocifisso nel quartiere Monte. Quando lo sguardo si è posato sullo stemma che sovrasta la cornice del portale principale, la prima cosa che mi ha incuriosito è stata la Croce avvolta da un serpente. Ho scattato alcune foto con la fotocamera che porto sempre dietro e, una volta a casa, le ho scaricate sul computer. Inizio la ricerca per comprendere cosa possa significare quell'abbinamento Croce-sepente. Mi faccio qualche idea, ma per essere più sicuro attendo qualche "illuminazione". Intanto nell'ingrandirle scopro che la Croce col serpente è circondata da una scritta, mai notata prima a occhio nudo. Mi fornisco di fotocamera più potente e ritorno al Monte. Dalle nuove foto salta subito agli occhi che intorno allo stemma c'è scolpita questa scritta:
 
QUI PERCUSSUS ASPEXERIT VIVET N. XXI¹
 
Nel frattempo incontro il diacono Mario Zuccarello, al quale pongo qualche domanda in merito. Lui immediatamente mi segnala che già nel suo volume Chiesa Collegiata SS. Crocifisso Piazza Armerina, Ed. Terre Sommerse, Roma, 2011, pp. 32-34, aveva spiegato cosa significasse quella Croce avvolta dal serpente, ma della scritta non ne sapeva l'esistenza. 
Ebbene, la scritta scolpita, che io ho messo in risalto utilizzando il programma di grafica digitale Paint (foto in basso), confermava l'intreressantissima spiegazione di Zuccarello che vi proporrò nel prossimo post, tra qualche giorno.
 
¹ Dell'esistenza del puntino scolpito tra la "N" e il numero romano "XXI" non sono sicuro, si dovrebbe salire lassù in alto per constatare da vicino.
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Nuova Corale Polifonica

Don Enzo Cipriano (1941-2012)*
 
Nuova Corale Polifonica intitolata a Don Enzo Cipriano
E' stata recentemente costituita in Piazza Armerina, la Corale padre Enzo Cipriano. L'intitolazione vuole essere un omaggio per manifestare l'affetto dei soci fondatori verso l'amico Sacerdote e per raccoglierne l'eredità spirituale ed artistica. La finalità della corale, è quella di crescere professionalmente migliorando l'abilità nel campo della polifonia, musica particolarmente coinvolgente per l'armonico ma indipendente sviluppo delle varie voci (e perciò anche segnatamente indicata per favorire l'aggregazione, la comunicazione e il lavoro di gruppo) oltreché straordinariamente capace di elevare l'animo con le conseguenti implicazioni liturgiche e religiose. I componenti del coro, di cui è presidente la signora Marinella Neri, sono diretti dallo stimato Maestro di musica Giuseppe Sanalitro e accompagnati dal giovane, ma non meno apprezzato, Maestro Gianluca Furnari. Il coro è attualmente formato da oltre 20 componenti, ma ne potranno far parte tutti coloro che, amanti del bel canto, siano dotati di attitudini canore. La nuova Corale farà la sua prima esibizione presso la chiesa parrocchiale di San Pietro in Piazza Armerina in occasione del tradizionale concerto di Natale. Don Enzo rivive nel nome della Corale grazie anche alla generosa disponibilità del Parroco don Ettore Bartolotta, che ha permesso l'utilizzo dei locali della chiesa Maria Santissima delle Grazie in Piazza Armerina.
 
* Padre Vincenzo Cipriano, sacerdote nel 1965, è stato parroco della parrocchia "San Pietro" di Piazza Armerina dal 1980.
Gaetano Masuzzo/cronarmerina   
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Edicola n. 33

