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Cronarmerina - Aprile 2016

I Chimici del '68

Eccovi gli alunni delle V CHIMICI dell'Istituto Tecnico Industriale di Piazza Armerina anno scolastico 1967-1968 che si sono ritrovati dopo quasi mezzo secolo. L'incontro è avvenuto venerdì scorso nell'aula magna dell'ITIS intitolato al fisico catanese Ettore Majorana e accolti dal Dirigente Scolastico Prof.ssa Lidia Di Gangi e dal primo collaboratore con funzioni di vicario Prof.ssa Vilma Piazza.

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Ernesto Caputo

Con la presentazione del libro di poesie nella foto, conosciamo un altro poeta nonché "irripetibile personaggio"¹ che si affaccia sul panorama della nostra lingua gallo-italica.

Ernesto Caputo Bottari nacque a Piazza Armerina il 27 maggio 1925. Frequentò il Liceo Classico distinguendosi per la sua bravura in Latino e Greco. Imparò benissimo il francese, prendendo lezioni dalla zia Matilde, lo spagnolo dal padre, che era stato per nove anni a Buenos Aires e, con lezioni private, l’inglese sia quello britannico che quello americano. Iscritto alla facoltà di Medicina poi cambiò per quella di Giurisprudenza ma, al termine degli studi, non andò a discutere la tesi. Si sistemò prima al Banco di Sicilia poi, definitivamente, all’Esattoria come cassiere. Sposatosi nel 1951 ebbe due figli, Enzo e Paolo, con la moglie Angela Bifera, figlia di don Paolo, pasticcere originario di Acireale (n.d.r. dal quale tutta la mia generazione, i nati negli anni Cinquanta, andò a gustare i prelibati gelati in Piazza Garibaldi, accanto al famoso Valentino magazzino per tutti). Coltivò tante passioni: la musica, la pittura, la scultura, la poesia, lo spettacolo e la caccia. <<La caccia era per lui più che uno svago una missione. Ernesto Caputo era davvero un cacciatore; ma di quelli che all’odore acre della polvere da sparo, preferiscono la poesia delle mattinate avvolte di bruma […] amava raccontare […] le avventure trascorse con il fucile in spalla […] animate da quella sua strana cultura del cane da caccia. E chi non lo ricorda a passeggio con al guinzaglio il cucciolo, ultimo arrivato ma sempre bellissimo. Ernesto è […] uno di quei personaggi che fanno di un posto una città […]. E questa città Ernesto ha amato come pochi: ne ha dipinto gli aspetti, cantato le vicende, rimpianto il passato, celebrato la storia, le tradizioni, la lingua>>¹. Ernesto Caputo si spense il 14 gennaio del 1990. Riposa nel Cimitero di Santa Maria di Gesù e sulla lapide il figlio Enzo fece incidere: Alle muse donò il cuore, a Piazza i versi, a noi lacrime e sorrisi. (tratto dalla BIOGRAFIA, a cura del figlio Enzo Caputo, in Ernesto CAPUTO, Vösg d’ Ciazza, Poesie in dialetto galloitalico piazzese, a cura di Fabio Furnari, Terre Sommerse, Roma 2015)

¹ Tratto da M. PRESTIFILIPPO, Orizzonti, in Ernesto CAPUTO, Vösg d’ Ciazza..., 2015, p. 10. 

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Borghi Rurali fascisti in Sicilia/3

 

La piazza di Borgo Cascino con la Torre Littoria/Serbatoio dell'acqua potabile

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(dalla Parte 2) Nel 1939 il regime fascista iniziò una nuova fase nella politica di sostegno alla mezzadria denominandola “assalto al latifondo”, che portò alla nascita dell’ECLS (Ente per la Colonizzazione del Latifondo Siciliano) e alla fondazione di alcuni piccoli borghi destinati a diventare centri di servizi del futuro appoderamento delle aree incolte circostanti. Nacquero così otto Borghi, ognuno di essi atto ad accogliere circa 1500 persone con una serie di strutture edilizie e urbane (la chiesa, la canonica, la casa del fascio, la caserma, la casa sanitaria, locali per artigiani, la trattoria, la farmacia, l’ufficio dell’Ente di colonizzazione, la scuola rurale). L’ECLS ebbe una durata di dieci anni, ma sostanzialmente operò per meno di quattro anni. Ufficialmente l’ECLS (del ministero dell'agricoltura, nazionale) uscì di scena nel 1950, lasciando il posto all’ERAS (Ente per la Riforma Agraria in Sicilia, dell'assessorato regionale).