Questa è l'Edicola Votiva n. 33 di Piazza Teatini altrimenti chiamata Piazza Martiri d'Ungheria*, già Piazza del Mercato Settimanale. Secondo l'immagine cartacea che si intravede appena, dietro i due sportelli con vetri e rete metallica chiusi da un lucchetto, e le tendine, una volta bianche, sembra dedicata alla Madonna con Bambino. Si trova nel muro Sud della chiesa di San Lorenzo Martire¹ meglio conosciuta come chiesa dei Teatini. Quest'Ordine religioso fa la prima apparizione a Piazza, allora chiamata Platea o Platia, nel 1609 con l'istituzione di una "Casa di Teatini", la quarta in Sicilia, dopo le due di Palermo e quella di Messina. L'arrivo di questi Padri fu fortissimamente voluto dai Giurati della Città per l'impellente bisogno di istruzione della numerosa gioventù (la Città allora contava non meno di 16.000 abitanti) e per dare un freno al rilassamento nei costumi anche fra i religiosi che mostravano, addirittura, simpatia per la dottrina di Lutero che andava diffondendosi in Sicilia. Ai Padri Teatini², che si stabilirono in un antico edificio, venne data la possibilità di svolgere le funzioni religiose nella chiesa di S. Maria del VI secolo presente in questo borgo chiamato "del Patrisanto". Saranno loro a riportare in questa chiesa dopo qualche anno la grande immagine di stile bizantino della Madonna del Gorgo Nero³ del XII secolo.
* In ricordo delle migliaia di ungheresi morti durante la Rivoluzione antisovietica del 1956.
¹ Alla chiesa fu dato questo nome in omaggio all'aidonese Lorenzo I Gioeni marchese di Castiglione barone di Fessima e Pietratagliata (1566) che, sposando Caterina de Cardona Branciforte, ne assunse il patronato, precedentemente della famiglia Branciforte.
² All'arrivo in Città (4 anni prima i Gesuiti avevano eretto una "Casa Professa" ma non un Collegio dove poter studiare) il loro buon esempio convince tanti giovani di antiche e nobili famiglie piazzesi a ricevere l'abito religioso nella Casa Teatina di Palermo. Qualche anno più tardi fatti straordinari e autentici prodigi inducono il Consiglio Cittadino a proclamare nel 1626 II Compatrono della Città il teatino Sant'Andrea Avellino e nel 1642 III Compatrono il teatino San Gaetano di Thiene. 
³ Questa immagine era custodita in una delle due chiese che c'erano in questo borgo abitata da gente greca. La Madonna fu intitolata "del Gorgo Nero" perché poco vicino la chiesetta c'erano alcune sorgenti di acqua termale e sulfurea (quindi nera e puzzolente) che il popolo chiamava per questo "Gorgo Nero". L'acqua di queste sorgenti confluiva nelle vasche della zona sottostante ove veniva utilizzata per bagni termali e terapeutici, soprattutto nella cura della pelle. Per questo motivo la zona venne chiamata di "Altacura" poi trasformatosi anche in "Taccura".  Di questo pozzo e di altri presenti nel nostro territorio ne parla anche il geologo francese Dèodat de Dolomieu di passaggio nella nostra città nel 1781: "A Piazza... su una piccola piazza all'interno della città c'era una cavità da cui usciva un vapore bituminoso e sulfureo... alla ricostruzione... vi si ricostruì sopra un basamento in muratura che porta una croce...".
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it  

       

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L'EPIGRAFE del Vespro piazzese scomparsa

Nello stesso volumetto/ristampa dell'edizione "Sicilia-Vespro" redatta in occasione del VI centenario celebrato nel 1882, a pag. 35 viene riportata una Epigrafe che ricorda i tragici momenti di cui Vi ho parlato nei post precedenti (1283 - I 101 militi di Placea; Il VESPRO di RoccellaFra Bartolomeo da Piazza). L'epigrafe commemorativa fu voluta e realizzata dal nostro Comune nel 1882¹, in ricordo del coraggioso frate francescano Bartolomeo da Piazza che andò in Calabria da re Carlo d'Angiò nel giugno del 1282, e dei cavalieri e degli abitanti della nostra Città che resistettero all'assedio dei Francesi-Angioini nel 1299. Ma dell'epigrafe non si conosce né il luogo dove fu posta, né la fine che ha fatto successivamente. Inoltre, non si riesce a decifrare esattamente, tranne forse la seconda parte che sembra indicare "Bruno", la firma del concittadino piazzese che, orgogliosamente, ne inviò copia al curatore della raccolta Giuseppe Pitrè, scrittore e letterato palermitano (1841-1916).
 