Gi otto Borghi, uno per provincia¹, furono intitolati alla memoria di medaglie d’oro al valor militare e a martiri fascisti.

1) 1939 Borgo Giacomo Schirò (eroe civile) (Monreale/Corleone, PA);

2) 1939 Borgo Gigino (Calogero) Gattuso (martire giovane fascista) poi Borgo Petilia (dal console romano Lucio Petilio) (c/o Caltanissetta);

3) 1939 Borgo Pietro Lupo (tenente fanteria, Catania 1899-Giabassirè/Etiopia 1936) (Ramacca/Palagonia, CT);

4) 1940  Borgo Antonio Bonsignore (capitano dei carabinieri, Arigento 1896-Gunu Gadu/Etiopia1936) (Ribera, AG);

5) 1940 Borgo Amerigo Fazio (camicia nera aiutante di campo, n. 1896-Etiopia 1936) (Salemi, TP);

6) 1940 Borgo Antonino Cascino (generale dell’esercito, P. Armerina 1862-Monte Santo 1917) (c.da Branciforte EN, km 35 da Piazza Armerina);

7) 1940 Borgo Salvatore Giuliano (caposquadra legionari/lavoratori dell’Asmara-Eritrea, n. Roccella Valdemone-m. Asmara) (Cesarò/S. Teodoro, ME);

8) 1940 Borgo Angelo Rizza (giovane siciliano morto in una rissa, 1904-Siracusa 1921) (Lentini-Sortino, SR).

A partire dal 1940 (tranne uno nel 1938) furono realizzati altri sette Borghi, mentre altri 35 Borghi furono pianificati e progettati prima dall’ECLS, poi dall’ERAS dal 1950 e, poi ancora, dai Consorzi di Bonifica. Tra questi 35 borghi ci furono quelli mai realizzati, quelli realizzati parzialmente e poi abbandonati (i cosiddetti Borghi Fantasmi) e quelli effettivamente realizzati. Tra questi ultimi vi fu il Borgo Baccarato (Aidone, EN) costruito tra il 1956 e il 1958. (tratto da VoxHumana, La Via dei Borghi)

¹ Nonostante la IX provincia di Ragusa fosse già stata istituita nel 1927. 

(continua)

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Borghi Rurali fascisti in Sicilia/2

La chiesa di Libertinia c/o Ramacca - CT, 1926¹

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(dalla Parte 1) Durante il regime fascista nell’ambito di una pianificazione del territorio agricolo, che prevedeva quasi sempre la bonifica idrico-ambientale, e nell’ottica di un tradizionalista ritorno alla terra e alla civiltà contadina preferiti alla grande urbanizzazione, dal 1928 iniziò un’intensa attività di fondazione di nuovi insediamenti. Gli obiettivi erano molteplici: favorire nuove possibilità di sfruttamento agricolo in zone poco produttive; incrementare la produzione agricola nazionale in un periodo di autarchia per raggiungere l’autosufficienza; creare una classe sociale di piccoli mezzadri o proprietari agricoli legati alla terra con tutta la famiglia immuni alla crisi d’identità causata dal rapporto salariale e dall’inurbamento; occupare un gran numero di disoccupati; stabilizzare la struttura sociale; controllare più facilmente piccoli gruppi di persone per catturarne il consenso; comprimere redditi e consumi per assorbire la manodopera cui l’industria non poteva dare lavoro; combattere la denatalità assieme ai disordini sociali e alla degenerazione della razza per assicurare così la sanità fisica e morale della “stirpe italiana”; promuovere all’estero l’operazione di grande valenza propagandistica del regime. I nuovi insediamenti sia per le modeste dimensioni che per le caratteristiche progettuali, non erano assimilabili a un centro urbano vero e proprio. Quasi tutti erano rappresentati da un’area d’insediamento sparso con le case rurali poste direttamente sull’appezzamento agricolo assegnato alla famiglia colonica. Al centro dell’area erano posti i servizi intorno a una piazza (chiesa, casa del fascio, caserma dei carabinieri o della Milizia, ufficio postale, scuola, consorzio agrario, spaccio, barbiere, locanda). Le aree da “popolare” erano ricavate da terreni demaniali incolti o da aree acquitrinose acquisite a poco prezzo e affidate all’ente incaricato della bonifica che provvedeva all’assegnazione dei vari appezzamenti a famiglie di mezzadri che avrebbero nel tempo ripagato gli investimenti iniziali e, in seguito, riscattata la proprietà. In Sicilia i primi insediamenti iniziarono a cavallo degli anni Venti e Trenta: Mussolinia (c.da Piano Chiesa - Bosco Santo Pietro - Caltagirone, CT) il progetto del 1923 non verrà realizzato; Borgo Littorio (Rocca Busangra, Campofelice di Fitalia/Corleone, PA) nel 1925; Libertinia (Ramacca, CT) nel 1926; Sferro (Paternò, CT) nel 1927; Borgo Recalmigi (Castronovo di Sicilia, PA) nel 1927; Borgo Bardara (Lentini, SR) nel 1927; Borgo Santa Rita già Borgo Pisciacane, CL, nel 1927; Borgo Filaga (Prizzi, PA) nel 1928; Villaggio Pergusa, EN, nel 1935.

¹ La foto è tratta da VoxHumana, La Via dei Borghi.

(continua)

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Borghi Rurali fascisti in Sicilia/1

Contadini al lavoro nei latifondi siciliani, inizio Novecento

La mostra sulla I Guerra Mondiale e il libro¹ sul Gen.le Antonino Cascino (1862-1917) di ieri al Circolo di Cultura di Piazza, mi hanno dato lo spunto per parlare dei Borghi Rurali sorti durante il regime fascista in Sicilia ad uno dei quali fu dato il nome del generale medaglia d'oro piazzese, Borgo Cascino.²

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Il problema millenario del latifondo

<<Nel primo millennio d.C. la Sicilia visse un’alternanza di vicende storiche che condussero prima alla creazione del latifondo, il latifundum romano, poi al suo smembramento, ed infine ad una sua ricostituzione ad opera dei Normanni. Le conseguenze del feudalesimo normanno portarono a una situazione con due classi sociali contrapposte, di cui una costituita da un’oligarchia che possedeva tutto, e l’altra costituita dal popolo, che non aveva niente. L’esigua nobiltà conduceva un’esistenza sfarzosa gravando sulla moltitudine composta da povera gente. L’agricoltura di tipo estensivo praticata nei fondi era poco redditizia; era la vastità di questi ultimi, insieme al misero compenso corrisposto ai contadini, che consentiva all’oligarchia di prosperare, basandosi sull’entità numerica della popolazione sfruttata. Tale situazione perdurò per quasi tutto il millennio successivo, immutabile ed insensibile agli avvicendamenti del potere, dai Normanni ai Savoia. Nella seconda metà del diciannovesimo secolo ebbero luogo i primi, isolati episodi, nell’ambito dei quali i rurali cercarono di sollevarsi dalla loro miserabile condizione; ma essi vennero repressi duramente, affogandoli nel sangue. Parallelamente, a cavallo tra i due secoli, altre e differenti iniziative furono condotte, e non limitate alla sola Sicilia; tra queste, vanno menzionate le “affittanze collettive”, nelle diverse caratterizzazioni con cui vennero espresse dalle organizzazioni cattoliche e da quelle socialiste. Ma fu solo dopo la Prima Grande Guerra che ulteriori, diversi, progetti vennero intrapresi, a livello locale o centrale, allo scopo di modificare l’organizzazione rurale; essi ebbero pertanto un carattere più organico ed applicazione a livello nazionale. La necessità di fornire uno sbocco lavorativo a coloro i quali avevano servito la Patria e che si erano organizzati nell’Opera Nazionale Combattenti (ONC), infatti, pose i governi di fronte al problema dell’occupazione dei reduci, e l’agricoltura fu vista come una possibile soluzione. Il problema, e la sua soluzione, interessarono l’Italia intera; ma in Sicilia ciò si scontrò, in un certo modo, con la millenaria situazione latifondistica. Già tra le due guerre si considerò approfonditamente il problema relativo al latifondo siciliano con la stesura di leggi che cercassero di risolverlo puntando, in un modo o in un altro, alla sua frammentazione e due di queste furono proposte nel febbraio del 1920. Uno dei motivi, se non il solo, che fecero arenare le leggi è da ricercare nella presenza, in Parlamento, di rappresentanti dei latifondisti, in particolare tra i popolari. Così, nonostante la consapevolezza del problema e l’attività dell’ONC, la situazione siciliana restò quella di sempre: 750.000 ettari di terreno posseduti da 780 individui. Il regime fascista, dopo diversi tentativi di modificare tale situazione, ma condotti in maniera poco organica e tentando di adattare alla Sicilia i provvedimenti presi su scala nazionale, incontrandosi prima e scontrandosi in seguito con i latifondisti, o almeno con alcuni, considerò il problema in maniera specifica; promulgò così delle leggi ad hoc, le quali tra l’altro, prevedevano la nascita di un nuovo ente, L’Ente per la Colonizzazione del Latifondo Siciliano (ECLS), al quale era devoluta la realizzazione pratica delle nuove norme. Esse sarebbero state applicate nell’ambito di un piano di colonizzazione, che il regime propagandò come “assalto al latifondo”, fondato su presupposti sia tecnici, che derivavano da studi precedentemente condotti dall’Istituto Vittorio Emanuele III per la bonifica della Sicilia, sia urbanistici, teorizzati dall’architetto Edoardo Caracciolo>>. (tratto da VoxHumana, La Via dei Borghi)