¹ Quell'anno a Piazza ci furono due Sindaci. Finiva il mandato (1879-1882) il sindaco Benedetto La Vaccara con la sua Giunta composta da Vincenzo Di Carlo, dr. Enrico De Pietra, Oreste Azzolina, Giovanni Rizzo e Giuseppe Giunta. Iniziava il mandato (1882-1889) il sindaco Antonio Crescimanno. Salta subito agli occhi come a tanti amministratori dell'epoca furono intitolate le nostre strade odierne. Ciò dimostra che prima dell'Unità d'Italia le vie non avevano dei nomi ben precisi (odonimi); solo nel 1871 con la legge relativa al censimento della popolazione italiana si dispose di procedere alla nominazione delle vie e delle piazze e alla numerazione dei fabbricati.            
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina  
  • Pubblicato in Cose
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1282 - Fra Bartolomeo da Piazza

  
Storia di un Piazzese di 7 secoli fa
 
Michele Amari, storico e politico palermitano (1806-1889), nel suo I volume de La guerra del Vespro Siciliano o Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII, II Edizione, Baudry Libreria Europea, PARIGI 1843, frutto di ricerca tra gli archivi e biblioteche di mezza Europa, ci fa sapere a pag. 154¹ che, mentre re Carlo d'Angiò giunto a Catona (Reggio Calabria) nel giugno del 1282, era in procinto di sferrare duri attacchi alla città di Messina, difesa dai suoi eroici cittadini sotto la guida del capitano Alaimo di Lentini, il frate minore Bartolomeo da Piazza <<fu d'esempio e di conforto agli eroici cittadini di Messina>>. Il frate francescano piazzese, avendo appreso che <<i Messinesi strugeansi di saperne a punto le forze e i disegni... a' preghi del consiglio della città... prese a esplorarli>>. Insomma, il frate <<uom litterato, di specchiati costumi, e di gran nome, prese a esplorarli; non vile spiatore d'eserciti, ma cittadino, ch' all'uopo della patria affronti la mannaia, com'altri la spada>>. Quindi si prende di coraggio e <<nè furtivo, nè dimesso va dunque in Calabria>> dove incontra re Carlo che appena lo vede lo apostrofa: <<"A che da' miei traditori ne vieni?" brusco domandavalo il re. Ed ei più fermo: "Non io traditor, disse, nè terra di tradimento lasciai. Mosso da religione e coscienza vengo ad ammonir qui i frati minori, che non seguano queste tue ingiustissime armi. La Provvidenza ti commise un'innocente popolo, e tu lo lasciavi a dilaniare a lupi e mastini: tu indurasti il cuore alle querele, a' pianti: e allor ci volgemmo al Cielo; e il Cielo ne ascoltò, e ci fe' vendicare santissimi dritti. Ma se speri oggi vincendo chiamar ciò fellonia, sappi, o re, che indarno tant'armi a' danni de' Messinesi aduni. Torri hanno e mura, e forti petti rinfocati dal divin raggio di libertà; onde maggiori che uomini, ti aspettan pronti a morire. A Faraone tu pensa!" Per terrore di lassù, o istinto d'accarezzar Messina, il re si ritenne dall'offendere il frate. Die' sfogo all'ira con ordinare una prima fazione: e Bartolomeo tornandosi a' suoi, narrava la potenza dell'oste, e le truci voglie di Carlo>>. Il rimprovero e l'ammonizione del nostro frate a nulla valse, perché il Re iniziò comunque l'assalto alla città dello stretto. Ma il suo eroico esempio spinse ancor più i Messinesi alla resistenza. Pochi mesi dopo, nel mese di agosto, il re spagnolo Pietro d'Aragona sbarcò a Trapani per venire in "aiuto" del popolo siciliano in rivolta contro i Franco-Angioini. Iniziava così un'altra dominazione, quella Spagnola-Aragonese che si concluderà due secoli dopo, nel 1516, con l'inizio di quella Spagnola-Asburgica che, sempre per la felicità dei Siciliani, sarebbe durata anch'essa due secoli, sino al 1713. Etc. etc.    

¹ Anche il Villari ce ne parla riportandolo a p. 136 nel suo Storia della Città di P. Armerina, 1981, con un paio di errori di stampa.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it 

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