¹ Il libro "CASCINO" è stato presentato al Circolo di Cultura col patrocinio del Rotary Club Piazza Armerina, scritto da Paolo Orlando con i contenuti storico-biografici curati da Giuseppe Claudio Di Giorgio. L'autore Paolo Orlando, presidente del C.A.S.A. (Centro Armerino Studi Amministrativi) nonché organizzatore dell'evento, ha sottolineato che "abbiamo voluto ricordare agli Armerini, ai Siciliani, agli Italiani, la figura leggendaria di un Armerino, il Gen.le Antonino Cascino eroe della Prima Guerra Mondiale e medaglia d'oro, inserendo il tutto nel Centenario della Grande Guerra".

² Al Gen.le A. Cascino furono inoltre intitolati anche un Cacciatorpediniere nel 1922 (autoaffondato nel porto di La Spezia il 9 settembre 1943), tre caserme militari (Palermo, Salerno e Susa - TO), una galleria militare sul Monte Pasubio e diverse vie e piazze in tutta Italia.

(continua)

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1230 Il Cavaliere Beato Gerlando d'Alemanna

 Il Cavaliere Ospedaliere Gerlando d'Alemanna

 Reliquiario Basilica di S. Giacomo, Caltagirone

Gerlando d'Alemanna, il Cavaliere Ospedaliere che divenne Beato 

La Sicilia all’inizio del XII secolo, tra la I Crociata (1096-1099) e la II Crociata (1145-1149), era passaggio obbligato per tutti coloro che dal continente si recavano in Terrasanta e bisognosi di ristabilirsi dalle fatiche del viaggio. Fu per questo che i cavalieri Templari (o cavalieri Poveri di Cristo o del Tempio di Salomone o Miles Templi o del Santo Sepolcro presso il Tempio di Gerusalemme), raccoltisi originariamente nel 1118, ma ufficializzati come Ordine Cavalleresco nel 1129, si insediarono nell’isola. Ciò lo dimostra la bolla di papa Lucio II del 1144, con la quale il Pontefice sollecitava la popolazione e i religiosi siciliani ad accogliere ed aiutare i cavalieri del Tempio. Da allora l’Ordine iniziò a ricevere in dono denaro e terre dislocate specialmente lungo l’itinerario seguito dai pellegrini palmieri¹ che, solitamente, trascorrevano l’inverno nell’isola prima di salpare alla volta della Terrasanta. Lungo l’itinerario siciliano i Templari possedevano una casa (o grancia) anche ad Aidone, dalla quale dipendevano un mulino e delle terre nei pressi del fiume chiamato Tempio (a circa 4,5 Km a Sud-Est dell’odierna Mirabella Imbaccari, lungo la provinciale n. 37/I Mirabella Imbaccari-S. Michele di Ganzaria) in onore dei Cavalieri, i quali vi costruirono (o trovarono) una chiesetta che chiamarono S. Maria del Tempio². Il fiume Tempio è l’antico Wâdi Bûkarît degli Arabi, il fiume Buffarito di G. P. Chiarandà, storico del Seicento piazzese, il fiume dei Provenzali di un diploma del 1148 e l’odierno fiume di Quattro Teste. Questo fiume nasce nei monti Erei aidonesi, scende verso Mirabella Imbaccari e attraversando la contrada Gatta (anticamente Agata) è detto fiume di Gatta, poi diventa Tempio e dopo qualche chilometro diventa Pietrarossa, poi Margherito, poi del Ferro, poi dei Monaci per confluire, infine, nel fiume Gornalunga che arriva sino alla foce del fiume Simeto. Poco dopo l’inizio del XIV secolo, precisamente nel 1312, papa Clemente V, dopo quattro anni di processi su tutti i membri e di condanne capitali ingiuste, decise l’abolizione dell’Ordine dei Templari, prescrivendo nell’occasione che i loro beni fossero devoluti alla Crociata in genere e specialmente ai Cavalieri Ospedalieri dell’Ordine Militare di S. Giovanni Battista di Gerusalemme (poi di Malta). Col passaggio dei beni dei Cavalieri Templari agli Ospedalieri, la Casa-Ospizio di S. Giovanni Battista di Piazza, ospedaliera, ereditò la Casa Templare di Aidone, comprese le pertinenze di S. Maria del Tempio. In quest’ultima località il percettore della Casa-Ospizio piazzese, per prendere possesso, custodire ed amministrare la chiesetta, il mulino e le pertinenze della località Tempio, inviò l’anziano cavaliere Ospedaliere Gerlando de Alemanna o Gerlando di Bologna, poi de Alemanna, e non come vogliono alcuni, erroneamente, d’Alemagna o di Polonia. Quest’ultimo nome è dovuto sicuramente al seguente errore: Bologna in latino Bononia, scritta nel XIV sec. dagli amanuensi Bolonia, che gli studiosi del XVII sec. leggono Polonia, rinvigorendo la convinzione di origine nordica del Cavaliere, che così spiegherebbe anche il primo nome, anch’esso errato, d’Alemagna. A proposito del cognome de Alemanna il Mugnos, parlando di nobili cittadini di Bologna giunti in Sicilia per porsi ai servigi dell’imperatore Federico II di Svezia, nomina un Nicolò Alemanni che con altri andò “per presidio nella città di Trapani”. In altra parte della sua opera precisa che Riccardetto Alemanno fu stradigoto di Messina nel 1249. Aggiunge ancora che sotto Carlo d’Angiò, nel 1268, un Giorgio Alemanno, conte di Pulchrivo, venne iscritto all’Ordine Equestre della Luna Crescente. Inoltre, Diego Ciccarelli, nel pubblicare documenti dei primi decenni del secolo XIV, segnala la presenza a Piazza del presbitero Giacomo de Alemanna, quindi di gente con cognome de Alemanna.
Nella chiesa di S. Maria del Tempio il cavaliere Gerlando operò da moderatore illuminato, da prezioso paciere nelle controversie e da uomo giusto che con amore si fece protettore delle vedove e dei bambini orfani, e allo stesso tempo si cimentò in aspre pratiche di penitenza, sino alla sua morte avvenuta dopo il 1312, ovvero verso il 1315, all’età di circa 85 anni (la data di nascita, 1230, si ricava dalla data certa del 1242, anno di ricezione del nostro Cavaliere nell’Ordine Ospedaliero del Priorato di Messina, in qualità di paggio, intorno ai dodici anni). Dopo 12 anni dalla sua morte, tra il 18 ed il 19 giugno 1327, a seguito di un sogno di Giacomo Calatafimi, precettore della Casa-Ospedale di S. Giovanni Battista di Piazza, ne venne riesumato il corpo e proprio in quei giorni ed in quelli successivi accaddero fatti straordinari attribuiti dai presenti a miracoli registrati con diligenza dai Giurati della città di Caltagirone. Il forte coinvolgimento per questi accadimenti da parte degli abitanti di questa cittadina, distante circa 5 Km dalla contrada Tempio, era dovuto al fatto che le terre, il mulino e la chiesetta del Tempio erano frequentati soprattutto da Caltagironesi, alla continua ricerca di luoghi ricchi d’acqua. Così questi ebbero la ventura di conoscere Gerlando de Alemanna, apprezzandone la santità di vita. Dopo la morte furono loro a divulgare le notizie su fatti soprannaturali che si erano manifestati nella chiesetta di S. Maria del Tempio, facendoli registrare nel 1327 a Caltagirone in atti notarili della Corte Giuratoria, ai quali seguirono gli atti di un processo apostolico effettuato nel 1331 a Licata dal Vescovo di Agrigento per incarico di quello di Siracusa. Il processo di canonizzazione in seguito si sarebbe arrestato alla Dichiarazione di Beato³. Solo così si può spiegare il grande fervore del popolo, dei Giurati e del Clero di Caltagirone che, a gran voce, chiesero ed ottennero il trasferimento del corpo del Beato dalla chiesetta di contrada Tempio nella basilica di S. Giacomo Maggiore della loro città, ove un prezioso reliquiario antropomorfo del XIV sec. (foto in basso) custodisce, ancora oggi, il cranio del Beato Cavaliere Ospedaliere Gerlando de Alemanna ritenuto piazzese perché <<confortato in merito dalla presenza a Piazza in quel tempo di gente cognominata De Alemanna>>. Gaetano MASUZZO, gennaio 2012

 ¹ Coloro che si recavano presso il Santo Sepolcro di Gerusalemme erano chiamati palmieri, perché al loro ritorno portavano per testimonianza la palma di Gerico. 

² <<Un manoscritto anonimo del XVII secolo, conservato a Malta, restituisce un acquerello con rappresentazione panoramica “a volo d’uccello” del territorio di S. Michele di Ganzaria, arrivando a descrivere anche il feudo del Tempio e la chiesa dei Templari, dall’aspetto vagamente gotigheggiante, forse già in decadenza all’epoca del dipinto. Alcune “vignette” intorno alla chiesa di S. Maria rappresentano dei mulini: quattro di essi recano sul prospetto la croce di Malta, ma di essi non rimane traccia. Tracce di una fortificazione sono state segnalate da studiosi locali in un colle a Nord di S. Michele di Ganzaria, nei pressi del quale si trovava la chiesa, identificata in pochi ruderi rimasti>>. (G. ORRIGO, 1984; BUONO, 1993; dal sito calatinosudsimeto.it/Cultura/Comune di San Michele di Ganzaria/Contrada Tempio)

³ Il Servo di Dio dopo la lettura del Decreto sull'eroicità delle sue virtù viene chiamato Venerabile. Se a questi viene riconosciuta l'intercessione per un miracolo è dichiarato Beato. Se al Beato viene riconosciuta un'altra intercessione, il Papa lo dichiara Santo, autorizzandone il culto ovunque vi sia una comunità di credenti.

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Traduzione Sp'ttànn l'incòntr

A dx in primo piano dov'erano i laboratori di chimica dell'I.T.I.S.

Traduzione de "Sp'ttànn l'incòntr"

Pressapoco una cinquantina di anni indietro

Ancora giovinetti nel laboratorio di chimica

Col camice bianco e le orecchie attente a quello che il professore

Gli diceva per farli diventare grandi

 

Ora uomini fatti ancora in piedi e con la mano tesa per salutarsi

Gli occhi negli occhi per riconoscersi

Perché dopo tanti anni la fisionomia di qualcuno

E' cambiata e non è più quella di una volta

 

Ma un'occhiata non basta per indovinare una vita intera

Del vecchio compagno di scuola che hai davanti

Per questo aspettando l'incontro ognuno si è preparato

Una lista di domande per sapere tutto di tutti

 

Che lavoro ha fatto nella sua vita

Se si è sposato o è rimasto scapolo

Se ha figli e nipotini

E dove sta di casa

 

Mentre le domande e le risposte

Si affollano nella mente di ognuno

Gli occhi della fantasia volano indietro

Negli anni della bella gioventù

 

Ed entrano nell'aula della scuola

Dove ventitre studenti ancora giovani

Davano già dimostrazione

Del proprio sentimento

 

Sembra di vederli come fosse ora

Là seduti sul banco

Guarda c'è l'ironico l'impegnato il sobrio

Il positivo il rispettoso il diplomatico

 

Lo spontaneo il paziente il più giovane

Il volitivo il pratico il posato il socievole

Il serio l'introverso l'allegro

Il misterioso l'aristocratico il più anziano

L'autorevole l'elegante lo scherzoso il furbo

 

Chissà se sono rimasti così o la vita li ha cambiati

Per ora basta fantasticare

Meglio che torniamo coi piedi per terra

E con un bel bacione inizia la vera presentazione

 

Ma non alla cieca meglio chiamare l'appello

L'abbiamo qui bello e pronto

E se qualcuno non risponde... peccato

E' perché la vita se l'è portato via

 

Ma l'abbiamo nominato lo stesso

Per sentirlo ancora tra noi

E ci sono per davvero

Cominciamo...

 

Rosalba Termini, marzo 2016

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2008 Pubblicazione di "CRONOLOGIA"-1

Sono trascorsi otto anni da quando ho pubblicato il mio volume Cronologia civile ed ecclesiastica di Piazza e dintorni, Edizioni Novagraf, ASSORO 2008,  e desidero riproporvi quello che c'è scritto sul risvolto anteriore di copertina.

<<Su Piazza Armerina sono stati scritti molti libri, in varie epoche e di diverso spessore storico ed ecclesiastico. Ogni libro ha cercato di ampliare e/o completare quello che il precedente aveva lasciato in sospeso, toccando temi che il più delle volte avrebbero lasciato il lettore con più di un legittimo interrrogativo. In questa trattazione l'autore si è "limitato" a raccogliere quante più notizie storiche della propria città e, fissandole bene nel contesto storico-geografico regionale ed oltre, ha cercato di eliminare, il più possibile, facili e atavici equivoci. Questo attento lavoro è stato condotto per la prima volta in maniera cronologica che, attraverso un indice abbastanza completo e preciso, rende agevole la risocstruzione storica dell'argomento che più incuriosisce ed appassiona, permettendo a chiunque un affascinante viaggio nelle proprie tradizioni ed origini>>.

N. B. Chi volesse acquistare il libro può farlo presso la Cartolibreria Armanna, via Remigio Roccella 5, Piazza Armerina, oppure può contattarmi personalmente. 

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Due storie tra XVI e XVII secolo/2

Panorama dell'antica città di Noto, P. Hofer, copertina del libro¹

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Giovanni Cappello medico-filosofo

Dopo il primo argomento (che parla della famiglia Mirabella-Paternò) eccovi il secondo. Per trattare questo, ho preso nuovamente lo spunto dal volume¹ (pag. 59) dello storico ricercatore di Pachino Antonello Capodicasa e riguarda la vita di un medico-filosofo compositore di diversi trattati inerenti varie discipline scientifiche, uno dei quali sulla iatromatematica. Questa materia studia la matematica applicata alla medicina, o meglio, è l'arte di unire gli studi astrologici con l'arte medica ed era una disciplina fortemente radicata negli ambienti scientifici padovani dell'epoca. Questo studioso del XVI secolo, laureatosi all'Università di Padova intorno al 1590, di nome Giovanni (1565-1626) <<era nato da una famiglia aristocratica di antico lignaggio, presente a Noto già nel XIII secolo>>, la famiglia Cappello, che troviamo anche tra Le Famiglie e Stemmi della nostra Città. <<Il padre Antonino era uno dei figli cadetti del barone Giovanni Cappello, signore del feudo Rabugino... La famiglia Cappello era una delle più antiche famiglie nobili di Noto. Sin dal '400 era distinta in due rami: i Cappello del feudo di Bonfalura e quelli del feudo Rabugino in territorio di Piazza (oggi Piazza Armerina). Il fratello primogenito di Giovanni, Giovan Giacomo, ne aveva preso l'investitura nel 1560 come successore del cugino Giovannello Cappello. Dopo qualche anno Giovan Giacomo vendette il feudo ad Ambrogio Catania, cittadino di Piazza, che ne ottenne l'investitura nel 1566>>. Alcuni di questi nomi, Giovannello e Giovan Giacomo, li troviamo assieme ad altri importanti esponenti (Baldassare) nella famiglia Cappello residente a Piazza in quel periodo. Ho voluto che conosceste questa coincidenza, per mettere ancora una volta in rilievo i forti legami che esistevano tra le famiglie nobili e meno nobili delle due città importanti² nel Sud-Est dell'Isola, allora chiamato Val di Noto. Per fare alcuni esempi, sia a Noto che a Piazza durante i secoli XV, XVI e XVII risiedevano rappresentanti oltre che della famiglia di cui abbiamo parlato, anche di quelle dei Landolina, Platamone, Salonia, Sortino, Starrabba e Trigona.

¹ Antonello CAPODICASA, Storie di Noto Antica tra XV e XVII secolo, A.S.S. e C., Effe Grafica Fratanonio, Pachino (SR), 2015.

² La distanza tra i due centri abitati di ca. 130 Km. allora si percorreva in quasi due giorni.

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